Odino, l’Appeso

L’Appeso è  l’eroe-vittima che accetta il sacrificio catartico di sé: alla ricerca della vita eterna non teme di affrontare la morte. In virtù della sua offerta, ovvero del suo sacrificio, la sua coscienza diviene completa: alla coscienza “solare” si aggiunge quella “lunare“. La ricerca interiore completa così quella esteriore, anche se solo a duro prezzo.

Il dio nordico Odino, pur di avere la scienza di tutte le cose, sacrificò un occhio e poté quindi bere alla magica fonte “Mìmir“, fra le radici del frassino “Yggdrasil“; in effetti, mentre un occhio restò ad osservare il mondo dei fenomeni esterni, l’altro si rivolse all’interno ad esplorare gli infiniti universi interiori alla ricerca delle profonde radici.

La figura dell’Appeso del dodicesimo Tarocco Aureo è ispirata proprio a questo dio nordico ed è per questo motivo che il suo occhio sinistro è chiuso, mentre il destro osserva attentamente la pietra runica ai piedi del frassino.

Odino appare seminudo nella scomoda posizione capovolta durante la celebrazione del suo sacrificio: appeso per il piede sinistro ad una rudimentale forca composta di due alberi scuri e di una trave orizzontale su cui si avvolge a spirale la corda. Il forte vento che lo fa oscillare spinge le nuvole gonfie di pioggia e strappa le ultime foglie rimaste agli alberi, che rimangono nudi in attesa della rigenerazione primaverile.

Il ginocchio destro è piegato in modo che le due gambe raffigurino una croce al centro dell’immagine e le mani sono legate dietro la schiena. L’occhio sinistro è palesemente chiuso, mancante, rivolto all’interno, ma il destro è ben aperto sulle cinque magiche Rune incise sulla roccia: “Eoh“, “Is“, “Bar“, “Yr” e “Tyr“.

In altre parole, il dio sta utilizzando i due emisferi cerebrali nell’interpretazione delle antiche e sacre lettere dell’alfabeto nordico, alfabeto che ebbe fra gli iniziati del Nord Europa la medesima funzione dei Tarocchi in altre parti del mondo.

Nei miti nordici si narra anche di quando Odino rimase “Appeso” per nove giorni all’albero cosmico “Yggdrasil” al fine di ottenere la conoscenza delle Rune, ed è lui stesso che dichiara nell’Edda poetica:

Io credo di essere rimasto appeso all’albero ventoso,

Appeso per nove notti intere;

Con la lancia fui ferito e venni offerto

A Odino, me a me stesso,

Sull’albero di cui nessuno potrà mai sapere

Quali siano le radici sotterranee.

Nessuno mi allietò col pane o con il corno,

E lì sotto ho guardato:

Presi le rune, gridando le presi,

E subito ricaddi all’indietro.

Poi incominciai a crescere e ad acquistare saggezza;

Crebbi e stavo bene;

Ogni parola mi portava ad un’altra parola,

Ogni gesto a un altro gesto“.

Non credo ci siano dubbi: questa è una delle più antiche e precise descrizioni dell‘Arcano XII che ci siano pervenute.

Sempre dalla mitologia nordica, dallo Hàvamàl (157), giunge un’ulteriore dimostrazione della correlazione con i Tarocchi e ciò non deve stupire, vista l’universalità degli archetipi:

Conosco un dodicesimo (incanto):

quando vedo dondolare un cadavere impiccato a un albero,

allora incido e dipingo rune

sì che l’uomo cammini e mi parli.”

Ecco spiegato perché Odino è detto anche “dio della corda” e “Hangi“, l’impiccato, e quale sia l’origine delle cerimonie magico-religiose di impiccagioni rituali presso gli antichi Germani rammentate da vari autori antichi (Procopio, La guerra gotica; Adamo da Brema, Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum; Tacito, Germania).

Giovanni Pelosini

Vedasi anche Simboli di trasformazione alchemica del XII Arcano.

Testo tratto dal libro “I TAROCCHI AUREI” (1997), il dipinto originale è del pittore Roberto Granchi.



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