La guerra dei mondi e il viaggio del padre

Ci sono, nel bel film di Steven Spielberg, almeno due situazioni archetipiche importanti: il contrasto fra due civiltà reciprocamente aliene, che fa da sfondo alla vicenda, e l’eterno scontro all’interno della coscienza, che è il vero fulcro della storia.
Proviamo ad analizzare i due contrasti in modo indipendente.
La Guerra dei mondi vuole rappresentare, in prima analisi, lo scontro militare e violentemente fisico con un invasore che è letteralmente disumano e contro il quale non vi è alcun dubbio che si debba combattere fino alle estreme conseguenze. Lo spettatore non fa fatica a schierarsi senza riserve contro i “vampiri” spaziali in un crescendo di etimologicamente autentica, pura e motivata xenofobia. Nel film si manifestano tutte le paure che dal secolo scorso fermentano nella psiche di ogni americano e di ogni occidentale. La prima rappresentazione della Guerra dei mondi fu quella radiofonica di Orson Welles nel 1938: una famosa evocazione di paure collettive che stavano per concretizzarsi nella minaccia nazista. Il film di Byron Haskin del 1953 colpiva invece l’immaginario in pieno periodo maccarthista, quando il pericolo per la civiltà sembrava essere rappresentato dal comunismo. La guerra dei mondi di Spielberg giunge sugli schermi nel XXI secolo ed incarna il terrore che si materializzò con la catastrofe dell’undici settembre 2001: un incubo diventato improvvisamente reale e già purtroppo esportato a Madrid e Londra.
L’argomento è quello della classica guerra di difesa del territorio, della famiglia, della casa contro una minacciosa civiltà aliena: una guerra in cui i valori che astrologicamente attribuiamo al Toro ed al Cancro sono sollecitati a fare emergere le virtù marziali del combattente in ogni essere umano coinvolto.
Si noti come il pianeta Marte si trovi in esilio nel segno del Toro ed in caduta in quello del Cancro, e che gli aggressori del film e della mitica storia di H. G. Wells (1898) sono, non a caso, “marziani“.
I simboli di Marte abbondano anche nel colore delle sconcertanti ramificazioni che avvolgono ogni cosa, e soprattutto nel copioso sangue che gli invasori sottraggono alle loro vittime come linfa vitale ed energetica delle loro stesse macchine di guerra.
Eppure lo scontro di civiltà è solo alla superficie della storia e mai se ne fa una descrizione strategica essenziale fino alla inevitabile e frettolosa fine del film.
Assai più pregnante appare la crisi del protagonista, ben interpretato da Tom Cruise: un padre divorziato che non è mai riuscito ad essere genitore e che si trova a gestire il momento drammatico dell’invasione marziana con un figlio adolescente, che lo ha ormai rifiutato come archetipo paterno, ed una figlia, piccola ed isterica, che disperatamente cerca la protezione del padre e della famiglia.
Questo padre è stato sempre assente per una sua profonda ed intrinseca immaturità e gli riesce impossibile avere un dialogo con il figlio sedicenne, che è ribelle come vuole la sua età e che ha più di un motivo per rifiutare l’autorità genitoriale. Gli riesce anche difficile accudire la figlia e procurarle anche solo il minimo indispensabile per soddisfare i naturali bisogni.
L’occasione di riscatto per il padre arriva con la catastrofe della guerra totale: in pochi minuti dovrà crescere ed assumersi tutte le responsabilità che fino a quel punto aveva delegato e rifiutato. È nel mezzo di una furiosa battaglia che il personaggio interpretato da Cruise dovrà prendere le più grandi decisioni della propria vita. Sarà finalmente un vero padre quando recupererà un autentico rapporto affettivo con il figlio, ne comprenderà la personalità e la crescita per poi, subito dopo, accettare di “perderlo” nel vortice della guerra, che è una metafora della vita. Il gesto gli consentirà di salvare la figlia e di intraprendere il lungo viaggio simbolico verso l’altro archetipo genitoriale e verso l’accettazione del proprio ruolo.
Il lungo viaggio del padre, in mezzo alle devastazioni belliche, è il simbolo della crescita dell’eterno bambino che si realizza nella crescita dell’archetipo maschile e solare, accettando di essere finalmente ciò che drammaticamente è diventato. Questo viaggio è un’allegoria della trasformazione che l’assunzione consapevole di responsabilità produce nell’essere umano e quindi della sua crescita coscienziale: questo è il vero tema simbolico del film e della storia, una vicenda antica come l’umanità.

Giovanni Pelosini

(pubblicato in «AstroMagazine», luglio 2005)



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