Il grande potere del piccolo

Da bambino amavo giocare sulla spiaggia con la sabbia fine e bianca della battigia: costruivo effimeri castelli con alti muraglioni e improbabili torri arabe che le onde del mare inesorabilmente facevano poi crollare in pochi minuti.
Talvolta mi occorrevano ore per edificare strutture complesse e ardite, e bastava soltanto un attimo, un’onda appena più lunga, un’infiltrazione di acqua alla base delle torri, perché il paesaggio che avevo ideato e modellato tornasse alla stessa indistinta spiaggia lisciata dalle forze esogene. L’inevitabile crollo dei castelli di sabbia non mi inquietava troppo, perché tutti gli sforzi profusi nella loro realizzazione avevano avuto almeno lo scopo di insegnarmi le regole universali dell’entropia e la vanità del sogno, squisitamente umano, di costruire qualcosa di eterno con la duttile materia.
Certamente una costruzione in cemento avrebbe avuto una durata più lunga dei miei castelli di sabbia, ma anche il vecchio “fortino” tedesco che guardava il mare dai tempi della guerra mondiale si stava sgretolando giorno dopo giorno sotto i continui colpi delle onde: la sua inesorabile distruzione era solo più lenta, ma in ogni caso inevitabile.
E neanche il duro ferro avrebbe potuto essere una soluzione, come testimoniavano i rugginosi relitti che spesso trovavo nelle mie avventurose esplorazioni della spiaggia presso il pontile.
Immaginavo allora l’epilogo della fiaba dei tre porcellini: dopo la distruzione della casetta di paglia e di quella di legno, anche la casetta di mattoni avrebbe prima o poi ceduto al tempo, se non alle insidie del lupo cattivo.
Pensai che il finale utopico “vissero per sempre felici e contenti” avrebbe dovuto essere cambiato in modo da rispettare di più le leggi della natura che empiricamente stavo imparando durante i miei giochi di bimbo.
Non per questo smisi di giocare con la sabbia, anzi, il lento e impegnativo progredire delle costruzioni, proprio perché non poteva essere finalizzato a niente di concretamente utile, continuava ad affascinarmi.
Come Mandala tibetani soffiati via dal vento, i miei castelli di sabbia continuavano a sorgere sempre vicini al mare sfidando le onde per la semplice gioia di esistere nel breve tempo che era loro concesso.

Ma era davvero tutto inutile e privo di conseguenze?
Oppure quel muraglione di sabbia di pochi centimetri, che aveva eroicamente difeso il mio castello da dozzine di ondate prima di soccombere, aveva cambiato, seppur in modo impercettibile, il destino di quella spiaggia sotto il progredire della marea?
Davvero il mattino dopo la spiaggia levigata sarebbe stata la stessa se non avesse visto sorgere e crollare un castello di sabbia sulla sua riva?
Fu in una di quelle riflessioni che mi chiesi quali conseguenze avevano le mie azioni, quale indirizzo potevo determinare in quello spicchio di universo frattale.
Se, per esempio, durante i miei giochi sulla spiaggia, riempivo un secchiello d’acqua, si abbassava il livello del mare?
I sensi mi suggerivano di no, ma la logica mi dettava il contrario: sottraendo anche una sola goccia d’acqua all’oceano, la sua massa e il suo volume dovevano necessariamente diminuire, seppur di pochissimo.
Sì, pensavo, deve essere per forza così. Il livello si abbassa, si abbassa di pochissimo, in modo impercettibile, ma si abbassa.
Se potessi togliere un milione, o un miliardo di secchielli d’acqua, forse il mare si abbasserebbe sensibilmente. E se tutti i bambini del mondo togliessero un secchio dopo l’altro, per innumerevoli volte, anche il grande oceano rischierebbe di prosciugarsi.
Fu allora che compresi la grande forza delle piccole azioni. Il grande potere che ogni piccolo essere possiede.

Fu allora che un bambino comprese che anche le sue piccole scelte, apparentemente insignificanti, potevano spingere quella frazione di universo in una direzione oppure in un’altra.
Quel bambino ebbe una visione; vide le grandi cose che potevano nascere dalle piccole.
Vide cose talmente incredibili e meravigliose che non seppe del tutto capire, che non seppe mai descrivere né raccontare, se non con le belle parole dello scrittore Stephen King, che solo molti anni più tardi, da adulto, non casualmente, lesse (La Torre Nera, I lupi del Calla, 7,14):
« … vide le grandi cose e tragedie evitate per un soffio. Albert Einstein che da bambino veniva mancato di un niente da un camioncino del latte mentre attraversava la strada. Un adolescente di nome Albert Schweitzer che usciva dalla vasca da bagno e non posava per caso un piede sulla saponetta scivolata per terra. Un ‘Oberluetnant’ nazista che bruciava un foglietto sul quale era scritta la data e il luogo dell’invasione degli alleati. Vide un uomo con l’intenzione di avvelenare le riserve di acqua di Denver morire d’infarto in una stazione di ristoro sull’I-80 nell’Iowa con un sacchetto di patatine fritte di McDonald’s in grembo. Vide un terrorista imbottito di esplosivo abbandonare all’improvviso un affollato ristorante in una città che poteva essere Gerusalemme. Il terrorista era stato trafitto da nient’altro che il cielo e dal pensiero che si estendeva come un arco similmente sul giusto e l’ingiusto…
Ma più importante di tutto questo era il peso, consistente e accrescitivo, delle piccole cose, dagli aerei che non si erano schiantati a uomini e donne che erano giunti nel posto giusto al momento giusto e avevano perciò dato origine a generazioni. Vide baci scambiati sulla porta e portafogli restituiti e uomini che, giunti a un bivio, avevano scelto la direzione giusta. Vide mille incontri casuali che non erano casuali, diecimila decisioni oculate, centomila risposte azzeccate, un milione di atti di sconosciuta bontà.
»

Mai più quel bambino compì un atto cosciente sottovalutandone le conseguenze. Sempre, da quel giorno, diffidò delle abitudini, che perfidamente facevano di lui un automa in balia delle onde del destino.
Mai più irrise la piccola formica che portava un minuscolo pezzetto di cibo alla colonia: anche a causa di quel piccolissimo pezzetto di cibo ci sarebbe stato un futuro per il suo popolo. Tutto quanto il cibo accumulato dalla colonia era costituito da tanti minuscoli pezzettini.
Mai più evitò di compiere un piccolo atto solo perché considerato inutile: una semplice goccia nel mare.
Di mille e mille gocce è fatto il mare, di mille e mille atti consapevoli è fatto il nostro “destino”.
Mai più quel bambino confidò nell’illusorio caso, mai più.

Giovanni Pelosini



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