I misteri di Caravaggio

A Roma, nelle Scuderie del Quirinale, dal 20 febbraio al 13 giugno 2010 per la prima volta sono in mostra ben 24 opere autografe e certificate di Caravaggio: il pubblico sta dimostrando un grande interesse e i visitatori sono più di 5.000 al giorno, giustificando le spese complessive di circa 2.300.000 euro. Credo che tale eccezionale interesse non sia rivolto solo alle straordinarie opere artistiche esposte, ma anche alla singolare figura del pittore lombardo.
A quattrocento anni dalla prematura morte di Caravaggio, avvenuta a Porto Ercole il 18 luglio 1610, rimane ancora affascinante il mistero che aleggia intorno alla sua figura di uomo e di artista.
Nelle cripte di antichi cimiteri, proprio presso la spiaggia toscana dove una feluca abbandonò il pittore solo e febbricitante, si stanno analizzando i resti di nove scheletri dell’epoca sperando di individuare fra questi le spoglie di colui che fu Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. Gli esperti delle università di Bologna, Pisa e Ravenna hanno già selezionato i resti compatibili per età e corporatura secondo le documentazioni storiche, e procederanno successivamente anche con le analisi del DNA, grazie ai parenti ancora viventi dell’artista.

Il mistero della tomba

Caravaggio ebbe una vita assai avventurosa e più volte rischiò di morire di peste, di malaria, di spada, di sifilide, in una rissa o sulla pubblica piazza a seguito dell’esecuzione di una condanna capitale. La sua morte però rimane misteriosa, come parte della sua vita e delle sue opere. Poter individuare con certezza i suoi resti oggi consentirebbe di chiarire le vere cause del decesso e magari di ricostruire il suo volto.
Condannato a morte per omicidio, mentre era in viaggio su un veliero nel Tirreno settentrionale, fu sbarcato sulla spiaggia di Porto Ercole, in preda a forte febbre, forse ferito e quasi privo di conoscenza, mentre il suo prezioso bagaglio proseguiva per mare. Poco dopo morì nel locale Ospedale di Santa Maria Ausiliatrice e fu sepolto il giorno dopo proprio nei pressi della spiaggia, dove i corpi delle persone comuni trovavano all’epoca la loro ultima dimora. Nel 1956 però, durante gli scavi per una strada, fu disseppellita una cassa con il suo nome e la data del decesso che fu trasferita in un nuovo cimitero. Purtroppo il parroco di allora morì senza aver lasciato detto dove aveva provveduto a inumare la cassa con i resti di Caravaggio, che oggi sono cercati sia nel nuovo cimitero di Porto Ercole sia nella cripta della chiesa di Sant’Erasmo.

Il gabinetto alchemico del Cardinal Del Monte

L’unico dipinto su muro realizzato da Caravaggio si trova a Roma, al Casino Ludovisi, in quello che fu il “gabinetto alchemico” del cardinal Francesco Maria Del Monte. Il Del Monte era un grande appassionato di arte e, conosciuto il pittore nel 1595, lo prese a suo servizio per tre anni. In questo periodo fu commissionato il dipinto simbolico e mitologico detto “Giove, Nettuno e Plutone“, un olio su muro di 316 x 152 cm che impreziosì il laboratorio di alchimia del suo palazzo.
In quel piccolo e speciale laboratorio si provi ad immaginare il grande pittore nudo, in piedi di fronte a uno specchio per avere il suo stesso corpo come unico modello per i tre Dei che si spartirono il mondo secondo le antiche cosmogonie classiche.
La sfera centrale potrebbe alludere proprio al mondo spartito fra i tre fratelli divini, figli di Cronos, ma probabilmente raffigura anche lo specchio utilizzato da Caravaggio, ovvero un ipotetico marchingegno antenato dell’episcopio che forse il Merisi segretamente usò per dare la massima fisicità alle sue figure umane, così carnali e passionali nel sapiente dosaggio della luce, così vere e plastiche nella loro sensualità.

  • Giove cavalca scomposto l’aquila, suo animale totemico, fra le nubi e la tunica, sporgendosi in avanti con la mano sinistra a prendere possesso della terraferma dall’Elemento Aria. I due fratelli, di evidente rango inferiore, si trovano entrambi sull’altro lato della sfera cosmica a rappresentare le Acque e il Sottosuolo.
  • Nettuno, a cui spetta il governo degli oceani, cavalca ed abbraccia un bianco cavallo che innalza pinne anziché zoccoli, e quasi nasconde il suo scettro tridente con la coscia nuda, in una posa innaturale che sembra alludere a una mistica e non cruenta ferita della gamba.
  • Plutone è in piedi al suo fianco, sovrastando un cane a tre teste che ben poco ha della leggendaria ferocia di Cerbero, somigliando più a una compatta e ubbidiente muta da caccia. Il dio degli Inferi impugna fiero un bidente e mostra senza vergogna i suoi organi, volgendo lo sguardo di lato.

L’aspetto alchemico e simbolico appare complesso e forse indecifrabile nei dettagli degli atteggiamenti e degli attributi degli Dei che solo apparentemente ricalcano quelli dell’iconografia classica.
Se l’aquila di Giove intende rappresentare l’Elemento Aria, essa è un’allegoria dello stato gassoso della materia, così come il cavallo di Nettuno lo è dello stato liquido e dell’Elemento Acqua, e Cerbero dello stato solido e dell’Elemento Terra. I tre Elementi tendono al centro del dipinto, dove la sfera cosmica di luce-specchio domina la scena a simboleggiare l’Elemento Fuoco e dove si intravede il simbolo alchemico e astrologico del Sole.
I tre stati di aggregazione della Materia possono quindi tendere alla trasmutazione in Spirito-Fuoco-Luce, così come i metalli possono generare la Pietra Filosofale nella Grande Opera.
Ma la sfera di luce centrale nasconde all’occhio disattento anche il simbolo della Luna in alchemica unione dei due opposti cosmici, archetipi del principio maschile e di quello femminile, e quindi allusione al Rebis alchemico. La linea lunare sottende anche la fascia zodiacale con alcuni segni appena abbozzati, a rappresentare forse le stagioni propizie all’operare dell’alchimista.
All’osservatore non digiuno di simbologia astrologica non sfuggiranno inoltre alcune parti del corpo degli Dei in evidenza: i piedi di Zeus sono gli unici rappresentati nel dipinto, in corrispondenza con l’anatomia zodiacale del segno dei Pesci, in cui il pianeta Giove dimora.
Allo stesso modo la già menzionata coscia di Poseidone ricorda la corrispondenza anatomica del Sagittario, dominio del pianeta Nettuno. E così gli organi di Ade, corrispondenti del segno dello Scorpione, sono il simbolo del domicilio del pianeta Plutone.
Queste ed altre assonanze mistiche sono davvero singolari se si pensa che all’epoca di Caravaggio non si conoscevano ancora i pianeti oltre Saturno (Nettuno e Plutone sono stati scoperti secoli dopo): una ulteriore prova della validità delle corrispondenze simboliche, della millenaria tradizione alchemica e anche della più moderna ricerca astrologica.

Una vita spericolata

Così Caravaggio esprimeva con la sua arte gli antichi misteri dell’alchimia che il cardinal Del Monte coltivava, pur continuando a vivere una vita avventurosa e piena di rischi e di guai giudiziari.
Era il pittore più famoso di Roma e affascinava con le sue opere così “vive” e “vere” tutti i potenti dell’epoca. Poteva chiedere qualunque prezzo per un suo quadro, ed era capace di sperperare tutto vivendo in miseria. Era protetto dai suoi nobili committenti, ma ogni giorno rischiava di offenderli con un comportamento violento e rissoso che lo spingeva a violare la legge.
In uno dei suoi ultimi violenti litigi, fu ferito, ma la sua spada uccise Ranuccio Tommasoni, e gli procurò la condanna a morte di Papa Paolo V. È il 1606 quando fuggì da Roma e dalla decapitazione, dalla quale sembrò ossessionato anche nelle sue successive pitture, nelle quali le teste mozzate di Golia o di Giovanni Battista spesso mostrano lo stesso orrore che lui stesso forse provava.
Protetto alternativamente dai Colonna, dai Gonzaga, dai Borghese e dagli ambasciatori di Francia, visse quindi, e operò con grande successo, a Napoli, in Sicilia e a Malta, dove riuscì a farsi nominare Cavaliere, quindi a farsi espellere con biasimo dall’Ordine, per essere infine incarcerato e poi evadere e fuggire dall’isola. Sempre la sua arte gli salvò la vita, e così sperò di cavarsela anche nel 1610, quando probabilmente contava di comprare il perdono papale con alcuni dei suoi mirabili quadri in un complesso e segreto ritorno a Roma.

La testa mozzata di Golia

Sulla nave che forse vide allontanarsi dalla spiaggia di Porto Ercole, mentre morente e sfiduciato forse si arrendeva alla sorte, c’era proprio il suo David con la testa di Golia: un quadro in cui il buio prevale sulla luce, un’oscura profezia di morte che Michelangelo Merisi volle esorcizzare fino all’ultimo.
La testa mozzata di Golia potrebbe essere un autoritratto in cui si può leggere tutta la stanchezza morale e fisica dell’autore, forse già la sua malattia; le rughe e le occhiaie ci parlano di un grande desiderio di pace e di compassione che nemmeno la bocca aperta nell’ultimo grido può cancellare. Il nero prevalente nel dipinto è un ulteriore sintomo di severità verso se stesso e la sua superbia, forse un palese segno di censura del suo passato nel momento in cui andava a implorare perdono.

Il mistero della morte

Rissoso, passionale, spendaccione frequentatore di bordelli, famoso e ricercatissimo artista, forse omosessuale, più probabilmente un uomo molto sensuale nella vita e nelle opere, così morì a soli 39 anni, abbandonato su una spiaggia maremmana l’uomo che molti volevano morto, e il geniale pittore che molti di più volevano attivo artefice di quadri ambitissimi e molto costosi.
Ancora non sappiamo che cosa lo uccise, se il saturnismo dovuto al continuo contatto della pelle con tinture velenose per la presenza di metalli pesanti, la sifilide che poteva mostrare sintomi simili, o altro morbo.
Caravaggio morì il 18 luglio 1610, la notizia della sua morte giunse a Roma il 28, tre giorni dopo si seppe che il Papa gli aveva concesso la grazia.
Oggi, a quattrocento anni dalla sua scomparsa, ancora si indaga sulla sua affascinante figura di avventuriero e sulla grandezza del suo genio artistico.

Il mistero della nascita

Un ultimo mistero su Caravaggio: dai recentemente ritrovati documenti di nascita, avvenuta a Milano (e non in provincia di Bergamo, come si è a lungo pensato) il 28 settembre 1571, si è scoperto che i suoi genitori si chiamavano Fermo e Lucia; una singolare coincidenza o un chiaro indizio di un omaggio postumo al grande pittore da parte di Alessandro Manzoni?

Giovanni Pelosini



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