Voci, doni e desideri (di Lorenzo F.L.Pelosini)

Esiste una miriade di voci dentro di noi. Non tutte si rivolgono al nostro cervello: alcune parlano al cuore, altre al basso ventre, in due linguaggi che la mente razionale stenta a capire.
Queste voci, dall’eco e volume variabile (a seconda dell’individuo e della quantità di alcool da esso ingerito), hanno tutte in comune una forte autorità e una certa malizia.
In verità non saprei dire se queste muse sussurranti vengano dall’ alto dei Cieli, dal nostro subconscio o da “Dio sa dove altro“. Quale che sia la provenienza, resta il fatto che per noi risulta difficile resistere ai loro inviti, specie a quelli espressi da quella particolare voce che sussurra più forte delle altre.
Dentro ognuno di noi esiste un dono e una condanna (un talento e una maledizione, per citare Spiderman) che non vedono l’ora di essere sfruttati. Soddisfare questi istinti ci fa sentire, anche per un solo momento, esseri splendenti, costituiti da volontà pura: perfetti adempitori del desiderio.Frutto della ricerca di queste sensazioni è ogni tipo di espressione artistica, ma (e qui la faccenda si complica) anche ogni tipo di violenza.
Negli ultimi minuti di M, il Mostro di Düsseldorf (1931) di Fritz Lang, l’assassino (nonché violentatore di bambine), catturato e giudicato da un tribunale di criminali mafiosi, si difende strenuamente con una disperata orazione che ci spinge, malgrado un’istintiva repulsione, a provare pena per lui.
Che colpa ne ho io se sono così?” dice il Mostro in preda al terrore, rivolto a quella miriade di occhi che lo guarda con odio, “Voi non sapete quello che succede dentro di me!
Racconta poi che la sua vita è un’eterna tortura, un costante dolore che si placa soltanto nel momento in cui cede al suo “torturatore” e finalmente inizia a uccidere.
Il film si conclude con un messaggio progressista contro la pena di morte e con un’esortazione, non a giustificare la violenza, ma a comprenderne la radice e a trattare gli individui come il Mostro alla stregua di soggetti da curare.
Un’ideale continuazione può essere trovata in Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick, dove la “cura” per la violenza viene sviluppata da un futuribile governo dittatoriale di stampo staliniano in maniera piuttosto sadica e contraddittoria.
Il “nostro affezionatissimo” Alex, protagonista del film, è un individuo a suo modo molto diverso dal Mostro di Lang: in lui, infatti, non c’è conflitto. Alex vede i suoi pestaggi, le sue torture e i suoi stupri come atti meramente artistici, tanto che Kubrick (o Alex stesso) decide di accompagnarli con brani di musica classica che portano questi episodi di violenza nel regno del teatro e della danza.
Questo atteggiamento sociale viene corretto tramite il Trattamento Lodovico, una procedura che condiziona il nostro Alex contro ogni atto di violenza e, per errore, anche contro la sua tanto amata musica. Ad ogni impulso “antisociale” Alex è costretto a terra e paralizzato da un attacco di nausea fulminante che gli impedisce ogni azione. Questo però gli toglie la sola cosa che di fatto rende tutti noi Uomini: la possibilità di adoperare il Libero Arbitrio.
Il titolo del film si rifà, infatti, alla contraddizione intrinseca del cercare di quadrare la circonferenza, di trasformare un qualcosa di “puro e naturale” in qualcosa di artificiale e, appunto, meccanico. L’immagine di un’arancia piena di ingranaggi ad orologeria è un immagine piuttosto eloquente, in proposito.
Alex diviene quindi portatore di un ideale tutto sommato positivo e titanico, la personificazione di quella voce che esorta tutti noi a sentirci incondizionatamente liberi di seguire in nostro vero Io, quello non offuscato da morali e dogmi.
Perché il fatto è, come dice Stephen King, che il Dono vuole essere usato. Quale che sia la sua natura e le sue conseguenze.
Come si fa ad essere illuminati da una scoperta e a non agire?” diceva Mr. Hammond, l’uomo che riuscì a riportare i dinosauri in vita in Jurassic Park di Steven Spielberg, poco prima che i suddetti dinosauri si liberassero dai loro recinti ed iniziassero a mangiarsi i visitatori.
Le forze che evochiamo seguendo i nostri sogni sono sempre paurosamente belle e hanno la capacità non solo di arrecare danno al prossimo, ma di sfociare violentemente, fino a portarci all’autodistruzione.
Chi di noi non ha potenzialmente in sé sia un Charlie Chaplin che un Adolf Hitler in fasce, chi di noi non possiede una “straordinaria capacità di distruggere quello che ama“, come Karl Denham, un altro “sguinzagliatore di mostri” nel celebre King Kong? Alla fine, seguire ogni nostra pulsione ci rende liberi o schiavi di noi stessi? Nel cervello umano il desiderio più profondo può essere sublimato sia dall’Eros che dal Thanatos.
Ed ecco qui il perché di leggi e religioni: l’individuo, come la società, necessita di un freno, di un Super Io freudiano che disciplini il caos primordiale e ci impedisca di danneggiare noi stessi e gli altri. Ma allora il rischio diviene quello di cadere nell’eccesso opposto: divenire schiavi della società.
Il guaio è che noi tutti siamo esseri contraddittori e in noi esistono angeli, diavoli e tutto quello che c’è nel mezzo.
Se è vero cha la società non può spingersi tanto in là da violare l’individuo stesso nel suo lato più intatto e intangibile e si deve limitare ad intervenire dopo che la scelta verso uno dei due estremi è stata compiuta, è vero anche che la sola possibilità di vera autodisciplina sta in noi stessi.
Certe volte, se siamo persone estremamente razionali, è doveroso verso noi stessi ascoltare la voce diametralmente opposta alla ragione e altre volte, come ci ricorda la saggia zia May, bisogna dimostrare carattere e rinunciare alla cosa che amiamo di più, anche ai nostri sogni.

Lorenzo F.L. Pelosini



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