La Forza del Leone: Simboli e Miti

Il possente leone ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo fin dai suoi albori. Ai nostri antenati africani il leone appariva come il più forte e temibile predatore delle savane, il più regale, il più maestoso degli animali. Da quando gli ominidi assunsero la postazione eretta e si mossero nelle aride pianure africane in mezzo alle alte erbe, il grande predatore fu un loro naturale antagonista. Più tardi, dal punto di vista antropologico, i primi osservatori del cielo associarono il leone, re degli animali terrestri, al Sole, signore degli astri e dei pianeti, così come fecero con l’aquila, signora del cielo e dello spirito solare. Quando le migrazioni umane portarono la nostra specie in Asia e in Europa, il leone regnava incontrastato su tutto il Vecchio Continente, come concordano i miti e la storia naturale. Fu quindi naturale in tutte le culture e le mitologie continuare a considerarlo archetipo della sovranità, della forza, della luce solare, e conseguentemente della giustizia, che doveva rispondere alle supreme leggi della natura. Non è un caso che re Salomone, incarnazione della giustizia divina sulla terra, avesse raffigurati due leoni nel suo trono; e forse anche così si può spiegare la discussa posizione numerale nei Tarocchi della Forza (XI) e della Giustizia (VIII), che la confraternita della Golden Dawn volle invertire a cavallo dei secoli XIX e XX.

Nell’antico Egitto una coppia di leoni, posti a oriente e a occidente, intendeva significare la duplicità del sorgere e del tramontare del Sole, quindi la sua eterna resurrezione nel luminoso giorno, il suo trionfo a mezzodì, il meridione, l’estate astronomica. Cacciare e sconfiggere il leone era simbolo di grande coraggio e della capacità superiore umana di affrontare con orgoglio l’emblema stesso delle forze primordiali della natura. L’ottavo Tarocco della serie degli Arcani Maggiori, la Forza, è ancora un retaggio culturale di quelle antiche sfide che solo i re e gli eroi potevano accettare e superare, oltre che il simbolo delle energie interiori e degli istinti profondi che l’uomo è chiamato a dominare per la crescita della consapevolezza di se stesso. Sempre in Egitto il leone con il disco solare accompagnava il dio Ra, mentre la leonessa era un’epifania della dea Sekhmet. Nella piana di Giza l’antichissima Sfinge ha corpo e zampe anteriori di leone, fianchi di toro, ali di aquila e testa umana per raffigurare i quattro Elementi alchemici e le quattro direzioni cardinali: il leone rappresenta il Fuoco e il Sud, come fu sancito anche dalla visione di Ezechiele e da quella dell’apostolo Giovanni nell’Apocalisse. Allo stesso modo, già fra i primi cristiani, il leone fu associato all’evangelista Marco, che ne fece il suo emblema araldico dotandolo di ali per sottolinearne la natura spirituale.

Ma nei miti più antichi il leone aveva continuato per millenni ad essere il re indiscusso, il simbolo del Sole e dell’oro, della forza interiore e di quella esteriore. Nell’Antico Testamento tocca a Sansone incarnare queste virtù, fissando analogie tra la forza, la criniera dell’animale e la capigliatura dell’eroe. Sansone era famoso per aver ucciso un leone nel deserto con una mandibola di asino, altro simbolo solare, e per il significativo indovinello derivato da una sua singolare esperienza (Giudici, XIV, 18):
Che c’è di più dolce del miele? Che c’è di più forte del leone?”

Quando Dalila tradì i suoi segreti e lo privò della chioma leonina mai tagliata prima, la sua forza svanì e i nemici lo resero schiavo, privato della vista (simbolo solare) a girare la ruota (altro simbolo solare) come un asino (ulteriore simbolo solare, come già scritto).

Un altro mitico eroe solare è Eracle, latinizzato in Ercole, che fu chiamato a duellare con il feroce leone di Nemea, una delle tante belve che ancora scorrazzavano per la Grecia e che faceva strage di armenti e di uomini: animale superbo e mostruoso, figlio di Echidna come la Sfinge di Tebe, allevato da Era o dalla dea lunare Selene, con la pelle talmente dura e resistente che non poteva essere trapassata né dal ferro né dal fuoco. In questa prima delle dodici fatiche Eracle intagliò la sua clava traendola da un ramo d’olivo, e con quella affrontò l’animale che sembrava invulnerabile alle frecce e si nascondeva in una caverna con due entrate. Dopo aver chiuso una delle due aperture, Eracle sfidò il leone a mani nude, e così lo uccise. Da quel giorno si vestì della sua pelle invulnerabile e fece della sua testa un elmo dotato di denti e di fluente criniera: il leone nemeo diventò così il suo emblema personale e il simbolo della sua stessa forza. Narrano le antiche leggende che a questo episodio mitico si deve l’origine della costellazione del Leone, voluta da Zeus per celebrare al contempo l’eroe e la creatura così gloriosamente sconfitta ma degna di vivere nei cieli in eterno.

I leoni dei miti antichi, pur essendo creature legate simbolicamente al Sole, sono spesso al servizio delle Dee delle prime culture matriarcali e agricole euroasiatiche, come la frigia Cibele o Gea, spesso raffigurate in trono fra due leoni, oppure su cocchi trainati da due grossi felini.

Quasi tutti i re mesopotamici, da Assurbanipal a Nabucodonosor, sono spesso raffigurati mentre cacciano aggressivi leoni dai loro carri, con frecce e lance: all’epoca un re non era considerato tale se non affrontava il leone. E, se si entrava in Babilonia attraverso una delle sue meravigliose porte fra le mura smaltate di azzurro, si veniva scrutati dai rilievi di numerosi leoni, silenziosi guardiani della città.

Anche in Persia e in India il leone era simbolo di suprema potenza e di regalità, come testimoniano le rovine dei palazzi di Ninive, ed ancora si ritrova raffigurato come incarnazione della Shakti, o del coraggioso Narasimha, distruttore dell’ignoranza, come trono di Buddha, come emblema di maharaja. Si narra che il capostipite della dinastia dei re di Khajuraho, i potenti Chandela di cui ho conosciuto alcuni degli ultimi discendenti, avesse ucciso un mitico leone a mani nude a soli 16 anni, e in questo atto è ricordato da imponenti sculture fra i maestosi templi a lungo isolati nella jungla del Madhya Pradesh.

È comune pensare all’India come la patria delle tigri, ma fino a pochi anni fa vi vivevano anche numerosi leopardi e leoni, molto affini alla specie africana. Proprio nel Madhya Pradesh, a Palpur-Kuno, fu ucciso l’ultimo leone nel 1873, con una delle imponenti e folkloristiche battute di caccia di ufficiali britannici e principi locali che tanto andavano di moda all’epoca. Nel secolo scorso il leone indiano rischiò così l’estinzione, ridotto nel 1910 a soli tredici esemplari nella foresta di tek a Gir, nel Gujarat. Oggi sono più di 400 i leoni indiani che convivono con le popolazioni locali di mandriani, i quali ne accettano la presenza con il rischio di vedere regolarmente sbranata una parte del loro bestiame. Gli allevatori di bovini Maldharis, che sono pacifici e vegetariani, in genere sopportano queste perdite come un inevitabile tributo alla natura, di cui si sentono ancora parte, e il governo locale sta sfruttando questa risorsa per incrementare il turismo nei parchi nazionali: tutto ciò lascia sperare per il futuro di questa rara specie di grandi felini.

C’erano leoni anche in Italia fino a circa ventimila anni fa, e in epoca storica l’habitat del leone asiatico andava ininterrotto dall’Europa sud-orientale all’India, attraverso l’Anatolia e la Persia. Narra Erodoto che i cammelli dell’esercito di Serse subirono un attacco di leoni sulle montagne della Grecia settentrionale nel 480 a.C., e si sa che gli ultimi leoni europei sopravvissero nei Balcani fino almeno al II secolo della nostra era. In Turchia ci sono stati leoni fino al 1870, in Irak l’ultimo morì nel 1918 e ci sono testimonianze di leoni in Iran fino a circa una cinquantina di anni fa. Ora gli ultimi eredi di questa stirpe che tanto ha dato al nostro immaginario collettivo sembrano essere quelli del parco di Sasan Gir nell’India nord-occidentale: in loro vive ancora biologicamente uno degli archetipi fondanti della nostra civiltà.

Giovanni Pelosini



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