Intervista a Lorenzo Pelosini (di Cristina Borsatti)

Lorenzo Pelosini,HollywoodINTERVISTA A LORENZO PELOSINI
di
Cristina Borsatti

Scrittore, sceneggiatore e regista, a soli 26 anni. Lorenzo Pelosini, diplomato in Regia e Sceneggiatura all’Accademia di Cinema Griffith, attualmente si trova in America, a Hollywood, e studia alla University of Southern California. Pubblica il suo primo romanzo a soli 14 anni, firma appena diciottenne il suo primo cortometraggio, e le regie dei corti prodotti durante gli studi alla Griffith confermano il suo grande talento.

C.B.: “Il cuore rivelatore” e “You, Man”, due adattamenti, il primo tratto da Poe, il secondo da Asimov. Durante l’Anno Accademico alla Griffith, hai realizzato due regie sorprendentemente mature, avevi solo vent’anni. Cosa ricordi di questi lavori e cosa ti ha lasciato l’Accademia?

Lorenzo-Pelosini,-Il-cuore-rivelatoreL.P.: Oddio, l’espressione “sorprendentemente matura” mi coglie sempre un po’ alla sprovvista, data la mia natura. Sono lusingato. Di quei corti ho dei ricordi talmente interconnessi con le persone che ho amato che mi commuovo a ripensarci. Sono stati adattati e scritti da quelli che erano all’epoca i miei amici fraterni più stretti. Mi ricordo la felicità indescrivibile di condividere un progetto con un vero co-creatore per la prima volta, di essere padre e madre di un progetto a fianco di qualcun altro. Penso a me e a Daniela Mitta, sceneggiatrice del Cuore Rivelatore, sdraiati sul prato della casa dove giravamo, nel sole di quell’estate, pensando a come girare la prossima scena. Mi rivedo con il mio migliore amico, coinquilino e collega Raffaele Rispoli, che purtroppo ci ha lasciati due anni fa, mentre notiamo uno specchio deformante sul set e improvvisiamo sul momento una nuova scena per YOU, MAN (che poi sarebbe diventata il simbolo dell’intero corto). Piango sempre un po’ quando rivedo quel film e penso che è un ricordo migliore e ben più raro di qualche foto con un amico: è una cosa a cui abbiamo dato vita insieme. Quanto all’Accademia, mi ha lasciato un grande entusiasmo, la gioia di far parte di una famiglia di cinefissati, e un approccio pratico al mestiere che mi è utile ancora oggi. E, appunto, alcuni fra i più bei ricordi della mia vita.

C.B.: Il cuore rivelatore e YOU, MAN hanno anche un “retroscena musicale” interessante. Il primo è uno dei pochi corti musicati dal compositore Vincenzo Ramaglia, il Direttore dell’Accademia Griffith, che tra l’altro si è anche complimentato pubblicamente con te, dopo la proiezione del cortometraggio all’Isola del Cinema, per la tua precoce consapevolezza nel rapportarti – come regista – con un compositore. A proposito di maturità… Il secondo è uno dei soli tre corti ad essersi aggiudicato una colonna sonora eseguita, nientemeno, dall’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala di Milano, ed eseguita dal vivo con proiezione su maxi-schermo. Cosa ti ha lasciato questa doppia esperienza?

Lorenzo Pelosini 2L.P.: È vero, ricordo arrossendo con gioia che Vincenzo mi definì maturo nei rapporti regista/compositore perché sapevo cosa volevo. Un complimento che mi tengo ancora nel cuore. Quante volte sono tornato da lui con note aggiuntive, modifiche, cambiamenti meticolosi che gli avranno fatto di certo perdere un po’ di sonno. Era la mia prima collaborazione con un vero compositore, le prime musiche originali per un lavoro. Ero felicissimo, eccitatissimo. Portai a Vincenzo un insieme di pezzi sample tratti da John Williams e James Newton Howard per mostrare le sensazioni che volevo evocare. Fu il giorno in cui capii l’importanza della colonna sonora provvisoria, non per suggerire note o motivi, ma per raccontare un’emozione. Vincenzo ha ragione, il rapporto fra regista e compositore è il più bello e il più potenzialmente complicato. Perché è come un cinese e un inglese che si incontrano per parlare tedesco. Bisogna raggiungere una forma di comprensione che trascende il visivo e il musicale (di cui io non capisco un beneamato) e praticamente parlare di emozioni e sentimenti, che è un po’ come parlare d’aria. Abbiamo lavorato bene sul Cuore Rivelatore. E mi ha insegnato molto su me stesso. Quanto a YOU, MAN, il prodotto era onestamente migliore e assai meno esitante e visivamente zoppicante del Cuore Rivelatore. Inquadrature pulite, movimenti morbidi, ottima location, e ri-doppiaggio professionale, alla fine ci pareva quasi di avere tra le mani un film vero. E quando ho sentito una vera orchestra accompagnare le immagini che avevamo creato è stata un’emozione unica. Mi ricordo che mi sono girato verso Raffaele, sceneggiatore del corto, e ho detto: “Don (così lo chiamavo), è un film vero!”. Ci ha fatto sentire piccoli professionisti, ha donato un’aura di realtà a un filmino studentesco.

C.B.: Era il 2010, se non mi sbaglio, un anno davvero stimolante, una classe talentuosa…

L.P.: Era il 2010 davvero? Ohmmioddio, m’è preso un attimo di anzianità…

C.B.: Non scherzare…

L.P.: Sì, è stato proprio un anno stimolante. Due compagni di corso sono diventati miei coinquilini e una buona metà della classe è diventato il mio gruppo fisso dell’epoca. Alla fine, circa quattro anni fa, abbiamo preso altre strade e tanti di noi hanno lasciato la capitale. Adesso i contatti si sono, lo dico con rammarico, molto ridotti, come se fosse successo tutto una vita fa. Ma ho ancora una solenne promessa da mantenere con la mia direttrice della fotografia dell’epoca e carissima amica Eleonora Libardi: fare un lungometraggio insieme.

C.B.: Come molti ragazzi in questi ultimi anni hai deciso di partire, di andare Oltreoceano e di studiare ancora. Lo consiglieresti?

L.P.: Lo consiglio così caldamente che mi servirebbe una fornace per esprimerlo. Davvero, io sono un mammone Italiano più di chiunque altro. Dico sul serio. Però, le cose migliori che vivo al momento sono tutte nate da quella partenza. Mi ha salvato. Con questo non voglio addolcire la pillola: è stata la cosa più terrificante che ho fatto finora.

Indiana Jones & Henry Jones Pelosini at USCC.B.: Quali sono state le difficoltà che hai affrontato?

L.P.: Fa paura come il Balzo della Fede alla fine di Indiana Jones e L’Ultima Crociata. Hai presente? Parti da solo per un altro pianeta inesplorato e non hai idea di che accidenti aspettarti. Da una parte ti senti Luke che si unisce alla Ribellione e Kirk che esplora lo spazio, dall’altra vuoi tornare a casa da mamma, sul tuo divano a mangiare biscotti. La cosa più complicata è stato il processo accademico/burocratico per poter partire, una roba infinita durata mesi che senza l’assistenza della famiglia non sarei riuscito a superare. Mentre cercavo di partire per l’America, iniziai la mia crociata per scomodare il mondo. Passavo le giornate a chiamare i miei professori universitari, le segreterie studentesche, il presidente di facoltà, persino i miei vecchi professori di liceo, per ottenere liste ufficiali di voti, documenti, lettere di raccomandazione, tutto perché la USC voleva assemblare una specie di dossier di eccellenza su tutti i suoi potenziali candidati all’ammissione. Un gioco estenuante che comportava anche ottenere 30 e Lode in ogni benedetto esame universitario tenuto in Italia. A un certo punto, nella mia battaglia intervenne l’Accademia Griffith. Vincenzo Ramaglia rispose prontamente e nel giro di pochi giorni, costruimmo da zero documenti con le norme Americane relativi alla media dei voti, al rendimento accademico, alle opinioni dei professori e più o meno a qualunque cosa avessi fatto in quei due anni di Accademia, li autenticammo e li firmammo. Alla fine, finii per togliere altro sonno al buon Vincenzo, che entrò a far parte di quella piccola schiera di persone che hanno usato il loro tempo per aiutarmi a spiccare il volo, contro ogni probabilità. Dico spesso che è stato un po’ come costruire una DeLorean e aspettarsi davvero che voli. Chiunque sia stato matto abbastanza da crederci, dai miei strabenedetti genitori, a quella gran ragazza di mia nonna, alla mia amica Valeria, all’amico e mentore Antonio Monda, a Vincenzo e all’Accademia, ai miei professori che vorrei abbracciare uno a uno, fino alle povere segretarie dell’Università di Firenze, ha la mia gratitudine eterna.

Lorenzo Pelosini, USC, Los Angeles, 2017C.B.: E una volta sbarcato a Hollywood?

L.P.: L’isolamento. Sei lì, nell’Olimpo dei tuoi dei, nella Hogwarts del cinema. Ma sei davvero come Harry che ha scoperto di essere un mago l’altro ieri mentre gli altri lo sanno da sempre. Ti piace quel mondo, ma non conosci le regole, non conosci i termini o i modi più basilari per interagire. Ti fai un sacco di amici, ma nel giro di un mese ti accorgi di essere solo, che non hai una famiglia (parlo in senso lato) vicino. E la vita diventa momentaneamente insopportabile.

Lorenzo Pelosini & Hoverboard at USC 2017C.B.: Ma anche le cose belle non sono state poche. È così?

L.P.: Quando superi quei primi due mesi, qualcosa si spezza e ti si apre dentro. La lingua diventa immediatamente accessibile, parli e interagisci con gli altri, fai interventi in classe e inizi a buttarti nei rapporti sociali con quieta determinazione finché (e qui devi essere anche un po’ benedetto) arriva qualche persona speciale che ti fa sentire a Casa. Da lì tutto cambia. Capisci che stai bene in un posto che fino a ieri sembrava Marte. Qui l’ambiente accademico è così pulsante di vita che è quasi inimmaginabile. Tre mesi fa ho visto George Lucas in ascensore (per dire!), che per me è tipo vedere Zeus che fa la spesa alla Conad. Ci sono corsi sui viaggi nel tempo nel cinema, corsi su Hitchcock e Spielberg e perfino su Star Wars, dove il professore si veste da Jedi e Lucas e Spielberg vengono in classe a parlare di se stessi. E poi collegamenti con l’industria, tirocini, eventi con le star, premiere gratuite dei migliori film in uscita… Vabbè, basta che sennò pare che me la tiri, ma la verità è che qui ti senti utile e apprezzato per quello che puoi offrire al livello creativo. È proprio un altro pianeta. E per chi ama il cinema non è solo Casa: è davvero Hogwarts.

C.B.: Hai dunque intenzione di rimanere in America?

L.P.: Eh, qui arriva il domandone da 64.000 dollari, come diceva Bill. Non lo so, ogni giorno cambio idea. Vorrei restare per un po’ almeno, creare contatti, iniziare a muovermi nell’industria se posso. Quanto al resto della vita, non ne ho idea davvero. Una cosa è sicura, qui c’è vita che pulsa ovunque nell’ambito del cinema. Certo, è un mondo che si regge sui reboot. Ma, ad esempio, la situazione televisiva lascia ampie libertà e sembra offrire molto.

C.B.: Come vedi la nostra situazione cinematografica da lì?

L.P.: Per certi versi, la nostra situazione cinematografica appare disperata. Poche persone anziane che rifiutano di far entrare i giovani nel gioco e pochi film mal finanziati che parlano o di vacanze passate a rimorchiare o di famiglie in crisi. Eppure, stanno accadendo cose splendide che mi hanno fatto commuovere dalla speranza, sia per la nostra situazione che per la nostra reputazione. Gomorra – La Serie sta risuonando perfino qui, dove la serie sta acquisendo notorietà. Paolo Sorrentino e il suo Young Pope sono noti al grande pubblico e soprattutto quel meraviglioso miracolo che è Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti ha viaggiato oltreoceano. Un supereroe italiano che si staglia sulla cima del Colosseo: sognavo una cosa così da 6 anni e finalmente qualcuno l’ha fatto. E ci ha messo anche un cuore senza precedenti. Insomma, io vedo speranza. Tanta.

River Runner, copertina di Stefano CasiniC.B.: Non solo regia, anche scrittura. Il tuo primo romanzo, “Il Volo del Falco” lo hai scritto a 14 anni. Nel 2014 hai concluso “River Runner”, primo titolo di un’ideale trilogia. Attualmente stai scrivendo?

L.P.: Sì, scrivo più o meno sempre. Anche perché o così o di corsa dallo psicologo. Al momento sto lavorando ad alcuni concept per alcune serie televisive che ho ideato con dei colleghi. Nel frattempo, scrivo articoli di cinema per una rivista italiana e i saggi di cinema per il college. Ma soprattutto, sto mettendo da parte idee, personaggi, dialoghi e tanto tanto amore per River Runner 2. Mi ci sono voluti cinque anni per avere il coraggio di finire il primo, vediamo quanto ci metto a partorire questo. Tengo tantissimo al futuro della saga, ma mi occorre un’energia infinita per dargli vita ogni volta che ci metto mano. Spero davvero di potergli dare tutto quello che merita.

C.B.: Scrivi da sempre romanzi e sceneggiature. Ti ha aiutato partire dalla narrativa per arrivare al cinema o, al contrario, le differenze, sulle prime sono state un ostacolo? Quali sono secondo te i più lampanti elementi di diversità?

L.P.: Mi ha aiutato tantissimo partire dalla narrativa. Un romanzo per me è praticamente un film scritto in versione libera, senza regole di format. Da piccolo, ho iniziato a scrivere perché non avevo i soldi o le capacità per girare un film. Penso sempre per immagini. Quando ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura professionale (nella tua classe, per l’appunto, cara Cristina), ho dovuto imparare (con estremo piacere) le regole, ma il modo di pensare già c’era. Tutt’ora per me il modo migliore di partorire qualcosa di profondo e personale è passare dalla lunga e tortuosa via del romanzo. Perché senza regole e format, sono solo io che aspetto la storia, tipo pescatore col pesce, non ho orari o regole, e quindi posso aspettare anche la carpamostro più grossa del lago senza problemi. A quel punto, quando ho capito di che cavolo sto parlando e quanto è grosso questo pesce, posso parlare nei termini più razionali della sceneggiatura. La differenza più grossa, comunque (e qui dico una banalità) è il lavoro collettivo. Se la storia mi arriva in forma di romanzo, mi scavo dentro per mesi, vado in ritiro spirituale (che è un modo pretenzioso per dire che sto zitto a guardare dalla finestra per ore e se mi chiamano manco sento). Invece, per scrivere una buona sceneggiatura, mi devo aprire agli altri. Buttarmi in una stanza piena di fidati (pochi) colleghi e mettere insieme i geni migliori come tanti genitori. Forse, le storie migliori vengono da questi due approcci combinati.

Lorenzo Pelosini, USC 2017C.B.: Ti sei misurato anche con il cinema documentario. Ti piacerebbe girarne altri?

L.P.: Il cinema documentario è stata un’esperienza breve e piacevolissima. Ho passato uno splendido weekend a Firenze, tutto pagato, facendo il turista, manco fossi straniero. Ho assistito alle lezioni, le interviste, le chiacchierate e infine al concerto in cattedrale di Ramin Bahrami, il quale (anche se io non lo sapevo perché in termini di musica ho tanto amore quanta ignoranza) è il più grande esecutore di Bach al mondo. È stato bello, quasi rilassante. Non devi ascoltare una storia che viene da chissà dove e che per metà appare solo alle due di notte evanescente come un fantasma. Ascolti una storia che è già formata, davanti a te nelle carni e ossa di una persona. Piazzi la camera e senti che ha da dire. E, poi, cerchi di rendergli giustizia come meglio puoi quando giri con una Sony Handycam. Insomma, è stata un’esperienza piacevolissima che mi ha anche onorato molto. Ma il fatto è che, se escludiamo Michael Moore e i making of di Star Wars, sono una di quelle brutte persone che si annoia con i documentari. Di norma, non li amo e di conseguenza non riesco a farli bene e con lo stesso amore che metterei in un film. Sono molto più utile all’umanità quando ascolto le storie evanescenti di cui parlavo prima. O, almeno, spero sia così.

USC School of Cinematic ArtsC.B.: Dopo gli studi che farai?

L.P.: Beh, dopo gli studi voglio continuare a fare quello che già faccio, ma in versione ampliata. Voglio continuare a scrivere romanzi, sceneggiature e concept per cinema e televisione. Voglio mettere un piede nella porta dell’industria e iniziare a piantare qualche idea per dare vita a qualcosa di tangibile. Ho una voglia matta di vedere su un vero schermo una cosa che ho partorito, vederla circolare nel mondo vero. Mi farebbe piangere di gioia. Da lì, passo dopo passo, vorrei arrivare a dirigere. Qui la strada è lunga, ma scrivere è forse uno dei migliori modi per arrivarci.

C.B.: In America, quali opportunità ci sono per un giovane sceneggiatore e regista che si affaccia nel mondo professionale?

L.P.: Le possibilità ci sono. Le persone qui ascoltano. E leggono. Non perché i produttori siano filantropi, sia chiaro, ma perché un giovane autore o cineasta può essere un idiota ma anche una miniera d’oro su cui puoi piantare una bella bandiera se hai l’occhio lungo abbastanza. Insomma, ci vedono come una risorsa da sfruttare. Che è comunque inquietante, ma è meglio che essere ignorati come avviene in Italia. Inoltre, la USC è dotata di un pregiudizio positivo a Hollywood per via della sua tradizione, il che non rende le cose facili, ma ci conferisce una forma di privilegio rispetto ad altri laureati, magari altrettanto talentuosi. C’è tanto cinismo, ancor più arrivismo, ma le possibilità ci sono e sono reali. Qui le cose si muovono. E, per ora, tanto mi basta.

USCC.B.: Progetti nel cassetto?

L.P.: River Runner. Per me quel libro è come La Torre Nera per Stephen King (no, non mi sto paragonando ché sennò il dio della scrittura mi folgora). Lo so che sembra pretenzioso dirlo in questi termini, ma sono sposato a questo libro. Dove va lui vado io, e viceversa. Inoltre, come padre, non mi prendo i meriti delle qualità del figlio, per me è più una fortuna quasi immeritata che sia toccato a me di partorire una storia che trovo sinceramente bella, ma vorrei garantirgli il bel futuro che secondo me merita. Quindi, il mio più grande desiderio è espandere la saga e portarla un po’ nel mondo. Oltre a questo, ci sono tante altre storie che voglio raccontare.

C.B.: Per concludere, un consiglio, ai tanti ragazzi che in Italia vorrebbero intraprendere una carriera cinematografica…

L.P.: Oddio, ora mi sento di colpo uno di quei ragazzi fighi che torna al suo liceo per ispirare le generazioni future o come il protagonista di una storia. Che bel regalo che mi stai facendo. Beh, ragazzi, intanto guardate film, ma guardateli per davvero, con la mente attiva. Pensate come mai quel film è straordinario e cosa di ancora più straordinario ci sarebbe da dire sull’argomento. A quel punto, create qualcosa di vostro per “contribuire con un verso” a quanto detto. Un corto, un lungometraggio, qualsiasi cosa. Basta che impariate a conoscere cosa avete davvero da dire. Terza cosa, trovate una “famiglia”, persone con cui scrivere e che riuscite a sopportare e perfino ad amare anche dopo una settimana sul set e non mollatele più. Loro sono le persone con cui farete figli, che vi terranno in vita mentre le cose ancora non marciano. E, come ultima e più importante cosa, per riuscire a entrare nel cinema per davvero, frequentate le persone. Questo è un business fatto di persone. Quelli come noi sono bravi a creare, quando siamo benedetti dalla sorte, ma non bravi a venderci. Ecco, imparate a impacchettarvi bene e a mettervi sotto l’albero al momento giusto appena capita una vigilia di Natale, o trovate chi lo fa per voi. È come con le ragazze. Io non ci credevo, ma essere belli o brutti conta fino a un certo punto. Le ragazze non amano i giocatori di football per la stazza, ma perché camminano come se fossero i dannati re del mondo. Quindi (e questa cosa me l’ha detta Brian Dio-Lo-Benedica Cranston, che ha sofferto una vita prima di diventare un dio): comportatevi come se aveste qualcosa da offrire e non solo qualcosa da chiedere. Senza spocchia, ma con coraggio. Sia con le ragazze che con il cinema, le cose migliori mi sono successe quando ho ingoiato la timidezza e fatto una cosa assolutamente stupida, folle e inaspettata al momento giusto. E quel piccolo atto di pazzia che dura un secondo, ve lo posso garantire col cuore, farà tutta la differenza per anni e anni a venire. Senza un paio di questi atti, non sarei partito. E adesso non sarei qui a chiacchierare di me stesso con te, e a sentirmi lusingato dalle tue domande.

Lorenzo Pelosini, USC School of Cinematic ArtsBIO/FILMOGRAFIA

Lorenzo Pelosini, nasce a Cecina il 4 Giugno 1990. Sin da bambino sviluppa interesse per il Cinema e la Letteratura. Debutta nello show business all’età di 8 anni, lavorando negli spettacoli cabarettistici sulle navi da crociera della Grimaldi Lines e successivamente per i villaggi turistici Delphina Resort. A 14 anni scrive il suo primo romanzo, Il Volo del Falco, riguardante il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Nel 2009 il premio Oscar John Irving lo scopre e ne scrive la prefazione definendolo “una riflessione sorprendentemente matura sulle problematiche della crescita esistenziale”. A sedici anni inizia i primi esperimenti come videomaker e gira il suo primo cortometraggio professionale all’età di 18 anni, L’Ultimo Notturno, con la fotografia di Giovanni Cavallini. Il film vince vari premi fra cui il Terzo Posto al Festival Cinematografico Europeo. Nell’anno accademico 2010 frequenta l’Accademia di Cinema e Televisione Griffith a Roma e si diploma in Regia e Sceneggiatura con la valutazione finale di 30/30. Durante la sua permanenza partecipa a diversi corti e ne dirige due: Il cuore rivelatore, dall’omonimo racconto di Poe, e YOU,MAN da Soddisfazione Garantita di Isaac Asimov. Nello stesso periodo lavora come assistente logistico al festival culturale Un parco d’autori e scrive articoli di Cinema e Filosofia per la rivista Spirito Libero. L’anno dopo realizza un breve documentario su Ramin Bahrami, il più famoso esecutore di Bach al mondo. Nel 2012 e 2013 sovrintende e dirige due progetti di educazione alla cinematografia presso le scuole elementari e medie del Comune di Rosignano, durante i quali i giovani studenti sono messi a contatto con la realizzazione di brevi opere di stampo cinematografico. Nello stesso periodo lavora freelance come giornalista presso la Empire Magazine Italia, recensendo alcuni film. Nell’ottobre del 2014 termina il suo secondo romanzo, River Runner – Il Filo D’Oro, primo capitolo della trilogia, presentato dal critico cinematografico/letterario Fabio Canessa. Attualmente si trova a Hollywood e studia alla University of Southern California – School of Cinematic Arts, alma mater di registi come George Lucas, Robert Zemeckis e Ron Howard.

Cristina Borsatti, 14 febbraio 2017

http://www.griffithduemila.com/news/intervista_a_lorenzo_pelosini,232.html

 



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