La Cometa di Natale

La “Cometa di Natale” 46P/ Wirtanen si sta avvicinando rapidamente e sarà piuttosto luminosa e visibile probabilmente anche a occhio nudo intorno al 16 dicembre 2018: secondo le previsioni la sua chioma dovrebbe essere piuttosto brillante ma forse non apparirà lunga nel cielo a causa della particolare prospettiva terrestre. Per avvistarla sarà importante essere in luoghi lontani dalle luci urbane, magari dotandosi di un piccolo binocolo, e osservare il cielo fin dalla prima parte della serata in direzione delle Pleiadi, verso Est.

La Cometa di Natale è piuttosto piccola (circa 1,2 km di diametro) e sarà al perielio (punto più vicino al Sole) il 12 dicembre 2018. Quindi si avvicinerà alla Terra domenica 16 dicembre, a soli (si fa per dire) 11 milioni di chilometri di distanza. Il passaggio critico al perielio di norma riduce il nucleo delle comete, ma, se 46P/Wirtanen riuscisse a effettuare “il giro di boa” intorno al Sole mantenendo un’apprezzabile massa di materiali ghiacciati senza dividersi in pezzi come una grossa palla di neve sporca (come successe alla cometa Ison nel 2012), allora si troverebbe nella condizione ideale per essere osservata dalla Terra con la sua coda riflettente i raggi solari. Il nucleo delle comete, infatti, è costituito da un ammasso ghiacciato di acqua, monossido di carbonio, anidride carbonica, ammoniaca e metano in forma solida mescolato a polveri e rocce; e tutto questo rischia di disintegrarsi a ogni periodico passaggio nei pressi del Sole. La chioma e la coda luminosa delle comete sono sostanzialmente proprio l’effetto di questa perdita di materia a causa delle radiazioni solari.

46P/Wirtanen fu avvistata per la prima volta nel 1948 dall’astronomo americano Carl Alvar Wirtanen: è una cometa relativamente giovane, con un periodo di rivoluzione di poco più di 5 anni. Dallo scorso ottobre sta transitando nell’emisfero nord e, nella sua marcia di avvicinamento al Sole, ogni giorno sarà sempre più visibile e brillante fino quasi a Natale. Dovrebbe poi restare visibile fino ai primi giorni di gennaio 2019, proprio come nelle tradizioni di questo periodo.

LA TRADIZIONE DELLA STELLA DI NATALE

Chissà se nel 2018 vedremo la classica “stella” di Natale nel cielo come nel Presepe? Probabilmente non così come Giotto l’aveva dipinta nella sua Adorazione dei Magi, né come il grande e brillante segno celeste riportato nell’Arazzo di Bayeux che celebra la conquista dell’Inghilterra da parte dei normanni nel 1066.

Proprio in quell’anno, durante la battaglia di Hastings, re Harold fu ucciso e la sua corona passò a Guglielmo il Conquistatore. Nel celebre arazzo medievale sono ritratti uomini meravigliati che indicano la classica forma di una cometa nel cielo sotto la scritta “ISTI MIRANT STELLA”: alcuni di essi mostrano timore di fronte a un evidente segno del cielo.

Quella “stella” era la più famosa cometa della storia, più tardi chiamata 1P/Halley, dal nome dell’astronomo che ne individuò la ricorrenza. L’inglese Edmond Halley osservò la cometa nel 1682 studiandone le analogie con quella descritta da Keplero nel 1607, e con quella che era stata documentata nel 1531. La sua ipotesi fu che si trattava sempre dello stesso corpo celeste che orbitava intorno al Sole con un percorso fortemente ellittico e con un periodo di circa 76 anni. I fatti gli diedero ragione quando la “sua” cometa fu osservata nuovamente proprio la notte di Natale del 1758.

Da allora la Cometa di Halley non ha mancato mai un appuntamento. Mio nonno Tosello ha avuto la sorte di vederla due volte, e mi ha raccontato della meraviglia del passaggio vicino alla Terra nel 1910, quando la sua luce fu visibile in pieno giorno. Corse voce, anche in quel tempo, che le comete fossero un segno di disgrazia, un annuncio celeste di guerra imminente. Mio nonno fu deluso invece dall’ultimo passaggio nel 1986, quando la cometa, distante e con un nucleo ormai fortemente ridotto dalle numerose volte in cui si era trovato nei pressi del Sole, apparve come un fioco barlume, poco più che una curiosità per astrofili.

Eppure al tempo di Giotto (nel 1301) la cometa di Halley fu veramente un evento spettacolare, che il pittore immortalò appena due anni dopo nel celebre affresco della Cappella degli Scrovegni a Padova. Forse nacque proprio da questo la tradizione della cometa di Natale che ancora oggi figura nel presepe, fondendosi, nel mito, con la Stella di Betlemme che i Magi seguirono per trovare il luogo della natività di Gesù secondo il Vangelo di Matteo. Origene di Alessandria e Giovanni Damasceno ipotizzarono che la “stella” dovesse essere in realtà una cometa, e che pertanto essa non poteva essere un segno astrologico di sventura. Anche se è probabile che non fu la cometa di Halley (al perielio nel 12 a.C.) a guidare i Magi, ma più facilmente una triplice congiunzione di Saturno e Giove nel simbolico segno dei Pesci fra maggio e ottobre del 7 a.C. (come ipotizzò Keplero) che seguì un grande stellium di Sole, Luna, Venere, Giove, Saturno affollati in pochi gradi, oppure l’esplosione di una supernova che illuminò il cielo per qualche giorno.

La stessa Halley fece la sua improvvisa apparizione anche nel 66 d.C., così come riportato dalle cronache del tempo, e l’evento fu associato ai sanguinosi tumulti in Palestina, che sfociarono nella rivolta della provincia romana repressa nel 70 dalle legioni dell’imperatore Vespasiano, che rasero al suolo il Tempio di Salomone a Gerusalemme. Il Talmud racconta di “una stella che appare una volta ogni settanta anni, e rende confusa la volta celeste inducendo in errore i capitani delle navi”. Anche in quel caso il passaggio della luminosissima cometa fu preso come un segno del cielo, e forse servì anche per istigare il popolo ebraico alla successiva e ultima ribellione contro i dominatori romani guidata da Simon Bar Kokhba (Simone Figlio della Stella).

LA TRADIZIONE DELLA COMETA COME PORTATRICE DI SVENTURA

Un altro segnale infausto sembrò il visibile passaggio del 1456. Quella volta la cometa di Halley era talmente vicina alla Terra che la sua coda era lunga 60° ed era ricurva come una scimitarra. Questa forma in tutta Europa fece pensare alla minaccia di una invasione dei Turchi, che avevano già conquistato Costantinopoli (5 maggio 1453). Pochi giorni dopo il passaggio della cometa del 1456, come seguendo un drammatico copione,  l’esercito turco ottomano del sultano Maometto II iniziò l’assedio di Belgrado, unico rilevante ostacolo militare nel risalire il corso del Danubio verso il regno d’Ungheria e l’Europa centrale.

L’invasione turca fu una delle grandi paure dell’Occidente cristiano. Papa Callisto III sembra che ne fosse terrorizzato: alcuni raccontarono che addirittura scomunicasse la stessa cometa; di certo ordinò che le campane suonassero “a mezzogiorno” chiamando alla preghiera per la salvezza del castello di Belgrado, e mandò il francescano Giovanni da Capestrano a guidare una crociata di volontari in soccorso della città e in appoggio all’esercito ungherese di Jànos Hunyadi.

Nonostante la vittoria dei cristiani a Belgrado fermasse l’avanzata dei Turchi Ottomani per quasi un secolo, quel periodico arrivo della grande cometa dovette essere interpretato come un segnale di sventura che rimase a lungo nell’immaginario collettivo occidentale. Il 9 giugno 1456 la Cometa di Halley era passata al perielio con grande evidenza in tutto il mondo, e il 4 luglio dello stesso anno, con altrettanto clamore, gli Ottomani attaccarono Belgrado, che era l’ultimo baluardo a difesa dell’Europa dall’invasione: i Turchi erano alle porte dell’Europa; guerre, carestie e pestilenze devastavano il continente e certamente i segni celesti imprevisti e improvvisi come le comete non potevano che essere interpretati come presagi infausti da parte delle superstiziose popolazioni.

Da questo episodio, che fu eclatante in tutto il mondo occidentale, deriva probabilmente la fama sinistra delle comete tramandatasi fino a oggi.

Ma anche nel Medio Evo le comete non erano interpretate come un segno positivo dagli astrologi. Ne fa fede la cronaca di Giovanni Villani sul passaggio di 1P/Halley del 1301, lo stesso probabilmente raffigurato da Giotto.  Villani dimostra qui conoscenze astrologiche e fa riferimento alla drammatica discesa in Italia delle truppe francesi di Carlo di Valois nel 1301, che furono, fra le altre cose, la causa dell’esilio di Dante Alighieri da Firenze (Nuova Cronica, I, XLVIII, Come apparve in cielo una stella commata):

Nel detto anno (1.301), del mese di settembre, apparve in cielo una stella commata con grandi raggi di fummo dietro, apparendo la sera di verso il ponente, e durò infino al gennaio, de la quale i savi astrolagi dissono grandi significazioni di futuri pericoli e danni a la provincia d’Italia, e a la città di Firenze, e massimamente perché la pianeta di Saturno e quella di Marti in quello anno s’erano congiunte due volte insieme nel mese di gennaio e di maggio nel segno del Leone, e la luna scurata del detto mese di gennaio similemente nel segno del Leone, il quale s’atribuisce a la provincia d’Italia. E bene asseguì la significazione, come innanzi leggendo potrete comprendere; ma singularmente si disse che la detta commeta significò l’avento di messer Carlo di Valois, per la cui venuta molte rivolture ebbe la provincia d’Italia e la nostra città di Firenze”.

Dante Alighieri in quell’anno vide senza dubbio la grande luce di Halley in uno dei momenti più tristi della sua vita, eppure non mostrò di temerne il presagio, facendone un cenno ottimistico solo in Paradiso (XXIV, 10-12):

“[….] e quelle anime liete

Si fero spere sopra fissi poli,

fiammando a volte,

a guisa di comete”.

E durante il passaggio di 76 anni dopo ci fu lo storico trasferimento della sede papale da Avignone a Roma (durato quasi un ciclo di Halley), che diede origine alla lunga crisi dei Papi e degli Antipapi conosciuta come Scisma d’Occidente.

In effetti, nel passato come in periodi più recenti, non sono mai mancati eventi storici importanti da associare ai fenomeni celesti meno comuni. Mentre fin dall’antichità si conoscevano i ritmi dei pianeti, e se ne studiavano i significati in relazione agli accadimenti e alle vicende umane, non si poteva comprendere il significato del passaggio di una cometa, che sembrava essere un evento assolutamente eccezionale, imprevedibile e improvviso, nonché spesso particolarmente evidente e clamoroso.

Ne derivò la convinzione che il senso astrologico di una cometa fosse necessariamente l’annuncio di qualcosa di eccezionale e di importante. Nello stesso modo erano interpretati gli sciami meteorici di una certa rilevanza, l’esplosione di supernove, e ogni altro insolito fenomeno celeste che sfuggisse alle conoscenze e alle logiche del tempo.

In quanto rottura della regolarità dei cicli celesti, la cometa doveva essere interpretata simbolicamente come presagio di fine di un ciclo, di morte, o comunque di rivoluzione dell’ordine costituito. Così per esempio sembrò il 14 ottobre 1066 agli occhi degli abitanti dell’Inghilterra, che, durante un periodo di innumerevoli scorrerie vichinghe, videro i Normanni invadere l’isola e terminare la dinastia dei re sassoni, dopo che la cometa di Halley si era presentata improvvisamente nel cielo il 20 marzo dello stesso anno, così come riportato nel citato Arazzo di Bayeux.

I TANTI RITORNI DI HALLEY

Gli astronomi dell’antica Cina la osservarono forse per la prima volta 240 anni prima di Cristo e la descrissero come una “stella a spazzola che appare a Oriente”. Ma da quanto tempo l’uomo la osservava nei suoi ciclici ritorni?

Aspettiamo ancora Halley il 29 luglio 2061, quando tornerà a farci visita per l’ennesima volta, anche se spesso (soprattutto in maggio e in ottobre) ci saluta con le meteore dovute alle polveri staccatesi dalla sua coda in questi ultimi duemila anni e abbandonate lungo la sua orbita.

Quando la cometa di Halley fu osservata da mio nonno Tosello nel 1910 suscitò anche l’interesse di Giovanni Pascoli. Il poeta la ricordò senza dimenticarne la triste fama di portatrice di cambiamenti inattesi, come una “stella” che vaga senza ordine né regola, dispersa nello spazio in un movimento folle, forse tesa a uscire dallo stesso cosmo per ricongiungersi all’indistinto caos primordiale (La cometa di Halley, I):

O tu stella randagia, astro disperso,

che forse cerchi, nel tuo folle andare,

la porta onde fuggir dall’universo!

Tutti temono la luce della cometa, le stesse stelle, i pianeti, le Sibille che predicono il futuro non prevedendone l’improvvisa apparizione, i profeti che piangono le annunciate sciagure:

Le stelle, quando la tua face appare,

impallidiscono; ansa nei pianeti

l’intimo fuoco, alto s’impenna il mare.

Escono le sibille dai segreti

antri d’Urano. In riva dei canali

di Marte, in pianto, passano i profeti.

Pieno di pianto è il cielo dei mortali

figli del Sole; e sangue rosso piove

nella penombra, a man a man che sali,

degli astri attorno al semispento Giove”.

Ancora Pascoli descrive il cielo illuminato solo dalla luce della cometa, che fa impallidire le stelle, e paragona la sua coda a quella di un serpente (angue) mortale che annuncia guerre e sventure (La cometa di Halley, III):

Le stelle impallidirono. Non v’era

altro che te nel cupo cielo esangue

che tu sferzavi con la tua criniera.

Tra i pianeti e i soli, eri com’angue

che uccide e passa. A questa nera Terra

dicevi il tristo ribollir del sangue,

l’ombre vaganti, i gridi di sotterra,

tutti gli affanni, tutte le sventure,

tutti i delitti: incendi, stragi, guerra”.

Più avanti addirittura immagina la torva cometa, “astro di morte”, minacciare la stessa Terra di colpirla come un asteroide impazzito e deciso a eliminare dal sistema solare la sua stessa memoria (La cometa di Halley, V):

E tu dicevi:- Io posso

spezzarti, o Terra. E niuno saprà mai

che v’era un globo, ora da me percosso,

nei freddi cieli. Ti disperderai

come una grigia nuvola d’incenso,

o nera terra! [….]”.

Era questa forse la paura atavica dell’uomo di fronte a fenomeni sconosciuti e misteriosi come l’arrivo inatteso di una brillante cometa nel cielo, quella della fine della propria precaria vita, dell’esistenza della stessa Terra?

Di queste antiche paure ci parlano le comete, con il loro nucleo non più grande di qualche decina di chilometri che rimane oscuro e invisibile per quasi tutta la loro esistenza, con la loro chioma leonina che si accende solo in prossimità delle radiazioni solari, con la loro coda sempre opposta al Sole e lunga anche centinaia di migliaia di chilometri. Ci parlano della paura eterna dell’ ignoto, del buio che circonda le immense profondità dello spazio dal quale sembrano arrivare all’improvviso, e forse anche del buio che regna nelle profondità dell’inconscio. Non è un caso che nei miti Plutone regni nelle tenebre degli Inferi, e contemporaneamente sia l’ultimo spurio pianeta all’estremo confine del sistema solare. Oltre Plutone c’è un immenso mondo ignoto ed estraneo dal quale provengono le misteriose comete: la misteriosa e fredda Nube di Oort. Oltre i confini della coscienza c’è il buio dell’inconscio, che ci appare altrettanto estraneo e diverso, altrettanto distante e misterioso dei confini dello spazio conosciuto.

Nelle più elaborate teorie esobiologiche si ipotizza che le molecole alla base della vita siano state portate sul nostro pianeta proprio dalle comete, intese come vettori di catene di amminoacidi fecondanti l’universo. Possiamo allora immaginare un universo brulicante di vita, nel quale la materia si trasforma continuamente, l’inizio e la fine coincidono, la nascita e la morte si equivalgono nella misteriosa danza ciclica dell’esistenza cosmica. Un universo considerabile come un unico complesso organismo, nel quale le galassie sono soltanto le singole cellule di immensi organi funzionali alla vita di un unico essere cosmico. Un universo originato forse con il Big Bang dall’uovo cosmico primordiale nel quale era evidente che “Tutto” e “Uno” coincidessero. Un universo forse destinato in un futuro solo relativamente lontano a tornare alla sua origine puntiforme senza tempo né spazio… Uno, Tutto, Niente, Vuoto… Mistero.

Concludo con le ultime parole dell’inno di Pascoli:

Terra non più, Cielo non più, ma il Niente

Il Niente o il Tutto: un raggio, un punto, l’Uno”.

Giovanni Pelosini



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