Simboli di trasformazione alchemica del XII Arcano

I Tarocchi, intesi come macchina filosofica, sono uno strumento complesso di origine sconosciuta che si sviluppò in Europa parallelamente all’alchimia, non solo negli aspetti iconografici e simbolici, ma anche nella sottile funzione speculativa di trasformazione interiore assimilabile alla Grande Opera.
La tradizione alchemica cominciò a diffondersi in Europa probabilmente fra il 1100 ed il 1200 grazie alle prime traduzioni dei trattati magici, astrologici e spagirici dall’arabo, che, a loro volta, tramandavano la tradizione degli antichi testi greci ed egizi.
Nello stesso tempo la simbologia esoterica iniziava a svilupparsi nell’architettura sacra e nell’iconografia delle cattedrali gotiche, così come nei sodalizi iniziatici.
I Tarocchi e l’alchimia trovarono un terreno fertile di sviluppo proprio in Italia, grazie al mecenatismo illuminato delle corti dei signori, l’apporto culturale dei sapienti islamici e soprattutto ebrei, cacciati dalla Spagna alla fine del XV secolo, dei bizantini dopo la caduta di Costantinopoli del 1453, del movimento dei neoplatonici, con Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
In quella splendida fucina sincretistica di scienza e di arte che fu il Rinascimento italiano si ebbero anche le prime notizie documentate dei Tarocchi come raffinato gioco di corte.
Subito dopo si fecero strada le idee di magia naturale di Paracelso, di Cornelio Agrippa, di Bernardino Telesio e di tanti altri, in una feconda commistione di Cabala, gnosticismo, ermetismo, alchimia, astrologia, mitologia greca, misticismo e antiche tradizioni occidentali.
Il linguaggio volutamente ermetico della simbologia esoterica rappresentava, e rappresenta ancora oggi, una delle più grandi difficoltà di comprensione e di interpretazione dei princìpi dell’alchimia, riconoscibili talvolta anche nell’iconografia dei Tarocchi. La difficoltà consiste sia nella decifrazione degli antichi codici di alchimia, protetti dal linguaggio ermetico degli iniziati, sia nella stessa struttura dei simboli, che sono plurivoci per loro intrinseca natura.
Il termine “alchimia” significa “fondere le due parti”, cioè “colare e trasmutare”. Nel profondo si riferisce alla trasformazione che l’alchimista opera sui metalli ma soprattutto su se stesso.
I Tarocchi, come l’alchimia, possono essere un percorso di conoscenza e di trasformazione, un sentiero iniziatico di introspezione attraverso la comprensione intima degli archetipi.
Conosci te stesso“: l’antico motto di Delfi è ancora un utile viatico per il moderno esploratore del profondo, perché conoscersi completamente era ed è tuttora una grande impresa per l’uomo che accetta di seguire percorsi di ricerca interiore, i quali non sono meno ardui delle prove iniziatiche degli eroi mitologici.
A questi eroi è dedicato un particolare Tarocco, fra i tanti in cui si trovano precisi riferimenti simbolici alla Grande Opera: l’Appeso. L’eroe del XII Arcano però non è un classico eroe “solare”, ma un eroe “lunare”, che esprime il desiderio di espandere la coscienza dell’uomo che osserva, comprende e trasforma se stesso in un’alchimia filosofica, speculativa, e quindi operativa.
Il XII Arcano dei Tarocchi Aurei ci parla di questa ricerca e del sacrificio che essa richiede.

L’Appeso dei Tarocchi Aurei si ispira al dio Odino della mitologia nordica: una divinità a cui si sacrificavano ritualmente gli impiccati e che per primo interpretò le tavole con le Rune sacre. Odino sacrificò un occhio pur di bere alla magica fonte Mìmir, che zampillava fra le radici dell’albero cosmico Yggdrasil e lì rimase appeso capovolto.
Così lui stesso racconta l’esperienza nell’Edda poetica (una delle più antiche e precise descrizioni dell’Arcano XII che ci siano pervenute):
Io credo di essere rimasto appeso all’albero ventoso,
Appeso per nove notti intere …

Nove intere notti per celebrare il simbolico sacrificio dell’uomo-dio sono tre volte tre notti, e sono quasi un richiamo alla crocifissione, a cui si allude anche con la posizione delle gambe dell’Appeso. Nove sono anche le operazioni alchemiche per la trasmutazione dei metalli.
Con la lancia fui ferito e venni offerto
A Odino, me a me stesso …

A prezzo della sofferenza che ha accettato, l’Uomo realizza se stesso e comprende di essere un’Anima immortale, cosicché il sacrificio diviene un’offerta al Sé.
Sull’albero di cui nessuno potrà mai sapere
Quali siano le radici sotterranee …

L’ottenimento della saggezza non esclude, però, il Mistero originario, incomprensibile ad ogni uomo che sia ancora incarnato in un corpo e, ipso facto, prigioniero degli Elementi. Da qui anche la necessità di essere digiuni per controllare i sensi e la mente:
“Nessuno mi allietò col pane o con il corno …”
E solo a quel punto, superata la prova, Odino ci racconta di aver avuto la visione delle Rune, le antiche lettere sacre di rivelazione, che, come i Tarocchi all’iniziato, svelano i segreti per la crescita, per la salute, per la conoscenza degli archetipi celati nelle figure e nei simboli che diventano parole.
E lì sotto ho guardato:
Presi le rune, gridando le presi,
E subito ricaddi all’indietro.
Poi incominciai a crescere e ad acquistare saggezza;
Crebbi e stavo bene;
Ogni parola mi portava ad un’altra parola,
Ogni gesto a un altro gesto
“.

Così Odino, l’Appeso, il “dio della corda”, conobbe se stesso ed apprese l’arte della lettura dei segni.
L’Appeso-Odino è l’eroe che ha accettato il sacrificio supremo per una catarsi profonda. Il suo non è un supplizio, giacché essere sospesi capovolti non è mai stata una pena capitale; e la sua non è neanche una vana tortura, perché è un’azione motivata e volontaria.
Osservando la figura si nota che l’Appeso non tenta di liberarsi dalla scomoda posizione, anzi la utilizza per avere una visione del mondo alternativa: la realtà ora è capovolta, tutto appare al contrario, il sotto sta sopra ed il sopra sta sotto, ciò che sembrava prioritario ora è secondario, ciò che sembrava importante non lo è più, ciò che non si notava ora diviene rilevante.
Ecco che l’Appeso, apparentemente fermo e bloccato, è sì incapace di muoversi fisicamente, ma è anche in viaggio verso le proprie dimensioni interiori.
E, infatti, chiude l’occhio sinistro lunare per rivolgere simbolicamente lo sguardo all’interno, ad esplorare gli infiniti universi negletti dall’uomo comune, distratto dalla Materia.
Così si spiega alchemicamente il XII Tarocco e la figura seminuda nella scomoda posizione capovolta, che celebra il sacrificio rituale dell’impiccagione per la realizzazione della Grande Opera.
Dallo Hàvamàl (157), ci giunge un’ulteriore dimostrazione della correlazione fra il XII Tarocco e la mitologia nordica:
Conosco un dodicesimo (incanto):
quando vedo dondolare un cadavere impiccato a un albero,
allora incido e dipingo rune
sì che l’uomo cammini e mi parli
“.
Si noti anche il ginocchio piegato in modo che le due gambe formino una croce: il sincretismo cristiano-pagano dei primi secoli del Medio Evo era teso senza dubbio a sovrapporre la figura di Odino a quella di Cristo nel pensiero mitico dell’Europa settentrionale. Nell’iconografia sacra le cerimonie magico-religiose, le impiccagioni rituali ed i sacrifici umani delle primitive popolazioni europee (cfr. Procopio, Tacito, Adamo da Brema, Frazer) si fusero sincretisticamente con il più rilevante simbolo iconografico della tradizione cristiana.
L’albero dell’Appeso è dunque anche un’allegoria della Croce, Lignum Vitae, simbolo di scelta e di sacrificio salvifico. Ecco perché numerose rappresentazioni medioevali della crocifissione raffigurarono il Cristo inchiodato ad un albero anziché ad una croce.
Nelle antiche iconografie che probabilmente ispirarono i primi Tarocchi, il sacrificio del mito di Odino presentava analogie con il sacrificio di Gesù: appeso ad un legno e
trafitto dalla lancia di Longino, il Figlio si immola al Padre, cioè a se stesso, sulla Croce-Albero della Vita, il ligneo ponte che affonda le sue radici negli inferi e sviluppa la sua cima fino al trono di Dio attraversando il mondo.
Anche Joseph Campbell (I nomi della dea) ipotizzò un collegamento fra le figure di Odino e di Cristo, soprattutto anche nel taglio “pagano, neoplatonico e addirittura orientale” presente nella pagina “Tunc” del Libro di Kells.

Il famoso libro miniato dell’Abbazia di Kells, in Irlanda, risale al IX secolo ed è uno dei più straordinari ed antichi testi dei monaci artisti di quell’isola. Si osservi la pagina in cui compare la celebre frase del Vangelo di Matteo (XXVII, 38) realtiva alla crocifissione:
Tunc crucifixerant XRI cum eo duos latrones
(Allora vi furono due ladroni crocifissi con lui)

I motivi decorativi celtici si esprimono come due serpenti attorcigliati dalla testa di gatto e di volpe, immagini simboliche riferite ai due ladroni che furono appesi a fianco di Gesù. Due ladroni, un gatto ed una volpe, si ritrovano testualmente nella bella favola iniziatica di Collodi: Pinocchio.                                                                                                                                             Pinocchio è favola alchemica, mistica e fortemente simbolica in ogni sua parte: il burattino di legno è sul sentiero della trasformazione di se stesso, alla ricerca della virtù, insidiato dai mille pericoli del mondo e dalle sue debolezze. Leggendo attentamente il capitolo IV, quando il Gatto e la Volpe (i due ladroni) decidono di uccidere e derubare il burattino, si scoprono precisi riferimenti ai miti archetipi del XII Tarocco:
E cavati fuori due coltellacci lunghi e affilati come rasoi, zaff… gli affibbiarono due colpi in mezzo alle reni. (….)
– Ho capito; – disse allora uno di loro – bisogna impiccarlo! Impicchiamolo!
– Impicchiamolo! – ripeté l’altro. Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle e, passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande.
(….) Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato,
facendolo dondolare violentemente come il battaglio d’una campana che suona a festa ….

Nella fiaba di Collodi ci sono veramente tutti gli elementi: le ferite che precedono l’impiccagione, le mani legate dietro la schiena, il grande albero sacro (Croce) ed il gran vento che lo scuote e fa pendolare l’Appeso. Come già ebbe modo di osservare anche il cardinale Giacomo Biffi, le analogie con la passione cristiana sono evidenti, a mio giudizio soprattutto nella presenza dei due ladroni e nell’ultimo pensiero che il sacrificato rivolge al Padre (come in Marco, 15,34: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?“):
… vide che non compariva nessuno, proprio nessuno,
allora gli tornò in mente il suo povero babbo… e balbettò quasi moribondo:
– Oh babbo mio! se tu fossi qui!…
E non ebbe fiato per dir altro
“.
Giovanni Pelosini

(tratto da Atti del I Convegno Internazionale Scienze Arte Alchimia, Vergato, 23 giugno 2007)



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