Patafisica dei colori
Così come la Metafisica rappresenta ciò che sta oltre la Fisica, la Patafisica è lo sviluppo ulteriore della filosofia che, procedendo ben oltre i dati dell’esperienza, dei sensi, e dello stesso pensiero metafisico, supera e trascende la spiegazione dei princìpi della cosiddetta realtà. Tale invenzione artistica e visionaria dell’eccentrico scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry (1873-1907) può rappresentare un originalissimo e paradossale strumento filosofico che converte e stimola il pensiero creativo ad esplorare abnormi ed assurdi territori psichici, reali ed irreali al contempo. Così lo stesso Jarry definì la Patafisica: “La patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per la loro virtualità.” La Giduglia è un simbolo squisitamente patafisico a forma di spirale o vortice che empaticamente mi ha sempre attratto, come tutti i simboli del resto, ma ciò che mi fa essere maggiormente in sintonia (e in simpatia) con la ‘patafisica (con apostrofo iniziale) è la considerazione che le categorie (specialmente quelle mentali) siano suddivisioni artificiali, arbitrarie e, in fin dei conti, talvolta inutili e spesso fuorvianti. In qualità di sedicente docente di Patabiologia e Patapsicologia Comparata, nonché Trispiralico Rettore della Libera Università di Treggiaia, ebbi il piacere di pubblicare nel 2002, con il massimo dell’ironia, la seguente dissertazione patascientifica sulla natura dei colori ad uso degli ancora numerosi estimatori del genio grottesco di Jarry, quali Raymond Queneau ed Enrico Baj, e degli amici (non sempre capaci di “visioni”) con cui tentavo di condividere i miei pensieri filosofici quando ero studente.
PATAFISICA DEI COLORI
Ricerche effettuate fin dal 1977 dall’Istituto di Patabiologia e Patapsicologia Comparata hanno finalmente rilevato e rivelato particolari inediti concertanti sulla natura dei colori e sui colori della natura, così come ella ci appare nelle sue più quotidiane manifestazioni.
Esistono veramente i colori? Che cosa significa esattamente affermare che un oggetto è “rosso”? Che qualità hanno i colori in senso fisico, metafisico e patafisico?
Se ci trovassimo, per esempio, di fronte ad un oggetto di colore rosso, potremmo affermare senza timore che tale colore è appunto “ROSSO”. Con ogni probabilità anche altre persone sarebbero d’accordo con tale affermazione.
Ma questa è solamente una “convenzione”.
In altre parole noi tutti “conveniamo” che quel tale colore che noi percepiamo in tal modo si chiama “ROSSO”; ma qui sta il punto: in quale modo noi lo percepiamo? E come possiamo essere sicuri che la percezione sia uguale per tutti?
Dalle ricerche effettuate pare proprio che ogni individuo abbia una diversa percezione della medesima radiazione cromatica: pertanto l’individuo A potrebbe vedere un oggetto “ROSSO” come l’individuo B vede per esempio un oggetto “GIALLO”. Entrambi non hanno alcun modo né sistema di riferimento per comunicarsi tale diversità di percezione perché le convenzioni del linguaggio hanno insegnato ad A come a B che quel tale colore si chiama “ROSSO”. Pertanto A e B, pur vedendo colori diversi, si diranno a vicenda (ed anche a Vicenza, come in molti altri luoghi) di vedere il colore “ROSSO”, convenendo su tale parola. Ed anche un ipotetico osservatore C che vedesse lo stesso oggetto magari “BLU”, chiamerebbe tale colore come le convenzioni gli hanno insegnato, e cioè giurerebbe che è “ROSSO”.
Il problema della percezione cromatica può essere risolto solo dalla scienza Patafisica, come forse aveva intuito il patacessore John Dalton, e come recentemente scoperto dai ricercatori dell’Istituto di Patabiologia e Patapsicologia Comparata della Libera Università di Treggiaia:
“… mentre i vari colori si succedono sulla scala cromatica senza soluzione di continuità, o senza continuità di soluzione, la loro eventuale visibilità non è oggettivamente catalogabile in modo assoluto …” (“De Coloribus“, p.223, Johnny G. Pequilo, Valledoria, 1981).
Questo esempio dimostra che la scienza non è in grado di studiare efficacemente i fenomeni naturali e che il linguaggio non è capace di spiegarli, semplicemente in quanto sia la scienza sia il linguaggio sono basati su convenzioni e categorie del tutto arbitrarie. Convenzioni e categorie che la Patafisica suggerisce appunto di superare per una comprensione più intima del mondo.
In altre parole, superando il vincolo dell’assunto arbitrario di partenza, la Patafisica può dare una spiegazione a qualsiasi fenomeno naturale osservabile e anche non osservabile, reale oppure irreale (sempre usando terminologie obsolete).
Il patapensiero evita l’errore logico di confondere la convenzione con la realtà, l’arbitrio oggettivante con l’essenza, il non senso con il senso.
L’errore dell’arbitrio cromatico è diventato orrore nel momento in cui, come ha giustamente scritto il Pequilo:
“… Apparentando l’apparenza alla appartenenza si è storicamente creato un falso sulle cosiddette categorie cromatiche che non hanno mancato di fuorviare i pensieri, laddove essi esistessero o fossero stati effettivamente o affettivamente operativi …”
(Opera citata, p.332, Johnny G. Pequilo, Valledoria, 1981).
Giovanni Pelosini
(tratto da «Soluzioni immaginarie», Gazzettino del Dipartimento Etrusco di ‘Patafisica, Anno I, Numero Zero, 2002)
(l’immagine è La Forza, tratta dai Tarocchi alchemici scelti da Maurizio Vitiello per Hermatena, 2007, che sono reperibili presso il bookshop del Museo dei Tarocchi)