La festa dell’Equinozio di Primavera

Nel corso dell’anno ciclico sulla Ruota Zodiacale esistono otto momenti “magici”, di grande sacralità e significato simbolico. Si tratta di giorni particolari che scandiscono i passaggi stagionali: tutti gli esseri viventi del pianeta percepiscono il cambiamento energetico della Natura al cambio di stagione, e tutte le loro cellule si comportano di conseguenza.
Quando l’umanità preistorica divenne consapevole del fatto che i ritmi vitali si muovevano in sintonia con gli eventi astronomici, nacquero i calendari sacri e si diede inizio ai millenari riti ed alle festività per celebrare religiosamente il naturale ciclo della vita, in cui tutto nasce, si trasforma e muore, per poi trasformarsi nuovamente.

Antiche feste celtiche

Gli antichi Celti, eredi di tradizioni ancor più antiche del loro stesso popolo, riconoscevano i due Solstizi e i due Equinozi come feste sacre del Sole e del principio cosmico maschile, e altre quattro festività per celebrare ritualmente la Luna, che spesso avevano date mobili in relazione alle fasi lunari ed erano in corrispondenza con il principio cosmico femminile.
Dopo l’Equinozio primaverile si festeggiava, più o meno a metà del percorso del Sole nel segno del Toro, Beltane, che poi si trasformò in Calendimaggio. È un piacere vedere come sia ancora una tradizione toscana popolare sentita e viva , anche se celebrata con la classica scampagnata del primo maggio.
Dopo il Solstizio estivo, la centralità della stagione più calda era ricordata nei primi giorni di agosto, in pieno “solleone”, con la Festa del Raccolto, che i Celti chiamavano Lugnasad in onore al Dio Lug, che anche nel nome rammentava la luce.
Dopo l’Equinozio d’Autunno c’era il vero Capodanno celtico, il giorno magico di Samhain, in cui si aprivano le porte fra i due mondi, complice il profondo e ctonio segno dello Scorpione. Oggi va di moda come Halloween, ed ai più sembra soltanto una festa per bambini e adolescenti importata dall’America, dimenticando che le origini sono europee e che la tradizione di celebrare l’incontro mistico con il mondo dei morti non si è mai del tutto spenta nel vecchio continente.
Infine dopo il Solstizio d’Inverno, si celebrava nei primi giorni di febbraio la festa di Oimelc, da noi più nota come Candelora, la festa delle candele, del latte e dell’acqua purificante.
Tutte le feste lunari dell’antico Calendario Sacro sono state in qualche modo riprese dalla tradizione cristiana fin dai primi secoli della nostra era, quando le campagne erano ancora abitate principalmente da pagani fedeli agli antichi riti ed era quindi opportuno operare sincretisticamente fra la vecchia e la nuova religione.
Per innumerevoli generazioni gli antichi calendari sacri hanno regolato i tempi della semina e del raccolto, dell’attività e del riposo, della fertilità e della fioritura, in un equilibrio cosmico da onorare e preservare.
Ecco perché nelle otto feste principali dell’antico calendario celtico era, ed è ancora possibile, essere maggiormente in sintonia con la Natura, e quindi ottenere una maggiore consapevolezza nei confronti della realtà (anche quella meno ordinaria), non solo grazie all’umano istinto che abbiamo ereditato dalla notte dei tempi, ma anche attraverso il linguaggio dei simboli, che avevano ed hanno l’unico scopo di metterci in contatto con la parte più profonda e autentica del Sé.
Durante le otto ricorrenze dell’antico calendario si sono talvolta conservati ancora oggi ricordi degli ancestrali rituali nelle tradizioni popolari, che fanno riconoscere nel folklore la memoria degli archetipi e dei simboli di un tempo in cui gli uomini erano più vicini alla Natura e a tutto ciò che merita di essere considerato “sacro”.

Il Serpente cosmico

C’è un punto, nella sfera celeste, che si trova all’intersezione del percorso annuale del Sole con l’equatore: si chiama punto γ (gamma); e la nostra stella, nel suo moto apparente, vi si trova proprio il 21 marzo.
In un tempo ormai lontano il punto γ si trovava all’inizio della costellazione dell’Ariete e, per questo motivo, ancora oggi si considera questo segno il primo dello Zodiaco.
Con questa “alba” annuale, simbolo della stessa creazione, comincia così la Primavera in tutto il nostro emisfero, e, per i successivi sei mesi, il giorno prevarrà sulla notte.
La festa dell’Equinozio di Primavera era la celebrazione del risveglio della natura e della fertilità della terra nell’antico Calendario Sacro; il momento in cui l’uomo si sente spinto da ardore giovanile, da energia e volontà di agire, di fare progetti, di perseguire dinamicamente nuovi equilibri fisici e spirituali.
Il Serpente Cosmico ha deposto l’Uovo in cui è tutta la potenza della creazione: è il tempo della rinascita, del risveglio, dell’azione, del coraggio, di dare inizio alle cose.
Il germoglio si sta aprendo e dà così inizio ad un nuovo ciclo vitale; tutti i simboli della fertilità, della Resurrezione e della Primavera prendono nuova forma: è il tempo in cui è necessario avere il coraggio di intraprendere nuove imprese e di percorrere nuovi sentieri. È esattamente ciò che ci chiedono i ritmi cosmici del ciclo annuale in questo periodo.

Il mito dell’androgino equinoziale

Un antico mito narrava che la Grande Dea Madre Cibele fosse in origine un androgino e che la sua virilità gli fosse tolta in modo cruento per ordine degli Dei dell’Olimpo. Il suo sangue però fecondò la terra facendo nascere un magico melograno, il quale avrebbe poi generato miracolosamente Attis, il suo amatissimo figlio.
Attis era dunque il simbolo della parte maschile della Dea generatrice, che in lei doveva rifondersi per far risorgere l’androgino primordiale, origine della Vita stessa. Per questo scopo, Attis divenne simbolicamente una vittima sacrificale: fu a sua volta evirato e morì dissanguato sotto un pino sacro a Cibele.
Nei giorni vicini all’Equinozio, nell’antica Roma, era consuetudine di origine frigia celebrare la passione e la morte di Attis, per offrire alla Dea i frutti migliori della terra e per insegnare agli uomini a riconoscere il ciclo cosmico della vita, il suo risveglio primaverile e la loro stessa natura divina.

L’albero cosmico di primavera

Durante le celebrazioni equinoziali romane si tagliava ritualmente un grande pino e si portava in processione con bende e ghirlande di violette fino al tempio di Cibele, dove era innalzato. Poi i sacerdoti spargevano sangue e suonavano le trombe, simboli di Marte e quindi del segno dell’Ariete.
È lo stesso Imperatore Giuliano che ci spiega il mito e la ritualità delle feste primaverili (Alla Madre degli Dei, 6):
L’albero, infatti, cresce dalla terra, ma per così dire verso l’etere, ed è bello a vedersi, ci dà ombra nella calura, e poi produce da sé i frutti di cui ci fa dono: tale è l’esuberanza di fecondità da lui posseduta. Il rito dunque invita noi che, sebbene di natura celeste, siamo stati precipitati sulla terra, a mietere la virtù accompagnata dalla pietà nel campo del nostro comportamento terreno, e ad affrettarci a raggiungere la dea ancestrale, principio di vita. Subito dopo il taglio dell’albero, la tromba fa risuonare il richiamo per Attis e per tutti noi, che un giorno siamo volati dal cielo e caduti sulla terra. Dopo questo segnale, quando il re Attis, in seguito alla mutilazione, arresta la sua corsa illimitata, anche a noi gli dei comandano di eliminare la spinta verso l’infinito e, imitando i demoni che ci guidano, di risalire verso il delimitato e l’uniforme e, per quanto è possibile, verso lo stesso Uno“.
Oltre al pino, la corniola era il sacro arbusto divinatorio simbolo del mese dell’Equinozio, come ricorda anche la mitica primaverile fondazione di Roma, nel luogo in cui si conficcò il giavellotto di Romolo, fatto appunto di legno di corniola.

Giovanni Pelosini

Continua…

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