Matriarcato e patriarcato nei miti antichi e nei simboli astrologici

Non sempre la storia, così come ci è stata tramandata, risponde a tutte le nostre domande; e ciò è particolarmente vero per quel che riguarda la preistoria e le origini della stessa nostra civiltà.
L’archeologia ci mostra spesso palesi incongruenze e, talvolta, di fronte al mistero, conviene attingere alla mitologia ed alla simbologia, certi che non ci mentiranno, anche se il loro linguaggio spesso sarà oscuro per la nostra mente razionale.
Reperti anche famosi come la cosiddetta Venere di Lespugue (23.000 a.C.) sono tracce importanti di un’antichità remota che ci parlano di una civiltà matriarcale che fiorì nel Paleolitico e nel Neolitico, estinguendosi poi in Europa fra la tarda Età del Bronzo e gli albori dell’Età del Ferro.
Le forme fortemente steatopigie della statuetta in avorio di mammut sono evidenti simboli di venerazione della Dea Madre come fertile donatrice di vita: volutamente i seni ed i glutei sembrano uova ed il triangolo pubico si ripete simbolicamente in basso, dove le cosce e gambe ricordano ancora le forme dell’organo femminile.

Tale simbolo fondamentale della Signora della fertilità si ritrova in forme stilizzate ed essenziali in varie e numerose incisioni preistoriche europee che per millenni sono state l’emblema della fonte della Vita, come quelle dette genericamente “chevron” (5200-4000 a.C.).
Il triangolo, o semplicemente l’angolo con il vertice rivolto verso il basso, nell’ultima versione finisce per avere singolari similitudini con la lettera M. Non credo sia stato casuale che tale lettera abbia, in epoca recente, assunto particolari significati simbolici di grande rilevanza mistica, addirittura in associazione con la lettera V, in relazione alla Vergine Maria. Per esempio nel Santuario mariano di Oropa tale monogramma è addirittura associato con una stella ad otto punte, simbolo tradizionale di Venere.
Ma la somiglianza più significativa della forma della lettera M è quella con la costellazione di Cassiopea.
Le cinque stelle più luminose della nota costellazione boreale ricordano la lettera M, ovvero una W a seconda della rotazione apparente di questa parte della sfera celeste piuttosto vicina alla stella Polare (dal lato opposto dell’Orsa Maggiore).
Cassiopea era una delle tante personalità assunte dall’arcaica Dea Madre preellenica, più tardi identificata con la multiforme Ecate, terribile Dea lunare, ctonia e notturna. Fu per questi motivi che Cassiopea era ricordata come regina di Etiopia, luogo inteso come estremo sud del mondo allora conosciuto; quella terra che i Sumeri chiamavano genericamente ABSU (da cui deriva anche il vocabolo italiano “abisso”).
Il mito narra della straordinaria bellezza di Andromeda, figlia di Cassiopea, la quale se ne vantò pubblicamente fino al punto da scatenare l’ira di Poseidone. Il Dio del mare inviò allora un feroce mostro marino che devastò la regione finché fu sconfitto da Perseo. Pare che sia stato proprio questo combattimento con il drago ad ispirare il mito di San Giorgio, emblema dell’eterna lotta del bene contro il male.
Appare spesso nei miti un drago, ovvero un serpente, o una creatura mostruosa emersa dagli abissi del mare o da oscure caverne. In contrapposizione c’è sempre un eroe solare, un guerriero, spesso a cavallo, che esce vittorioso dalla lotta.
Tutti questi feroci animali sono simboli e incarnazioni della primitiva Dea Madre, relegata al dominio della notte e delle inquietanti e insondabili profondità (comprese più tardi quelle della psiche) dopo che il suo culto fu soppiantato dai nuovi Dei.
È interessante considerare il ribaltamento della costellazione di Cassiopea che avviene nel periodo di dodici ore: un evidente riferimento al rovesciamento del trono della Dea, ed al suo ciclico ritorno come Signora della fertilità e dei ritmi della Natura. Gli arabi chiamavano questa costellazione “Al Dhat at Kursiyy” (La Signora sul seggio), e, come si vede dall’immagine, la seconda stella è Shedar (il seno) e la quarta è Ruchbah (il ginocchio). Le due stelline in alto a destra si chiamavano Al Marfik (il gomito) e la prima era detta Caph (la mano).
Si confronti con attenzione tale interpretazione araba della costellazione di Cassiopea con i simboli preistorici della figura in alto e si notino le analogie. La Dea seduta sul trono come l’Imperatrice dei Tarocchi è una chiara raffigurazione dell’antica Signora della Natura.
Così il drago fu ucciso da Perseo, che già aveva sconfitto Medusa dalla chioma di serpenti, e la Dea fu destituita dal suo trono tramite il celeste rovesciamento della sua costellazione.
Effettivamente la Dea Madre preistorica, Signora della Natura polimorfica, era associata anche a molti altri animali, e quindi raffigurata di volta in volta come una rana, un maiale, un’ape, una farfalla, un uccello, un pesce, una piovra dagli spiralici tentacoli o un porcospino, ma più frequentemente era il serpente a rappresentarla. Il suo utero, invece, era rappresentato sotto forma di testa di toro.
Il serpente è sempre stato un simbolo di conoscenza, ma anche di rinnovamento e di fertilità, sia per la sua nota capacità di cambiare pelle, sia per la forma fallica, mutevole in quella spiralica. Il suo penetrare nelle fessure della terra per scomparire nelle umide e buie cavità del sottosuolo è periodicamente seguito dalla sua ricomparsa primaverile secondo i calendari sacri che seguivano i ritmi ciclici ed eterni della natura: fenomeni ispiratori dei miti di Demetra e Persefone, Dee Madri preolimpiche.
Il serpente era già venerato almeno 7000 anni prima che fosse scritta la Genesi, in cui lo troviamo nella singolare epifania del giardino di Eden come complice di Eva, incarnazione più antica della Dea Madre multiforme.
È evidente come anche questo mito biblico sia teso a celebrare la vittoria delle divinità maschili e patriarcali che soppiantarono e sottomisero la Grande Dea in epoca arcaica. Se ne trovano tracce anche nella Bibbia, in cui Jahvè più volte ricorda come avversario il Leviatano (serpente cosmico che avvolgeva tutto il mondo con le sue spire), nel mito di Zeus che vince Tifone, e in quello di Indra che sconfigge il serpente Vritra: tutte varianti dello stesso archetipo già individuato nel racconto di Perseo in lotta con il drago marino.
Per non parlare di Apollo che è chiamato a sostituire il culto femminile arcaico e millenario del santuario di Delfi uccidendo il serpente Pitone, anche se non potrà fare mai a meno di affidarsi alle sacerdotesse in continuità con la tradizione locale dell’oracolo.
Per inciso, neanche l’iconografia tradizionale cristiana della Vergine Maria riesce a fare a meno della figura del serpente sacro, che ha dominato la scena mistica e religiosa di un passato assai remoto, ma ancora presente nella memoria mitica collettiva. Generazioni e generazioni di nostri antenati hanno venerato la Grande Madre, anche in forma di serpente sacro, forse per decine di migliaia di anni prima della stessa nascita della storia così come siamo abituati a considerarla.
Il mistico serpente riappare anche come uroboro, simbolo delle acque ancestrali che circondavano la terra nelle antiche cosmogonie. Si trasforma in spirali di grande significato simbolico nella geometria sacra in un percorso storico che procede almeno da Pitagora a Luca Pacioli a Leonardo da Vinci e oltre. Si muta infine in labirinti sacri a Creta e quindi nelle cattedrali gotiche. Davvero ancora oggi possiamo ammirare la Dea multiforme.
Si noti che il serpente, in quanto simbolo fallico, è un falso emblema maschile, così come i megalitici Menhir. Il fallo eretto è piuttosto un’emanazione dell’energia femminile e rafforza simbolicamente il potere vitale della Dea: ancora oggi con questo significato in India si venerano le antiche pietre dette Lingam.
A tal proposito si osservi l’ambiguità delle statuette preistoriche della Dea del V millennio.
Nello stesso modo anche Hermes itifallico che si mostrava lungo le strade dell’antichità, al di là delle apparenze, era una divinità preolimpica ed un servitore della Dea, come il suo emblematico Caduceo dimostra.
E come dimostra anche il suo simbolo astrologico, geroglifico di evidente derivazione da quello della Dea Madre Venere, emblema ancora usato per esprimere il genere femminile.
Analizzando il dualismo simbolico femminile-maschile, non si possono non vedere nei resti preistorici e nei miti le tracce di un antico conflitto. Per esempio nell’abbattimento della cosiddetta Pietra della Fata a Locmariaquer, in Bretagna: un unico Menhir fallico di 20,3 metri e 350 tonnellate spezzato in quattro parti durante un misconosciuto conflitto preistorico.
Fin dal periodo neolitico, una grande civiltà agricola e megalitica di stampo matriarcale era diffusa dalle Isole Britanniche fino all’India meridionale, attraverso tutta l’Europa, in insediamenti stanziali che, in certi casi, costituirono le prime grandi città conosciute (Harappa, Mohenjo-Daro, Lothal). In epoche diverse, ma soprattutto nel II millennio a.C., dalle steppe euroasiatiche cominciarono a dilagare in varie direzioni ondate di popolazioni nomadi e bellicose, (guerrieri allevatori e domatori di cavalli, come ricordano i miti che li evocano come eroi vittoriosi), ma soprattutto portatori di una civiltà patrilineare e patriarcale. Quelli che furono detti poi Indoeuropei invasero spesso violentemente in varie migrazioni l’Europa dalle pianure orientali, il Medio Oriente dalle montagne del Caucaso e dalle steppe ad oriente del Caspio, e l’India dal Passo Khyber.
Quasi contemporaneamente popolazioni semitiche, altrettanto bellicose e patriarcali, invasero la Mesopotamia dal sud.
Le grandi città della Valle dell’Indo furono conquistate grazie alla superiorità delle armi e delle tattiche, che furono poi celebrate nei miti del dio nazionale Indra.
Anche in Grecia la tarda civiltà micenea, già nata dalla fusione di precedenti infiltrazioni indoeuropee con le popolazioni matrilineari autoctone, verso il 1150 a.C. finì per cedere di fronte all’invasione dei cavalieri Dori, con le loro armi di ferro.
Da allora finì l’epoca della venerazione della Natura come Madre, Dea, Divinità della Terra, ugualmente celebrata nei suoi aspetti luminosi e in quelli oscuri, come Dea della vita e della morte.
Tutto questo avvenne in tempi diversi. Per esempio, nell’Europa centro-orientale il processo di kurganizzazione avvenne per graduali infiltrazioni già nel V e nel IV millennio.
Durante la lunga conquista i miti iniziarono a mutare per celebrare i vincitori, e, mentre nel Mediterraneo nascevano i culti degli Dei Olimpi, alla Dea si poté solo attribuire il dominio del sottosuolo, della notte, degli abissi, dell’oscurità. La Dea non poteva essere censurata del tutto, per la sua innegabile forza sulla Terra e sulle Acque, e per il suo controllo sulla fertilità, ma fu relegata in secondo piano e, laddove possibile, interpretata in chiave negativa.
Si formalizzava così il predominio del culto del Sole su quello della Luna.
Per questo i vari eroi solari della mitologia sono chiamati a sconfiggere mostri sotto diverse forme (draghi, serpenti ed altro): Apollo, Teseo, Perseo, Eracle, Giasone…
Alcune tracce però rimasero. La Dea Atena, in origine anch’essa una Dea Madre partenogenetica raffigurata in origine come Dea Uccello e Dea Civetta, iniziò ad essere raffigurata con scudo ed elmo militare e fu poi sostituita nel Pantheon astrologico da Saturno. Si disse che era nata dalla testa di Zeus (in realtà nato dopo di lei), signore dei nuovi Dei venerati dagli invasori indoeuropei, in una trasformazione davvero eclatante e paradossale che all’epoca dovette essere probabilmente drammatica.
A tal fine si veda questa nascita di Erittonio, consegnato da una Dea Madre ctonia (Gea) ad Atena, già in vesti militari, alla presenza di Cecrope dalla coda di serpente.
Si bruciarono i boschetti sacri alla Dea e si perseguì in modo sistematico un sincretismo forzato degli antichi culti, e i vecchi miti furono reinterpretati in funzione della celebrazione dei nuovi Dei, custodi del nuovo assetto sociale.
La millenaria religione della Dea divenne in alcuni casi clandestina, oppure trovò forme di compromesso sincretistico sopravvivendo talvolta fino ai nostri giorni, come è accaduto per esempio nel culto delle Madonne Nere europee.
La Dea si nascose nei Misteri degli iniziati e riapparve sotto varie forme nei miti più originali ed antichi e nell’inconscio collettivo, in modo sottile ma rilevante, al punto che ancora oggi il misticismo di quasi tutte le religioni difficilmente fa a meno di figure femminili, ma il suo regno assoluto, che era rimasto incontrastato per decine di migliaia di anni, finì definitivamente con l’invasione ariana e la grande rivoluzione culturale che ne seguì.
I maschili Fuoco e Aria, sotto forma di spada metallica, sconfissero gli Elementi femminili Terra e Acqua.
Il triangolo femminile, originario simbolo del pube e della fertilità, della vita e della Dea Madre, venne rovesciato, così come si rovesciò il trono di Cassiopea. La Madre Terra fu subordinata agli Dei uranici maschili e l’orientamento celeste delle società patriarcali sostituì l’orientamento tellurico delle epoche precedenti sotto il simbolo imperante del triangolo maschile dell’occhio divino.
Senza voler giungere all’apparente eccesso di una nera Dea Kali che energizza emblematicamente l’inerte e bianco Shiva a lei sottomesso, né restare confinati nell’ideale dicotomico dell’eterna lotta della luce contro le tenebre, credo che l’unica soluzione perseguibile, nella nostra come in ogni altra epoca, sia il connubio delle energie maschili e femminili simbolizzato dalla stella a sei punte ottenuta dall’unione dei due triangoli: una soluzione anche alchemica, che richiama l’antico concetto di androgino, ma soprattutto da intendersi in modo simbolico, olistico e consapevole; una perfetta armonia da ricercare prima di tutto in ciascun essere umano, come insegnano esotericamente le più nobili tradizioni, e quindi nell’intero cosmo.

Giovanni Pelosini

Bibliografia
Joseph Campbell, Le figure del mito, 1991
Joseph Campbell et alii, I nomi della Dea, 1992
Alfredo Cattabiani, Planetario, 1998
Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, 1990
Robert Graves, I miti greci, 1983
Ervin Laszlo, Olos, il nuovo mondo della scienza, 2002
Ajit Mookerjee, Kali, la Dea della forza femminile, 1990
Giovanni Pelosini, Magia e scienza della spirale, 1994
Giovanni Pelosini, I Tarocchi Aurei, 1997

(tratto da Atti del I Congresso di Astrologia umanistica, Eridano School, Castagneto Carducci, 24-26 ottobre 2008)



3 Commenti a "Matriarcato e patriarcato nei miti antichi e nei simboli astrologici"

  1. biblos

    Chi ritiene il lungo periodo matriarcale un tempo felice, dove regnava l’uguaglianza,l’amore e la pace, non ha capito niente delle donne e non conosce la storia della preistoria.Non c’era uguaglianza.Mentre l’elite gestiva il potere, la sorella sfortunata era schiava tanto del maschio quanto della femmina.A quel tempo la guerra era una condizione naturale; il concetto di pace venne introdotto in tempi protostorici quando i boreani, emancipatosi, riuscirono a sopraffare il dominante impero nero.Bisognava scacciare l’incubo dell’uomo nero che aveva terrorizzato gli antenati, ed era entrato, come simbolo del male, nella fiaba.Furono i neri ad introdurre tale concetto e nella circostanza, mentre tracciavano sulle pelli una sorta di trattato di pace, rivelarono ai bianchi celti il significato della scrittura che da allora cercarono di adottare.Si dice che la donna non ha mai inventato nulla. Non è vero. Ha inventato i sacrifici umani, con i quali consolidava il suo potere, basato sul terrore, ed esercitava la selezione sessuale.Aveva trovato il modo per rivalersi sulla forza maschile.Se qualcuno volesse indagare sul significato del numero tredici come simbolo di sfortuna, lo trova nella tradizione matriarcale secondo la quale la Volva o Voluspa al tredicesimo mese dell’anno immolava il suo paredro per farne subentrare uno più giovane, che poi faceva la stessa fine.Se qualcun’altro volesse indagare sulle ragioni per cui il popolo arabo tiene tanto sottomessa la donna, vi scoprirà che quel popolo, una branca scissa dai celto-germani, avendo contestato il potere ginecocratico, venne perseguitato con ferocia dalle sublime donne, per periodi lunghissimi.I scissionisti vennero chiamati Bodoni, senza letto, o senza casa, o senza terra, poi da noi beduini, che quando qualche carovana veniva sorpresa dalle ex padrone, i cadaveri venivano fatti a pezzi e sparpagliati per seminare il terrore.Evidentemente gli Arabi ancora se lo ricordano. Gli antichi greci, che la storia ci ha insegnato essere omosessuali, in realtà avevano paura di accoppiarsi con le donne alle quali avevano tolto il potere.Vi erano in giro ancora eserciti di amazzoni (che significa “senza maschio” e non senza seno) la cui ultima coporiona, Pentasilea, venne ammazzata da achille sotto le mura di troia.Per capire quando fossero buone con gli uomini basti pensare che le giovani amazzoni potevano accoppiarsi solo dopo aver ammazzato almeno tre uomini.E’ anche notorio il fatto che ammazzavano i figli maschi (e non hanno ancora perso del tutto l’abitudine). Se andiamo ai tempi moderni, da Caterina di Russia ad Elazir Bhutto, non vi è stata nessuna, dico nessuna donna Leader che non abbia combattuto una guerra. Penso che possa bastare.

    Saluti, biblos

  2. Luisa

    C’è tutto un’insieme di studi che analizza i matriarcati ancora esistenti e le permanenze della matrifocalità e della matrilinearità
    Si sono tenuti ben tre convegni di Studi Matriarcali nel mondo.
    Abbiamo fatto un convegno a Bologna chiamato Matriarcato: utopia o eutopia? Dal non luogo al buon luogo
    L’unica cosa che Biblos ha azzeccato nell’elenco dei suoi stereotipi è l’esistenza delle Amazzoni, che per parecchi secoli sono state relegate nel mito e di cui si è avuta una prova di esistenza con gli scavi della Kimbell
    Ci sono studi sul clima che danno anche una spiegazione della misoginia maschile..
    Sono sicura che possa bastare

  3. Dante

    concordo con Luisa. Il simbolo della stessa a 6 punte è in realtà un simbolo relativo la sottomissione.

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