La Trilosofia (di Lorenzo F.L. Pelosini)
Innanzitutto ben tornati (dato che è proprio sul “ritornare” che si basa il mio intervento di oggi).
Nell’articolo scorso (Il Fantarealismo) ho parlato del potere dell’immaginazione e di come esso fluisca attraverso il canale del cinema. Col vostro permesso, mi soffermerei ora a parlare di un particolare genere di film, una ristretta branca del cinema che ci appassiona da diversi decenni: la trilogia.
Capita a volte che un film di grande successo contenga in sé talmente tanta energia che si può costruire su di esso un intero universo, fino a renderlo una saga, la cui epicità cresce di capitolo in capitolo, per scoprire infine che quel primo film non era che l’inizio di una lunga marcia.
Ammesso che quest’opera passi indenne attraverso le metalliche grinfie della spietata macchina commerciale e che, ancor più importante, il regista sia ancora in grado di ritrovare la strada per il mondo che ha creato, essa può impartirci un’interessante lezione.
Le stesse esigenze del pubblico portano i creatori a ideare, per i seguiti di un film, le stesse situazioni che i fan avevano tanto amato. Ma neanche il più sfegatato e delirante degli appassionati vuole sprecare soldi ed entusiasmo per una fotocopia. Se chiedete a chiunque cosa si aspetta da un seguito, il succo di quello che vi dirà sarà: “vorrei la stessa cosa…ma diversa.”
Questo paradosso dovrà stare sempre alla base del lavoro dei produttori, che cercheranno di riproporre le stesse situazioni, magari ribaltandole specularmente o modificandone l’esito finale oppure, come spesso accade, modificando le dimensioni del fatto anziché la sua forma, dandogli, in altre parole, un raggio più ampio. Questo crea un moto che potremmo definire a spirale.
Prendiamo, per esempio, uno dei fenomeni del box office dei premiati anni ‘80, uno dei film più amati dal grande pubblico: Ritorno al Futuro. Dopo il suo primato mondiale di incassi nel 1985, la produzione commissionò al regista Robert Zemeckis, anche co-sceneggiatore, l’ideazione di un seguito.
Nacque quindi una trilogia, nella quale i protagonisti (molti di voi ricorderanno Marty e Doc) attraversavano, a bordo della mitica DeLorean volante, epoche diverse, passando dal futuro, agli anni ’50, al far west. La cosa interessante era che nei loro viaggi non trovavano mai niente di veramente diverso, ma solo la stessa situazione che si ripeteva karmicamente di epoca in epoca, in attesa di essere risolta. Tant’è che ad ostacolare le loro imprese c’era sempre l’acerrimo nemico Biff o suo nipote o suo nonno (giustamente interpretati dallo stesso attore), che non mancavano mai di entrare in scena con la ricorrente esclamazione: “Ehi, McFly…!“. E notiamo anche che sono questi stessi nemici a fornire, paradossalmente, al protagonista l’opportunità di rompere la catena delle sue abitudini e compiere una vera scelta, davvero in grado di inclinare i binari del suo destino e cambiare il futuro. Chi ha visto i film, ricorderà, infatti, che il tallone d’Achille del giovane protagonista era la rabbia che lo coglieva ogni volta che qualcuno gli dava del “fifone“. Questa provocazione passerà attraverso la bocca di tutti i suoi avversari e, ogni volta, Marty cederà, causando disastri sempre più grandi, fino a che, all’ultimo, non imparerà dai suoi molteplici errori ad intraprendere un cammino diverso che gli salverà la vita.
A questo punto ci accorgiamo che, come diceva Joyce, “il particolare contiene l’universale” e anche un singolo, anzi un “triplo”, film come questo non manca di darci un’importante informazione sull’intera realtà. Potremmo infatti ricavare da esso una sorta di Trilosofia.
In virtù di ciò, facciamo un “balzo fantarealista” e mettiamoci nei panni di un Creatore: prima di tutto, chiunque sia o sia stato, avrà dovuto costruire un sistema che permettesse ai “personaggi” di intraprendere un cammino in cui potessero orientarsi e in cui i problemi non risolti in precedenza avrebbero dovuto ripresentarsi con ciclicità fino alla loro risoluzione. Ma se è vero che, come diceva Eraclito, non si può percorrere due volte lo stesso fiume, allora questo sistema non può ridursi ad una ruota, allo stesso modo in cui un seguito non potrà mai essere identico al primo film; dovrà piuttosto costituire un cammino che si muove verso l’infinito, girando sì su se stesso, ma aumentando di volta in volta l’ampiezza del proprio giro e costituendo così una spirale, ad ogni livello uguale, eppure sempre diversa: un sistema perfetto che ci concede il senso della familiarità senza la noia. Non solo un Eterno Ritorno, come diceva Nietzsche, ma un Ritorno al Futuro.
E non dobbiamo in ogni caso dimenticare che, malgrado ci sembri talvolta di correre su dei rigidi binari, o nel migliore dei casi su una strada senza svincoli, siamo in realtà dotati di una DeLorean volante che trascende ogni limite predefinito. Una volta compresa questa realtà, dovunque andremo, non ci serviranno strade.
Lorenzo F.L. Pelosini