Perché ho voluto fare il regista (di Lorenzo F.L. Pelosini)

Ben trovati ancora una volta, o voi, brave persone che avete scelto di usare il vostro prezioso tempo per leggere i miei articoli.
Finora abbiamo parlato di Fantarealismo, di Trilosofia… e se la mia stramberia cresce esponenzialmente (come spero) non so cosa il futuro riservi ai vostri malcapitati organi percettivi.
Ad ogni modo, prima di farvi perdere completamente le speranze sulla mia sanità mentale, volevo offrirvi un’occasione per capire cosa c’è alla base di tanti dei miei deliri. Se la cosa non vi interessa e non avete ancora capito che sono un maledetto egocentrico, cambiate rubrica.
Come la maggior parte delle vere passioni, anche la mia nasce da un colpo di fulmine.
Certo, so che l’arte, come le persone, la si impara ad amare col tempo, dopo molti confronti eccetera, eccetera…, ma sono sicuro che per ognuno di voi prima di tutto questo c’è stato un solo, singolo “scatto”, un sonoro click, come la lampadina che si accende sulla testa di Archimede (quello dei fumetti). E in fondo è chiaro, anche il viaggio più lungo comincia accendendo la macchina.Fulmine e macchina: proprio di questo voglio parlarvi.
Ho avuto il mio primo “incontro ravvicinato” col cinema all’età di due anni. I miei genitori avevano registrato il film Ritorno al Futuro. D’un tratto la macchina del tempo, la ben nota DeLorean, inclinò le ruote, si librò in volo, fece una brusca virata e corse incontro al televisore lanciando accecanti lampi di luce (fulmini, insomma).
L’intensità di quella semplice immagine scatenò in me una reazione che ancora oggi non dimentico. Quello che pensai fu semplicemente: “Non so cos’è, ma devo farne parte“. Tempestai i miei genitori di domande e, col tempo, presi coscienza della finzione cinematografica, pur non smettendo mai di ammirarla come la cosa più straordinaria del mondo, e alla fine pensai che quel regno di immagini e sensazioni perfette sarebbe stato accessibile se fossi stato un attore (in effetti ciò che avevo in mente all’epoca era diventare un personaggio). Credevo, infatti, che ogni attore fosse davvero “fuso” col personaggio e compiesse un… salto dimensionale per andare a finire nel regno aldilà dello specchio, anzi dello schermo. Curiosamente, non sei lontano dalla verità, avrebbe detto Morpheus (Matrix).
Mi resi presto conto, però, che non era l’attore ad avere il controllo assoluto di quel mondo; non solo, che questi mondi potevano essere creati, e non come nasce un lago, per effetto di meccanismi naturali predefiniti, ma come un atto di pura volontà umana.
Questo, pur somigliando un po’ al momento assai triste in cui trovi tuo padre vestito da Babbo Natale in salotto la notte della Vigilia, era molto stimolante. Perché io stesso avrei potuto vestirmi da Babbo Natale e, con un minimo sforzo, avrei indotto i “bambini” a credere alla sua esistenza fino a che (chissà?) non avrei cominciato a crederci anch’io.
Capii che l’unico modo per sentire la mia vita impregnata di quella stessa intensa emozione che avevo sempre avuto davanti agli occhi, ma non ero mai stato in grado di toccare con mano, sarebbe stato creare a mia volta.
A furia di raccontare storie, un uomo diventa quelle storie. Esse continuano a vivere dopo di lui, e in questo modo, egli diventa immortale. (Big Fish, di Tim Burton)
Questo è il motivo per cui ho scelto di fare il regista: nella vita delle persone c’è ben poca magia, al giorno d’oggi, e il mondo esterno ne abbonda. È pieno di energia e di storie. Ci sono sempre altre storie, dice Stephen King. La mia speranza è imparare a portare questa energia dove ce n’è più bisogno, e oggi, il modo più efficace è con un bel telo bianco e un proiettore.

Lorenzo F.L. Pelosini

Nell’immagine: foto di scena di Alessandro Comisso, dal film Matrix Remake (2009) di Lorenzo F.L. Pelosini.



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