Avatar, dal mito al simbolo
Gli esperti e i cinefili scommettono che Avatar, l’ultimo film di James Cameron, rivoluzionerà il modo di fare cinema, e la megaproduzione hi-tech della Fox sta già battendo ogni record di incasso.
Il grande regista, che già sbancò i botteghini di tredici anni fa con il pluripremiato dagli Oscar Titanic, anche stavolta vuole stupire il suo pubblico, e lo farà certamente con le macchine da presa 3D, gli effetti speciali visivi e stereofonici, e un budget davvero stellare in uno spettacolare mix di romanticismo e di ipertecnologia.
La fantascienza gli ha offerto l’occasione di narrare una storia straodinaria, quella di un militare paraplegico, un membro dei marines del futuro, che accetta una missione da svolgere con un corpo vivente diverso dal proprio in un pianeta alieno.
Il protagonista è l’ex marine Jake Sully, un militare di grande esperienza, ma con il corpo ormai obbligato alla sedia a rotelle. L’ingegneria genetica e una tecnologia innovativa in grado di trasferire le coscienze gli offrono la possibilità di utilizzare un corpo nuovo, ottenuto dalla manipolazione di DNA umano e alieno, adatto a svolgere una delicata missione sul pianeta Pandora.
In pratica, il marine Jake Sully trasferisce la propria coscienza in un altro corpo: si reincarna in un vero e proprio Avatar.
In questo film quindi non è solo il metalinguaggio narrativo a mostrare le meraviglie della tecnologia, ma anche la stessa trama in cui non è più la “realtà”, ma il mondo digitale a dominare la scena: la differenza tra ciò che è vero e ciò che è finzione da oggi in poi sarà sempre più sfumata, sempre meno tangibile.
Gli Avatar nei miti dell’antica India
Il concetto di Avatar ha origine nell’antica mitologia induista in cui si narrano in particolare le gesta del Dio Vishnu e del Dio Shiva, nelle loro diverse e numerose incarnazioni terrene.
Secondo tale credenza, quando una divinità lo ritiene opportuno per aiutare l’umanità, essa decide di incarnarsi in un corpo umano o animale per svolgere un determinato compito sulla terra. Tale incarnazione prende il nome sanscrito di Avatar, ovvero Avatara, che significa “discesa”.
Si intende, infatti, come “discesa” quella di un entità spirituale in un corpo materiale, con un significato almeno duplice. Da un lato si allude ad una metaforica discesa dall’alto dei cieli, luogo in cui da sempre gli uomini immaginarono abitare gli Dei. Dall’altro la “discesa” sottintende che l’essere spirituale, tramite l’incarnazione, si abbassi ad una condizione di livello inferiore al solo scopo compassionevole di avere l’opportunità di aiutare l’umanità.
Il concetto non è dissimile da quello fortemente dualista, e sempre di origine orientale, secondo il quale in natura esistono soltanto la Coscienza e la Materia. La pura Coscienza è priva di organi sensoriali e tende a incarnarsi in un corpo materiale per fare esperienza di vita e crescere nella consapevolezza di sé. Spesso però, nelle plurali esistenze degli individui, la Coscienza dimentica la sua vera essenza e la sua origine, e si perde nel “gioco” della vita materiale, sperimentando così soprattutto l’attaccamento e il dolore nella ruota delle reincarnazioni.
Gli Dei però sono in grado di incarnarsi volontariamente diventando utili intermediari tra l’umanità sofferente e l’Essere supremo. Secondo tale tradizione sono numerosi gli esseri soprannaturali che si sarebbero manifestati in questo modo anche agli uomini meno sensibili agli aspetti spirituali dell’esistenza.
I miti raccontano di come Shiva si sia incarnato nel divino uomo-scimmia Hanuman e nel filosofo Adi Shankara, e di come Vishnu sia disceso sulla terra, fin da tempi remotissimi, in nove occasioni incarnandosi in altrettanti Avatar: un pesce, una tartaruga, un cinghiale, un uomo-leone, un nano, un boscaiolo, il principe Rama (eroe del Ramayana), il Signore Krishna (protagonista del mistico Bhagavad Gita, che fa parte del monumentale poema Mahabharata), Balarama oppure, secondo altre versioni, Buddha.
In ognuna di queste venute la divinità ha compiuto gesta importanti contribuendo all’evoluzione del genere umano ed allo sviluppo della coscienza spirituale.
Alla fine dell’attuale epoca di degrado, detta Kali Yuga, si attende l’ultima venuta di Vishnu nella forma Avatar di Kalki, il Distruttore della Malvagità, colui che libererà l’uomo dalle ultime illusioni aiutandolo a riconoscere la propria reale natura divina.
Gli Avatar come personalità virtuali
Avatar dunque era in origine una parola che indicava una sorta di alter ego di un essere soprannaturale, capace di incarnare il proprio spirito in un corpo materiale.
Analogamente, nelle comunità virtuali in internet, o nei giochi di ruolo, si chiama “avatar” il personaggio-immagine creato e interpretato da una persona reale al fine di rappresentarla in quel contesto.
Di norma ci sono regole precise in ogni comunità virtuale per la creazione di un avatar, che deve essere dotato di un adeguato nome (nickname) e di precise caratteristiche, per vivere avventure immaginarie in ambientazioni fantasy, ovvero più vicine alla realtà.
Ecco che un “giocatore” si sceglie un personaggio come sua immagine, e vive virtualmente, tramite il suo avatar, situazioni che molto difficilmente potrebbe vivere nel suo mondo reale.
Il grande successo di queste realtà virtuali dipende da molti fattori: uno dei motivi è sicuramente l’eterno fascino del mito e il desiderio profondo di compiere gesta eroiche. Nulla vieta, infatti, al proprio avatar di essere bello, forte e coraggioso, sublimando i più segreti desideri del suo creatore-animatore, e riscattandone talvolta una vita reale intesa come mediocre e insignificante. Inizialmente una realtà virtuale personalmente soddisfacente può donare stimoli e risvegliare interessi e capacità da spendere anche nel mondo reale, ma alla lunga i soggetti psichicamente più deboli rischiano pericolose derive in cui il rifugio virtuale può cessare di stimolare la crescita personale, spesso riproponendo nel contesto immaginario le stesse problematiche della vita reale. In altri casi, più patologici, si potrebbe avere addirittura un vero e proprio sdoppiamento della personalità, non più in grado di distinguere ruoli e situazioni nel contesto reale e in quello virtuale.
Ma un altro motivo del successo dei mondi virtuali e degli avatar internetici consiste nella possibilità di muovere la propria immagine senza freni inibitori di nessun genere. È dimostrato che già l’anonimato, ovvero l’utilizzo di un nickname, consente ai componenti delle comunità virtuali una libertà di azione di gran lunga superiore a quella che avrebbero se agissero con il proprio nome, cioè con la propria faccia, o immagine reale. Ciò avviene continuamente nei forum, nelle mailing list, nei programmi di instant messaging.
Maggiormente liberatorio sarà il poter agire virtualmente con un avatar, anche in contesti (sempre virtualmente) pericolosi o ritenuti sconvenienti. Il giocatore può permettersi di essere letteralmente spericolato con il proprio avatar, mentre il corpo reale gode di totale sicurezza di fronte al computer. Senza alcun rischio per il “giocatore” l’alter ego-avatar può farsi paracadutare nella giungla alla ricerca di tesori perduti, sfidare eserciti di nemici assetati di sangue, rapinare una banca, fondare un impero finanziario, guidare un’astronave in una tempesta magnetica, fare esperienze estreme e chissà quante altre straordinarie esperienze da superuomo.
Gli Avatar come fantascientifici “surrogati”
La stessa tematica è affrontata anche da un altro film attualmente in programmazione: Surrogates di Jonathan Mostow, con Bruce Willis e Radha Mitchell, che in Italia è uscito nelle sale l’8 gennaio 2010 e si chiama Il mondo dei replicanti.
Il film si ispira ai fumetti omonimi creati da Robert Venditti e Brett Weldele, che narrano di un mondo futuro in cui la maggior parte degli esseri umani non esce mai dalla propria abitazione, affidando ad androidi robotizzati e controllati da casa il compito di interagire con il mondo esterno. Questi androidi sono detti appunto surrogates, e sono a tutti gli effetti degli avatar dotati di sensori in grado di trasmettere input alle persone reali che li controllano. I surrogates sono le versioni robotiche a controllo remoto di esseri umani ormai incapaci di vivere la propria vita. Esseri che hanno delegato questi loro alter ego a vivere per loro, scegliendo di non rinunciare alla sicurezza e alla comodità delle proprie case.
I risvolti etici di una tale pratica potrebbero essere talmente sconvolgenti da rivoluzionare i paradigmi non solo relativi all’esistenza degli individui, ma all’intera società. Il dubbio che assale il protagonista che si avventura per la prima volta con il proprio corpo nel mondo è: “Come si fa a salvare l’umanità quando tutto ciò che rimane di reale sei tu?“
Gli Avatar per perdersi o per liberarsi dalle illusioni
Del resto, come scriveva Elémire Zolla fin dal 1992 (Uscite dal mondo), quando tali realtà virtuali ancora non erano così popolari, “uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l’atto più bello che si possa compiere“.
Si pensi soltanto a tutti i limiti che l’uomo stesso da solo si pone vivendo la propria esistenza, alle paure che lo bloccano, alle abitudini che subdolamente lo costringono, agli interessi e agli attaccamenti che lo indirizzano, ai bisogni (veri e indotti) che lo obbligano. L’uomo quasi sempre rinuncia a quote elevatissime della propria libertà e pertanto rinuncia ad esplorare l’immenso campo delle possibilità.
In questo senso le infinite possibilità esperienziali che, pur virtualmente, sono offerte dagli avatar nei mondi immaginari creati dalla tecnologia potrebbero, sempre secondo l’auspicio di Zolla, forse davvero cominciare a spalancare quelle porte chiuse che da sempre limitano ogni uomo ordinario rendendolo finalmente un creatore consapevole della propria esistenza.
E mentre molti perderanno loro stessi nei labirinti virtuali in cui possono soddisfare tutte le passioni e, schiavi dei loro sensi iperstimolati, non sapranno più uscirne, forse alcuni sfrutteranno questa occasione tecnologica per “liberarsi” scoprendo ciò che i miti indù cercano di spiegare da millenni; cioè che anche quella che chiamiamo “realtà” è un’illusione, esattamente come i mondi virtuali, e che qualunque alter ego in fondo è virtuale come il nostro ego.
Giovanni Pelosini
di Lorenzo F.L. Pelosini