L’equilibrio ristabilito (di Lorenzo F.L. Pelosini)
Eccoci qua! Questa volta, vi voglio rassicurare, non parlerò di Avatar. Anche se sono indignato dal poco peso che l’Academy gli ha dato. Tre Oscar per un film del genere sono una miseria, ma, se pensiamo al fatto che il miglior film di Kubrick e il miglior film di Spielberg sono stati entrambi snobbati agli Oscar perché appartenenti al genere fantascientifico solo per poi entrare nella Storia, mi consolo e lascio ai posteri l’ardua sentenza, così io posso parlare d’altro.
L’argomento che voglio trattare ha in effetti a che vedere con “l’entrare nella Storia“. Non solo, in tema con l’Equinozio di Primavera, parlerò anche dell’Equilibrio.
Molte persone mi chiedono da molto tempo quale sia la mia posizione politica. La mia risposta è ormai sempre la stessa: “ho più paura di una persona che di un partito“. In pratica non mi schiero perché so che la Storia ha visto tiranni schierarsi da ogni parte e farsi scudo con ogni tipo di ideologia. In pratica, nel limite della mia comprensione, cerco di prendere la difesa del male minore, attento a non difenderlo tanto da farlo diventare il maggiore.
Detto questo prendiamo in esame un interessante film di Bernardo Bertolucci, edito in due capitoli: Novecento. Girato e uscito nel pieno della rivoluzione giovanile degli anni ’70, questo film riproduce un epico e nostalgico affresco di un’Italia che va formandosi, a cavallo tra due guerre mondiali e tra l’avvento e il crollo del regime fascista, mostrando anche la fine del mondo rurale e l’inizio della supremazia della “Macchina Industriale” sulle “Braccia dell’Uomo”. Bertolucci riesce ad essere commovente e straziante al contempo e tramite una composizione pittorica che sembra quasi sfidare le perfette atmosfere del kubrickiano Barry Lindon, ci fa sentire l’odore, perfino il sapore, del secolo passato. Tuttavia, in armonia con la tendenza dell’epoca, il film presenta soprattutto nelle ultime scene una celebrazione esplicita dell’ideologia socialista. L’ultima sequenza vede come protagonista una immensa bandiera rossa con falce e martello, simbolo della liberazione italiana. In pratica, malgrado il film abbia dentro di sé molti aspetti che non possono che essere considerati universalmente ed eternamente validi e comprensibili, quest’ultimo elemento risulta essere controproducente con l’avanzare del tempo. Ciò accade perché narra di una specifica parte che riesce a dominare sull’altra e questo però, come ci insegna la Storia, non porta alla restaurazione di un equilibrio, non a lungo termine, quantomeno. “Ha llegado la Victoria, no la Paz” (è giunta la Vittoria, non la Pace.), diceva Fernando Fernàn-Gòmez a proposito della “fine” della Guerra Civile spagnola. In pratica, per rifarmi al mio articolo precedente, il meccanismo messo in atto in Novecento considera l’Antitesi che si contrappone alla Tesi come il fine ultimo, senza considerare la terza e più importante fase della Sintesi, che altro non è che la restaurazione dell’Equilibrio.
Prendiamo invece un film di relativo successo, già divenuto un affermato fenomeno di nicchia: V per Vendetta, diretto da James McTeigue, esordiente allievo dei Fratelli Wachowski, e sceneggiato dagli stessi Wachowski (già creatori di Matrix). Ora, questo film, tratto dall’omonima graphic novel di Alan Moore, ha anch’esso un tema piuttosto politico-sociale, anche se l’ambientazione è vagamente futuristica e molto dichiaratamente Orwelliana. Tratta di un’ipotetica dittatura instauratasi nel Regno Unito nella quale, un uomo che si fa chiamare “V”, col volto eternamente coperto dalla maschera di Guy Fawkes (l’uomo che tentò di far esplodere il parlamento nel 1605), vendica le ingiustizie subite dal popolo e cerca di rovesciare il regime assolutista, al contempo hitleriano e staliniano (c’è differenza, mi chiedo?). I suoi metodi sono violenti e questo, assieme al titolo, sembra ammiccare ad una morale anarchica e insurrezionalista.
Eppure, e qui sta la rivoluzione, il personaggio alla fine mette in crisi se stesso, scopre di nuovo l’amore che lui aveva dimenticato per lasciare spazio “all’ira funesta” e decide di porre fine alla sua vita lo stesso giorno in cui il regime crollerà per sua stessa mano. Proclamando il principio fisico secondo cui ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, lui prende coscienza di essere solo uno dei piatti della bilancia, uno specchio che ha rivolto la violenza verso le stesse persone che l’hanno perpetrata. Ma con una saggezza che non ha precedenza negli eroi rivoluzionari, lascia che il futuro che seguirà alla caduta della dittatura sia creato da persone che non sono state forgiate dall’Odio. In effetti, è un dato di fatto che la maggior parte delle volte che un uomo o un’idea sono sopravvissute oltre il tempo necessario per risolvere un dato problema, siano diventate esse stesse il problema. Per citare Il Cavaliere Oscuro: “O muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo.“
Sapersi frenare, prendere coscienza del raggiungimento del proprio scopo, non lasciarsi accecare dal potere è l’unico modo per far sì che la storia cessi di essere solo un tragico ciclo di evoluzione fallace ed incombente decadenza.
Lorenzo F.L. Pelosini