I misteri della Tempesta di Giorgione

Sappiamo così poco della vita di Giorgione che la sua figura appare più mitologica che non reale, come ebbe a notare Gabriele D’Annunzio nel Fuoco, quando affermò che il pittore gli appariva “piuttosto come un mito che come un uomo“.
Non se ne conosce il cognome e le scarse notizie biografiche provengono quasi tutte dal Vasari, che scrisse della morte del pittore a 34 anni a causa della peste avvenuta nel 1511, anche se più probabilmente avvenne nel 1510. Ne consegue che la sua nascita si può collocare intorno al 1477, presumibilmente a Castelfranco Veneto.
È qui che ha avuto luogo l’interessante mostra in occasione del cinquecentenario della morte di Giorgio o Zorzi da Castelfranco, detto Zorzon “dalle fattezze della persona et la grandezza dell’animo” e più conosciuto oggi come Giorgione.
Al successo della mostra hanno contribuito anche opere provenienti dagli Uffizi, dall’Hermitage, dal Louvre e dalla National Gallery, per la prima volta riunite nel luogo di origine dell’autore.
Ai misteri sulla sua vita si aggiungono quelli sulle opere che gli sono attribuite, molto spesso criptiche e simboliche secondo le esigenze dei ricchi committenti dell’epoca, probabilmente aristocratici appassionati di tematiche esoteriche, neoplatoniche e cabbalistiche.

Enigmi ermetici da Leonardo a Giorgione

I suoi quadri talvolta richiamano il suo maestro Giovanni Bellini e l’altrettanto enigmatico Leonardo da Vinci nei paesaggi, nei colori, nelle sfumature, nei chiaroscuri, nelle esoteriche pose dei personaggi e nelle oscurità che talvolta li circondano. È ancora Vasari che ce ne fornisce una spiegazione plausibile nelle Vite: “Aveva veduto Giorgione alcune cose di mano di Lionardo“. Particolarmente parlante in questo senso è la pittura a olio I tre filosofi del Kunsthistoisches Museum di Vienna, in cui tre personaggi di diverse età, abbigliamento e atteggiamento, sembrano contemplare un’oscura grotta: forse più un complesso messaggio simbolico e gnostico piuttosto di una raffigurazione dei tre Magi, come la storia dell’arte canonica spesso insegna.
In ogni caso il committente, Taddeo Contarini, pare abbia richiesto in questo caso un dipinto ermetico, di non facile decifrazione e, proprio per questo motivo, affascinante.
Ma l’alone di mistero intorno al Giorgione, unanimemente descritto come artista sfuggente, si deve in gran parte a un’opera realizzata nel 1507-1508 presumibilmente per Gabriele Vendramin e ora conservata alla Galleria dell’Accademia in Venezia: La Tempesta.

Le mille interpretazioni della Tempesta

L’olio su tela di 82 cm x 73 cm è sicuramente opera di Giorgione secondo gli appunti del nobile veneziano Marcantonio Michiel, contemporaneo dell’artista, che scrive: “El paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana e soldato fu de man de Zorzi de Castelfranco“.
Le interpretazioni sul significato della Tempesta sono innumerevoli e diverse: a destra in primo piano c’è una donna che allatta un bambino, a sinistra un giovane in piedi osserva con distacco, mentre il paesaggio nello sfondo è il vero protagonista della scena, con un temporale incombente su un centro abitato attraversato da un fiume.
La critica ottocentesca ha contribuito ad alimentare la leggenda intorno a questo dipinto, considerato particolarmente ispirato e poetico, forse il primo paesaggio della storia dell’arte occidentale, una sublime visione rinascimentale dell’antichità classica.
In questa ottica tardoromantica, rammentata da Bernhard Aikema, La Tempesta potrebbe essere un dipinto puramente poetico, senza alcun soggetto.
Altri si sono affannati a ricercare un testo letterario o un mito classico come soggetto della tela e, soprattutto, si sono impegnati a demolire le pur suggestive teorie precedenti, senza, per altro, produrre interpretazioni completamente soddisfacenti.
Da qui l’affascinante mistero e la leggenda della Tempesta non ancora svelata.
La “famiglia di Giorgione” (e la sua presunta nascita illegittima) è un soggetto assai poco stimolante dal punto di vista simbolico, e anche l’allegoria delle polarità (maschile-femminile) della natura risulta una tesi poco credibile, specialmente dopo che un’analisi radiografica degli anni ’30 ha scoperto sotto la figura maschile una precedente figura femminile nuda e seduta.
Forse Giorgione intese rappresentare il contrasto fra la pace bucolica del primo piano e le inquietanti nubi sopra il villaggio sullo sfondo, ma anche questa interpretazione non possiede convincenti riscontri letterari.
Edgard Wind nel 1969 vi lesse un’allegoria della Carità (la donna), della Forza (l’uomo) e della Fortuna (il fulmine). Altri vollero invece trovarvi origini bibliche, ma né Mosè salvato dalle acque, né Adamo ed Eva (con Caino) cacciati dal Paradiso Terrestre sembrano esservi convincentemente rappresentati. Ugualmente le interpretazioni della Tempesta come allegoria dei miti classici di Giove ed Io, del giovane Paride, di Mercurio e Epafo allattato da una ninfa, di Deucalione e Pirra, di Anchise e Afrodite appaiono solo dotti esercizi esegetici.
Anche l’interpretazione alchemica, vista la contemporanea presenza dei quattro Elementi, appare generica e poco consistente, malgrado una certa differenza della natura rappresentata nei settori sinistro (con le rovine che ricordano la morte) e destro (con il bambino e la vegetazione rigogliosa che richiamano la nascita).
C’è chi semplicemente chiamò il dipinto “La zingara e il soldato“, ma se la donna potrebbe anche essere “zingara”, nel senso naturalistico del termine, certamente il giovane è assai poco marziale per essere un “soldato” e, da un punto di vista tarologico, somiglia molto di più al Fante di Bastoni che non al Cavaliere di Spade. Così come lo sfondo con la Torre e il fulmine richiama il XVI Arcano Maggiore.
Astrologicamente interessante è la versione di Marta Breuning che vede nel dipinto un’allegoria del mito platonico di Er, in cui il bambino è simbolo dell’anima incarnata che ha scelto i genitori; così come la visione ermetica che richiama il meraviglioso testo allegorico Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, dove la donna rappresenterebbe la Grande Dea Madre Iside, origine e termine di tutte le cose e di tutti gli esseri.

La Venezia di Giorgione e l’Età dell’Oro

La ricca terra veneta del Rinascimento e la sua libera e liberale capitale Venezia, così brillantemente, splendidamente e aristocraticamente leonina, erano un crogiuolo artistico e umanistico straordinario in cui crescevano talenti come Giambellino, Carpaccio, Mantegna, Tiziano e Dürer, sulle rive della laguna proiettata verso l’oriente, piena di stranieri esotici nei costumi e nelle lingue, fra mistiche commistioni di alchimia, astrologia, cabala ebraica, profumi asiatici e mitteleuropei.
Non è difficile ipotizzare che Giorgione, pittore “moderno” capace di mettere su tela le sensazioni e le emozioni, sia proprio nella cosmopolita Venezia riuscito ad evocare quel mondo primitivo, arcadico, di stampo panteistico che Esiodo e Ovidio cantarono secoli prima. La Tempesta forse è solo un’immagine onirica e vaga della perduta primordiale Età dell’Oro dominata da quel Saturno italico tanto lontano dal crudo Cronos ellenico quanto vicino alla Natura lucreziana; quasi un anticipo del paradigma tolkeniano, che vedrà (secoli dopo) nel fantastico Signore degli Anelli la contrapposizione fra la placida taurina Contea e le tenebrose e barbariche tecnologie degli orchi di Isengard.
Ecco che le rovine di un tempio con i resti di due colonne, i personaggi sereni ma criptici nelle loro pose e nei loro profondi pensieri ci calano in una natura sfuggente e in una atmosfera piacevole che vediamo misteriose, ma che sentiamo appartenerci in uno spazio-tempo immobile ed eterno, così come il ponte sul torrente ci porta ad esplorare il villaggio e le torri sulle quali gli eventi meteorologici mostrano l’incalzare del tempo e la tensione delle forze trasformatrici ed entropiche.

La leggenda della morte per amore

Un ultimo mistero sul Giorgione riguarda la sua morte, che secondo Giorgio Vasari fu causata dalla peste, come risulta anche da un manoscritto del 1510 di Taddeo Albano a Isabella d’Este, ma che Carlo Ridolfi (1648) riporta essere avvenuta per “male d’amore“, dopo che la sua amata era fuggita con l’allievo Pietro Luzzo da Feltre. Tipico di chi aveva amato l’arte e l’amore sopra ogni cosa.

Giovanni Pelosini



1 Commento a "I misteri della Tempesta di Giorgione"

  1. luigi

    ti ringrazio per avermi ricordato la biografia e il talento di uno dei più grandi pittori di fine 400

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