La Temperatura Percepita: Meteorologia e Soggettività

Le Solite Insopportabili Ondate di Calore

Da alcuni anni nelle afose giornate estive, in assenza di contenuti diversi o intenzionati a distoglierne l’interesse dei cittadini, telegiornali e quotidiani parlano con insistenza di anomale ondate di calore, di temperature sahariane, dei soliti consigli dietetici e comportamentali da tenere in questi casi.

Le previsioni meteorologiche in certi giorni sembrano bollettini di guerra intervallati da triti luoghi comuni: mentre sempre più robusti anticicloni stazionano sulla penisola, le città sono assediate dall’afa, la salute di anziani e bambini è a rischio, le spiagge sono affollate da chi fugge in cerca di refrigerio…

Riconosciamo ormai che il clima di tutto il mondo sta cambiando con una relativa velocità, ma è proprio questo il problema? È vero che anche solo un paio di gradi in più di temperatura media globale rappresentino indubbiamente una grave emergenza mondiale di cui opinione pubblica e governi dovrebbero occuparsi con maggiore attenzione, visto che le conseguenze degli inquinamenti atmosferici sono sempre più disastrose e che le poche soluzioni prospettate sembrano poco più che palliativi.

Eppure il vicino di ombrellone che si lamenta del caldo insopportabile o la signora dalla parrucchiera che esprime tutto il suo disagio in queste umide giornate di luglio e di agosto non si riferiscono affatto al riscaldamento globale, ma in realtà ai picchi di caldo-umido tipici di ogni estate italiana degna di tale nome.

Mentre scrivo questo articolo in alcune località le massime temperature sono di 39°C, anche se l’elevata umidità sta facendo sì che la temperatura “percepita” sia un po’ superiore.

Già, la temperatura “percepita”, proprio di ciò volevo scrivere: non tanto del caldo in sé, ma della sua “percezione”.

Non serve che vada a cercare negli archivi la registrazione delle temperature estive degli ultimi decenni per sapere che in ogni estate ci sono stati giorni altrettanto caldi, se non di più: è assolutamente “normale”. Eppure, pur non essendo in presenza di “anomale” ondate di calore, sembra che nessuno sia più in grado di sopportare le stesse temperature che trenta o quaranta anni fa erano accettate e tollerate con pazienza.

Che cosa è cambiato da allora, se non la temperatura? La nostra percezione e la nostra sensibilità.

Quando, sotto il sole estivo, affrontavo anche lunghi viaggi con la mia vecchia Dyane del ’75 certamente faceva caldo, ma all’aria condizionata non ci pensavo neanche; aprivo i finestrini (a mano) e via. La scorsa settimana il climatizzatore della mia accessoriata auto (con apertura elettrica dei finestrini) ha avuto un guasto; in attesa della riparazione, se mi devo spostare di soli trenta chilometri è già un problema per tutta la famiglia.

Forse tale fenomeno si spiega anche con l’avanzare dell’età, mi farebbe notare mia moglie. Forse. Ma l’insofferenza che notiamo crescere in tutti noi sembra ben distribuita in tutte le generazioni.

Penso piuttosto che sia cambiata decisamente la nostra percezione, la nostra capacità di prendere e di apprendere, la nostra sensibilità, che è sempre stata relativa e soggettiva.

Ricordo il mio primo viaggio negli Stati Uniti nel 1986, quando notai la palese insofferenza al caldo di molti abitanti della Florida: erano molto nervosi e si lamentavano continuamente del caldo insopportabile. La mia percezione era assai diversa, e pensai che il loro atteggiamento fosse una conseguenza dell’assuefazione all’aria condizionata e dell’uso continuo di bevande ghiacciate, ma soprattutto delle (pessime) abitudini alimentari quotidiane, certamente poco adatte a qualunque tipo di clima. In effetti, tra l’esterno e l’interno di un grande magazzino potevano esserci anche una trentina di gradi di differenza, al punto che fuori una semplice maglietta era fin troppo, mentre dentro non bastava il golfino. Ricordo benissimo che mettendo la mano nel reparto degli alimenti refrigerati quasi non si notava la differenza. «That’s Miami», commentò la cassiera sudando e quasi scusandosi, non si sa se per il clima o per la follia dei suoi concittadini, ed io pensai a quale inferno dovesse diventare la città in estate, visto che era dicembre!

Oggi le città italiane somigliano molto alla Miami che conobbi, l’alimentazione degli italiani generalmente è ormai molto simile agli standard americani, e l’uso che facciamo dell’aria condizionata è molto spesso superiore al necessario, ottenendo, come effetto collaterale, anche un ulteriore riscaldamento degli ambienti esterni prossimi ai condizionatori. Ne consegue che la nostra sensibilità al caldo è aumentata e sta aumentando, facendoci percepire come una insopportabile anomala ondata di calore ciò che in altri tempi (e in altri luoghi) sarebbe solo normale afa estiva.

Eh, sì, davvero tutto sembra essere relativo, così conseguente delle variabili spaziali e temporali, e così dipendente persino dell’umore personale e collettivo.

Sempre negli anni ’80 dell’ormai scorso secolo mi ero recato anche nelle oasi dell’Asia centrale. Mentre il termometro segnava 50°C all’ombra tra i penetranti odori del mercato di Bukhara, salii sul pullman affollato di uzbeki, tagiki e turkmeni nei loro tipici costumi colorati. L’aria condizionata era ovviamente del tutto sconosciuta in quello spazio-tempo, e i finestrini aperti rappresentavano soltanto un modestissimo, se non virtuale, sollievo. Ma in quel contesto non vidi nessun segno di insofferenza o di nervosismo per le elevate temperature: semplicemente si beveva spesso tè (tiepido) e si riposava tranquillamente all’ombra in attesa dell’appena più fresca notte.

Nonostante tutto, sono consapevole che anche il mio ricordo è influenzato dal mio stato d’animo di allora, così come il mio scritto lo è anche da quello attuale. La soggettività crea una realtà spesso più vera di qualunque oggettivo strumento e la percezione personale può causare sensazioni diverse, se non opposte, da quelle di chi ci sta accanto.

Che si soffra, dunque, per questo “eccessivo” caldo, se così sentiamo di fare, e si dia pure sfogo all’abitudine popolare di lamentarsi, specialmente di ciò che si ritiene non essere in nostro potere.

Giovanni Pelosini



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