Il Colosso di Rodi, Emblema del Sole

Le Sette Meraviglie del Mondo: Il Colosso di Rodi

“A te, o Sole,

le genti della Dorica Rodi

innalzano questa statua bronzea che raggiunge l’Olimpo

dopo aver calmato le onde della guerra

ed incoronato la loro città con le spoglie del nemico.

Non soltanto sopra i mari,

ma anche sulla terra

essi accendono la dolce torcia della libertà”

Questa era l’iscrizione votiva che gli abitanti di Rodi vollero sul basamento in pietra del mitico Colosso per celebrare ciò che il caldo Sole del Mediterraneo orientale, patrono dell’isola, da sempre aveva promesso loro: la libertà.

Quando Alessandro Magno morì, giovane e senza eredi, i suoi generali entrarono in competizione per spartirsi il grande impero che quasi tutto il mondo allora conosciuto abbracciava. Pochi di loro, combattendo aspramente, riuscirono a prevalere ed fondare delle dinastie. Seleuco fondò un regno, e così fecero Antigono di Macedonia e Tolomeo, che dominava l’Egitto. Le città federate di Rodi erano alleate di Tolomeo e fiere della loro indipendenza, e questo fatto dovette sembrare un insopportabile affronto al rivale Antigono, che ordinò a suo figlio Demetrio di conquistare l’isola e punire severamente i suoi riottosi abitanti. Fu così che nel 305 a.C. una flotta sbarcò un esercito di 40.000 uomini ben attrezzati e decisi a distruggere Rodi. Le catapulte dalle navi bombardarono la capitale, ma una provvidenziale mareggiata le disperse. Allora Demetrio fece montare una poderosa macchina d’assedio detta Elepoli, una torre mobile di 40 metri, robusta e lucente, spaventosa a vedersi anche dalle più alte mura, ma i Rodioti riuscirono a bloccarla nel fango dei fossati. Altre formidabili macchine seminarono il terrore sull’isola assediata per quasi un anno, ma i coraggiosi  abitanti confidavano sempre nella fortuna e nel Dio del Sole Helio, e resistettero fino all’arrivo di una flotta degli alleati egiziani. Il nemico in fuga abbandonò le armi pesanti, che divennero preda e trofeo dei Rodioti, i quali ne ricavarono le risorse per innalzare un gigantesco monumento al dio che li aveva sostenuti nei lunghi mesi di duro assedio.

Allora fu chiamato Carete, dalla città di Lindos, un patriota devoto al Sole protettore che aveva combattuto valorosamente nella lunga battaglia. Carete era un bravo artista, già famoso per la bellezza dei suoi Kolossos, le grandi statue di legno e di argilla degli Dei: a lui fu affidato l’incarico di ringraziare il Dio del Sole con un opera meravigliosa che sarebbe sorta altissima sul porto. Carete aveva già costruito grandi statue, ma quella del grande Dio Sole lo impegnò per dodici anni, sulla torre nemica usata come impalcatura per la costruzione. Il bronzo delle armi nemiche fuse sul posto si innalzò gradualmente a brillare alla luce del Sole protettore. Nel 282 a.C. finalmente il Colosso di Rodi cominciò ad accogliere le navi in arrivo dall’alto dei suoi 32 metri, così come racconta Filone di Alessandria.

Questa meraviglia del mondo antico non era una leggenda, ma una reale grande opera dell’ingegno umano fatta di grandi blocchi di pietra armati di ferro e rivestiti di bronzo lucente. Plinio il Vecchio, infatti, ce ne parla, alcuni secoli dopo la costruzione:

“A Rodi fu nell’ammirazione di tutti il Colosso del Sole,

che Carete Lindio, discepolo di Lisippo, aveva costruito.

Questa statua aveva un’altezza di 70 cubiti (….)

Narrano che Carete edificò in dodici anni il Colosso

per 300 talenti, a causa di un voto

della cittadinanza grata ad Apollo,

poiché Demetrio aveva rinunciato all’assedio della città …”

Plinio poté vedere però soltanto i resti del Colosso di Rodi, perché la statua era crollata spezzandosi alle deboli saturniane ginocchia…

“… dopo 66 anni il terremoto la distrusse,

ma, pur abbattuta, è ancora una cosa meravigliosa.

Sono pochi quelli che riescono ad abbracciarne un pollice

e le altre dita sono più grandi di tante statue.

Nelle membra si aprono vaste cavità,

che mostrano l’interno della statua

e le pietre della grande mole,

che Carete vi aveva messo per renderla stabile.”

Le membra del Colosso rimasero sulle rocce e forse sui fondali presso il porto per secoli, protette dal sacro divieto di un oracolo che ne impedì sia la ricostruzione che il saccheggio. Per quasi 900 anni la statua del Sole, anche se abbattuta, rimase una costruzione impressionante e ben visibile: continuò in questo modo a difendere l’isola, finché gli arabi la conquistarono nel 654, e quindi vendettero a pezzi il Colosso a mercanti ebrei della Siria.

Così si persero le ultime tracce del colosso di Rodi, ma non il suo ricordo, vivo nei miti di più di duemila anni, e rinnovato di recente nella famosa Statua della Libertà che saluta i visitatori davanti a New York. Lo scultore francese Auguste Bartholdi, infatti, si ispirò a questa meraviglia del mondo antico per rappresentare magnificamente gli archetipi relativi al Sole ed alla Libertà.

Al di là delle fantasiose ricostruzioni, con ogni probabilità ne abbiamo ancora una copia piuttosto fedele nel bellissimo marmo dell’Apollo di Civitavecchia: un modello ritrovato a Pyrgi, in una villa romana del tempo di Adriano, lo stesso imperatore che nel 114 intraprese un effimero restauro dell’idolo del Sole di Rodi. Pare che, come la Statua della Libertà di New York, il Colosso avesse una corona di sette raggi intorno al capo e probabilmente teneva alta una fiaccola per illuminare la notte all’ingresso del porto, mentre durante il giorno il Dio Sole di Rodi rifletteva sulle piastre del rivestimento in bronzo e la sua luce vivente confortava gli amici ed intimidiva i nemici dell’isola greca. Ogni raggio della corona simboleggiava uno dei sette pianeti allora conosciuti, di cui il Sole era il signore, un raggio per ciascuno degli antichi Dei, un raggio per ognuna delle antiche sette meraviglie.

Il Colosso, esattamente come la moderna statua di New York celebrava, alzando “la dolce torcia” la luce eterna del Sole, l’amicizia, la pace e l’eterna aspirazione dei popoli alla libertà.

Giovanni Pelosini



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