Simboli della Chiave e Chiavi del Simbolo
Oggetto emblematico per aprire e per serrare, la chiave rappresenta lo strumento indispensabile per accedere a qualsiasi cosa. “Claudit et aperit” si scriveva del sigillo papale per mettere in evidenza il potere assoluto di scelta nel chiudere ovvero aprire la porta di accesso alle più preziose cose di questo mondo e, simbolicamente, le porte dello stesso Paradiso, come l’iconografia tradizionale ricorda quando rappresenta San Pietro munito di chiavi. Particolarmente la chiave risulta essere un simbolo importante per sigillare con sicurezza le cose più preziose e segrete, ovvero per concederle in esclusiva a chi di dovere. In questa accezione la chiave diventa anche un simbolo di potere e di possesso.
Quando un giovane è sufficientemente cresciuto e dimostra responsabilità ed emancipazione, gli viene consentito l’uso delle chiavi di casa dai genitori, come emblema di fedeltà riconosciuta e fiducia concessa. In questo senso, anzi, con questa “chiave”, leggasi l’episodio di Pier della Vigna, poeta ed epistolografo di corte, Cancelliere Imperiale di Federico II di Svevia, che così si presenta a Dante Alighieri nella selva dei suicidi in Inferno (XIII, 58-63):
“Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;
fede portai al glorïoso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e’ polsi.”
Pier della Vigna è qui raffigurato come l’unico vero confidente di Federico, custode del “secreto suo” ed autentico “clavigero” dell’Impero. Di lui si disse: “Chiude e nessuno apre, apre e nessuno chiude”. Qui il consigliere dichiara di essere stato sempre fedele, e quindi meritevole della fiducia dell’Imperatore, al punto da perderne il sonno e le forze. Eppure, caduto in disgrazia ed accusato di tradimento nel 1249, fu accecato e rinchiuso nella Torre Federiciana di San Miniato, dove la tradizione narra che si togliesse la vita. La fiducia massima di cui godeva è dimostrata appunto dal fatto di possedere “entrambe le chiavi del cuore” di Federico, cioè di conoscere il suo animo e la sua natura più intima. Benvenuto dei Rambaldi (1338-1388 circa), nel suo commento alla Divina Commedia, in un linguaggio ancora comprensibile, così descrive Pier della Vigna chiamandolo emblematicamente “Petrus” e richiamando così la tradizione cristiana del santo detentore di chiavi:
“Cujus singularis familiaritatis apud Imperatorem fuit hoc mirabile signum, quod in Neapolitano Palatio effigiatus erat Imperator et Petrus: unus in solio, alter in sede”.
L’episodio ammonisce che il possesso delle chiavi, così come quello della conoscenza (particolarmente dei segreti), implica sì potere, ma anche grande responsabilità: la responsabilità di chi occupa una “posizione chiave”. Un eventuale abuso delle chiavi concesse dai potenti poteva avere come conseguenza quella di essere messo “sotto chiave”.
Agli illustri personaggi si usa ancor oggi donare le chiavi della città, rievocando l’uso antico di cedere tali chiavi, con gesto simbolico, agli assedianti vincitori che si apprestavano a prendere possesso della fortezza sconfitta. Tale gesto era il riconoscimento ufficiale del nuovo dominio che si andava ad instaurare e, nello stesso tempo, implicando una sorta di sottomissione ad esso, si sperava così di ricevere un trattamento clemente da parte dell’ex nemico. Viceversa, gli sconfitti costretti all’esilio, e comunque coloro che abbandonavano per qualsiasi motivo la patria, usavano baciare il chiavistello come simbolo di addio. La stessa cosa faceva chi lasciava la propria casa pensando di non farvi più ritorno. A tale proposito risulta singolare il gesto di molti degli ebrei cacciati dalla Spagna sul finire del XV secolo: portare con loro le chiavi della dimora implicava un grande attaccamento al territorio ed una speranza mai del tutto abbandonata e rimasta talvolta viva per generazioni di Sefarditi di poter un giorno ritornare. Del resto, ancora oggi, di un’auto o di un’abitazione finita e perfettamente funzionale si dice “chiavi in mano”, considerando che la consegna delle chiavi equivale ad assicurare la piena dotazione dell’oggetto di ogni possibile rifinitura necessaria all’uso.
Con altro modo di dire figurato si esprime la conclusione, o meglio, il coronamento di un lavoro: la cosiddetta chiave di volta rappresenta la chiusura ma soprattutto la dignità dell’opera finita. Tale detto figurato trova le sue origini dall’arte dei costruttori che, ponendo abilmente l’ultima pietra di una volta, assicuravano al contempo la copertura dell’edificio e la sua stabilità dovuta al sapiente equilibrio delle forze fisiche in gioco.
La “chiave di violino” invece determina l’altezza delle note e quindi fornisce il codice interpretativo della musica scritta. In effetti ogni codice, più o meno riservato, richiede una “chiave di accesso”. Ecco che “trovare la chiave” significa iniziare a comprendere un codice, un cifrario, ovvero un altro qualunque mistero o aspetto oscuro. Chi trova la chiave può aprire la porta che lo condurrà all’obiettivo.
Concludo questa breve e non esaustiva riflessione con la speranza che sia stimolante per il lettore appassionato di simbologia e che i “simboli della chiave” possano essere utili “chiavi del simbolo”.
Giovanni Pelosini
Settembre 17, 2010 alle 15:17
… esaustivo, altro che no! Dentro al simbolo c’è un gran segreto che oggi sembra non voler essere osservato: solo chi è pronto può accedere a certa conoscenza. Oggi si danno in mano le chiavi a chi non solo non è pronto ad usarle ma non capisce soprattutto l’importanza di come usarle e (soprattutto) “non” usarle. Saggezza e Consapevolezza sono carenze DA NON SOTTOVALUTARE, invece! Daltronde non vedo perché , dato che tutto ha sia il lato positivo che negativo, anche il “Potere” non abbia anche una facciata positiva invece che solo quella negativa di chi lo incarna di solito.
Dioy