Simbologia del Confortante Cipresso
Miti, Simboli e Corrispondenze Astrologiche del Cipresso.
Ovidio ci tramanda una tenera storia, adatta alle brumose sere d’autunno, che spiega poeticamente i miti di uno degli alberi più amati d’Italia e più caratteristici del suo cuore toscano (Metamorfosi, X, 78-147). Orfeo ancora piangeva la perdita definitiva della sua Euridice, abbandonata nell’Ade a causa della sua impazienza di rivederla. Erano passati tre anni da quel tragico evento, eppure, da allora, lui non aveva amato più nessuna donna, e malinconico vagava con la divina musica della sua lira, accompagnando così i suoi gentili canti. Un giorno si sedette su un prato verdissimo, su una spianata in cima ad una collina; nessun albero gli faceva ombra, ma, appena il poeta toccò le corde del suo strumento, un intero bosco a lui si avvicinò prodigiosamente, ricco di querce e frassini, platani e aceri, faggi e allori, tigli e noccioli, pini e giuggioli. Ma fra tutti gli alberi spiccava il cipresso, che sembrava piangere con il poeta l’amore perduto, e compassionevole gli si avvicinava con l’intento di consolarlo. Così l’aperta mente di Orfeo ne percepì la vibrazione e così la tradusse in un canto per gli Dei e per gli uomini.
Il Mito di Ciparisso
Viveva un tempo nelle campagne di Cartea un maestoso e mansueto cervo che fiero portava corna imponenti addobbate di monili d’oro, che si faceva docilmente mettere indosso dagli abitanti del luogo. Tutti lo conoscevano e lo amavano, ed esso si faceva accarezzare anche da umani sconosciuti, avvicinandosi alle case. Qualcuno gli aveva messo degli orecchini di perle ed altri lo avevano ornato di collane, di borchie argentate e di gemme. Il giovane Ciparisso era il suo migliore amico; egli lo portava sui pascoli ed alla ricerca delle fonti più pure, addobbava le sue corna con ghirlande di fiori e giocava felice con lui nelle radure, talvolta cavalcandolo come si fa con i cavalli. Un giorno in cui il caldo Sole estivo ardeva fra le chele del Cancro, il grande cervo si adagiò al fresco, sotto gli alberi che circondavano una radura erbosa. Proprio lì il Fato volle che Ciparisso si fosse recato ad allenarsi nel lancio del giavellotto, e, non vedendo il cervo assopito, con uno sfortunato lancio dell’asta acuminata lo colpì mortalmente. La disperazione di Ciparisso fu atroce. Lo stesso Apollo scese dal cielo per consolarlo, ma tutto fu inutile: il ragazzo si stava lasciando morire gemendo, tale era il dolore ed il senso di colpa che provava. Piangeva senza riuscire a smettere, ed il pianto lo consolava e lo turbava al contempo. Le lacrime chiamavano altre lacrime in un’onda senza fine. Agli Dei Olimpi non restò altro da fare che accogliere l’ultima supplica del giovane morente, sfinito dal pianto e dalla disperazione: “poter essere a lutto in eterno”. Apollo decretò che così fosse, e le membra del giovane morente cominciarono subito a tingersi di verde, mentre la chioma divenne ispida e svettante verso il cielo. Ciparisso divenne un albero agile e solenne, che verde scuro si stagliava diritto e si slanciava verso l’alto con una inconfondibile forma piramidale. ‹‹Da noi Dei sarai pianto,›› decretò Apollo commosso, ‹‹e tu piangerai gli altri, sempre vicino a chi soffre.››
Simbologia astrologica
Con questo mito si spiega l’usanza di utilizzare le forme piramidali del cipresso per adornare i cimiteri e confortare i mortali ed i Numi che in quei luoghi piangono i loro cari defunti; la sottile azione terapeutica è finalizzata a sedare i dolori dell’anima, ma, per gli stessi motivi, questo albero è anche un invito a guardarsi dalla sofferenza dovuta agli attaccamenti. Ogni essere ed ogni cosa materiale sono destinati a finire; gli atomi eterni che compongono le loro forme prima o poi si divideranno per riaggregarsi in nuove composizioni: il desiderio e l’attaccamento sono frutto dell’ego e fonte di dolore, nonché sentimenti dovuti all’inconsapevolezza della vera natura del Sé, chiamato a discriminare fra Anima e Materia, fra soggetto ed oggetto. Il cipresso ha quindi una molteplice natura astrologica. Esso è saturniano per struttura e simbologia: con le sue foglie sempreverdi inneggia all’eternità, invita alla razionale discriminazione ed alla saggezza, al distacco dalle passioni umane; con il longevo e durevole legno ricco di tannino tenacemente sembra sfidare la morte stessa (anche del cervo Plinio insegnava che vivesse ben 3.600 anni). Nel legno odoroso di cipresso che resiste all’attacco dei tarli si intagliavano le statue degli Dei e con esso si costruivano assi levigate per sostenere i pesanti volumi di antiche biblioteche, dense di sapere. Fu attributo di Crono e di Esculapio, guaritore dei mali umani. Fu ed è simbolo di confine di proprietà agraria, marcando la Terra Madre come un ermetico fallo. Per molti motivi però è anche emblema di Ade, Plutone signore dei morti, il più ricco degli Dei, poiché il numero degli abitanti del suo regno cresceva sempre. L’uso funebre e cimiteriale, e lo stesso mito di Orfeo, che da vivo scese agli Inferi per amore, richiamano aspetti simbolici squisitamente plutoniani, mentre il plutoniano segno dello Scorpione e l’ottava Casa astrologica sono evocati in più modi. “Eros e Tanatos”, si diceva un tempo per sostenere un connubio che appare illogico soltanto ai profani della simbologia astrologica. Non è un caso che le frecce di Cupido fossero intagliate nel legno di cipresso; e neppure che le novelle mediorientali usassero tale albero dalla forma fallica come simbolo dell’amante. Catullo ricorda come “l’aereo cipresso” fosse un consueto dono di nozze (Poesie, LXIV, 88-93). Si rifletta sul fatto evidente che un cipresso tagliato possiede un cippo che non dà virgulti né ha la capacità di risorgere, per quanto tenace sia la sua natura. E, per quanto in Persia esso sia il simbolo del Paradiso e del Fuoco sacro, il suo messaggio sulla vita e sulla morte è ancora una volta un invito alla saggezza ed alla discriminazione. L’araldica più antica vide il cipresso come simbolo di immortalità e di incorruttibilità, piuttosto che di morte. Si goda dunque della bellezza delle sue fronde e della sua forma, dell’ombra odorosa, dell’aroma delle sue bacche, si sfruttino le virtù terapeutiche dei suoi olii e soprattutto si apprenda dal suo muto insegnamento, poiché è vero che qualunque attaccamento genera dolore finché l’uomo non riconosce la sua autentica natura spirituale. Canta Ugo Foscolo del dolore provocato dalla morte delle persone care e del conforto terapeutico dato dalla presenza del cipresso e dal mitico pianto di Ciparisso, riconoscendo all’albero sacro un limite che il simbolismo profondo ben chiarisce alle menti illuminate (I Sepolcri): “All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?”
Giovanni Pelosini