Simboli della Maestosa Aquila
I Simboli dell’Aquila
Pochi animali come l’aquila si sono manifestati negli animi e nelle menti degli uomini come archetipi e simboli di tale sublime potenza. Il suo volo librato e leggero insieme all’imponente apertura d’ali, la sua capacità di salire in alto presso le vette più alte in ideale vicinanza con il Sole, la sua vista acutissima e proverbiale e la forza espressa nella caccia con i micidiali artigli e il robusto becco sono stati sempre elementi iconografici e simbolici di grande impatto emotivo in ogni epoca e ad ogni latitudine.
Simbolo del Grande Spirito
Per gli indiani d’America l’aquila è uno degli animali totemici più nobili e rispettati, principale simbolo del Grande Spirito. Le sue lunghe penne erano utilizzate nei sontuosi copricapo delle tribù delle praterie come segno di valore e di forza non solo fisica, ma soprattutto morale. Per questa forza gli Stati Uniti d’America adottarono questo simbolo come emblema nazionale, ed oggi le grandi aquile con la testa bianca volano protette da severe leggi federali, anche se i nativi hanno speciali permessi di caccia, esclusivamente per motivi rituali e per tenere viva l’antica tradizione spirituale. Le sue penne che hanno sfiorato il respiro del Grande Spirito sono ancora utilizzate dagli sciamani come sottile strumento di guarigione dell’aura, per riequilibrare l’Elemento Aria e togliere la paura di ciò che non si conosce, ma è ovviamente vietato farne commercio. Similmente anche nello sciamanesimo siberiano l’animale è considerato simbolo del Sole e dell’ascesi, a causa del suo volo alto e maestoso in cui si può leggere la volontà divina.
Le Aquile di Delfi e dell’antichità
Anche nell’antica Europa si venerava l’aquila come emblema della più alta regalità e delle massime divinità celesti. Fra le montagne di Delfi, proprio sopra l’omphalos che rappresentava il centro del mondo, si dice che le aquile si siano fermate in verticale, sull’ideale asse di rotazione dell’intero universo, presso il Sole che brillava sul santuario di Apollo; per poi andare a dormire, narra Pindaro, sullo scettro di Zeus Padre a sancirne la divina regalità. Le iconografie tradizionali rappresentano spesso l’animale con delle saette o delle frecce tra gli artigli (come nel Grande Sigillo degli Stati Uniti presente anche sulle banconote), ricordando così i leggendari dardi di Apollo e i fulmini di Zeus, come gli stessi potenti raggi solari.
Il proverbiale occhio dell’aquila, che come quello dei falchi è capace di osservare il Sole, è da sempre un simbolo di vigilanza e accortezza, oltre che di potente capacità di controllo; ed il suo sangue era noto nell’antica farmacopea per donare prontezza, ingegno e vigore.
In Persia l’aquila volava come simbolo di vittoria sugli eserciti e lo stesso Erodoto narra di molti presagi favorevoli.
Dal Signum di Roma all’Aquila Imperiale
Le insegne di bronzo delle legioni romane portarono poi l’aquila in quasi tutti i territori allora conosciuti, esprimendo così il dominio assoluto e indiscutibile, la vigilanza sulle terre e sui popoli assoggettati, la capacità di colpire rapidamente e potentemente, la superiorità della forza militare e morale di una stirpe che riteneva di aver ricevuto dall’alto il compito di governare il mondo. Gli stessi concetti simbolici si tramandarono naturalmente in epoca imperiale e rimasero anche in seguito nell’aquila come principale emblema dell’autorità degli Imperatori. Come eredità e segno di continuità l’aquila rimase poi come principale simbolo araldico delle dinastie del Sacro Romano Impero e si impose nei blasoni dei principi e dei castelli di istituzione imperiale. Così gli Asburgo d’Austria e gli Zar della Russia a partire da Ivan IV adottarono questo emblema per i loro stemmi, anche se nella interessante versione dell’aquila a due teste, che H. J. Franz ritiene un simbolo di origine anatolico-ittita, poi passato ai Turchi Selgiuchidi, ed infine importato in Europa dai primi Crociati, proprio in concomitanza con la nascita dei primi veri stemmi araldici della storia. L’antico signum di Roma si trasformava così in aquila bicipite, con tutte le valenze simboliche della dualità mistica e degli opposti alchemici, ma soprattutto con i significati politici della duplice natura ed origine del potere imperiale.
In epoca recente fu naturale per le dittature fasciste e naziste riprendere il simbolo dell’aquila imperiale, sia per avvalorare il diritto all’eredità dei fasti e della potenza del passato (romano e medievale), sia come espressione di forza e di capacità aggressiva. Precedentemente anche Napoleone aveva adottato lo stesso simbolo per motivi analoghi.
Stranamente, nelle guerre fra Ghibellini e Guelfi, l’aquila fu contesa come emblema dalle due fazioni, cosicché non soltanto i seguaci dell’Impero si fregiavano giustamente di questo simbolo, ma anche i partigiani del potere papale, nei loro stemmi, usarono polemicamente un’aquila rossa con le ali rivolte verso il basso che teneva spesso negli artigli un drago verde, che Clemente IV volle far essere una raffigurazione dei Ghibellini.
Dal punto di vista della simbologia araldica, il Crollalanza evidenzia una grande differenza di qualità fra le aquile che abbiano ali rivolte in alto ovvero in basso: “Allorché è spiegata (esprime) desiderio sublime, elevatezza di pensieri, disprezzo di basse cose [….] …il volo abbassato, piegato o chiuso, indica spesso prudenza o rassegnazione”.
Più tardi in Italia gli oppositori del dispotismo imperiale austriaco non mancarono di ironizzare sull’aquila, nel tentativo di sminuirne il grande potere simbolico evocativo capace di incutere timore e riverenza. Il politico e poeta fiorentino Luigi Alamanni (1495-1556) così scrisse dell’emblema asburgico: “Quell’aquila grifagna che per più divorar due becchi porta”; e lo stesso Goffredo Mameli la rammentò morente per l’estrema avidità di sangue, nell’ultima, talvolta per questo fatto censurata, strofa del suo Inno: “Già l’Aquila d’Austria le penne ha perdute. Il sangue d’Italia, il sangue Polacco, bevé, col cosacco, ma il cor le bruciò”.
L’Aquila nei Tarocchi
Negli Arcani Maggiori dei Tarocchi Aurei soltanto le figure di tre animali simbolici appaiono in più di una carta: il leone, il serpente e l’aquila. Non è certamente un fatto casuale, come non è un caso l’associazione fra il leone, tradizionalmente considerato re degli animali terrestri, e l’aquila, sovrana di tutte le creature alate. L’aquila è associata anche al serpente, nella eterna contrapposizione simbolica fra le forze del cielo e quelle della terra, ben rappresentata nella mitologia azteca raffigurata nello stemma nazionale messicano, ma anche dalla tradizione cinese che preferisce incarnare i medesimi archetipi nella lotta fra la tigre e il dragone volante, oppure da quella indiana dell’aquila Garuda, celeste e solare, che contrasta il serpente Naga, terrestre e lunare. Sono ancora gli aztechi a rafforzare questo concetto dualistico con le caste guerriere delle Aquile e dei Giaguari. Da questo punto di vista assumono particolare intensità e valenza anche i miti precolombiani dell’uccello piumato Quetzalcoatl, così come quelli del Vecchio Mondo relativi al serpente Pitone, trafitto dalle frecce del Dio solare Apollo proprio nel luogo dove sarebbe sorto il santuario di Delfi.
- Nel suddetto mazzo di Tarocchi, l’aquila è raffigurata nel IV Arcano sul braccio dell’Imperatore in trono presso Castel del Monte, e nel XXI Arcano intorno al Mondo con gli altri simboli tradizionali degli Evangelisti. Nel primo caso il riferimento all’Imperatore Federico II di Svevia, esperto ed appassionato falconiere autore de L’arte di cacciare con gli uccelli, è evidente anche per la postura dell’animale. Nella novella XC del Novellino (XIII secolo) si narra di come Federico punisse un suo prezioso falcone per aver attaccato, invece di una gru in volo, una giovane aquila (guglia), simbolo della sua autorità e del suo potere, ma anche della sua stessa persona: “Lo ‘mperadore Federigo andava una volta a falcone, ed avevane uno molto sovrano, che l’avea caro più di una cittade. Lasciollo a una grua. Quella montò alta; il falcone si mise, alto molto, sopra lei. Videsi sotto una guglia giovane: percossela a terra e tanto la tenne, che l’uccise. Lo ‘mperadore corse, credendo che fosse una grua: trovò come era. Allora, con ira chiamò il giustiziere e comandò ch’al falcone fosse tagliato il capo, perché avea morto lo suo signore”.
- Nel Tarocco del Mondo l’aquila rappresenta invece l’Elemento Aria e il Nord in contrapposizione al meridionale leone alato, e anche l’Evangelista Giovanni, secondo la stessa descrizione dell’Apocalisse (IV, 7) in cui i quattro “viventi” corrispondono ai simboli degli evangelisti: “Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre vola”.
L’immortale fegato di Prometeo
Nelle tradizioni iniziatiche l’aquila è il supremo messaggero divino che può volare da questo ad altri mondi; e talvolta divora gli eroi per poi rigenerare il loro corpo, rinnovandolo e rendendolo nel contempo più giovane, agile, rapido e vigoroso.
Doti che poco generosamente però donava a Prometeo (Colui che pensa prima), dopo avergli senza pietà mangiato il fegato che sempre si rigenerava. Il mito narra, infatti, dello sfortunato figlio di Giapeto, che aveva rubato agli Dei il segreto del fuoco per farne dono agli uomini, e per questo era stato condannato ad essere incatenato sulle montagne del Caucaso, dove quotidianamente l’aquila di Zeus volava a cibarsi del suo fegato. L’organo immortale si rigenerava ogni volta producendo un supplizio che sarebbe stato eterno e crudelissimo senza l’intervento di Eracle e il sacrificio del centauro Chirone.
L’interpretazione esoterica del mito, al di là del cruento significato essoterico, vede ancora una volta l’associazione fra il rapido ed ingegnoso pensiero umano, la sua volontà di elevarsi al rango divino, e l’aquila, l’uccello che più di ogni altro può volare in alto ed essere quindi l’emblema di tale spirituale ascesi.
Giovanni Pelosini