Le Spire del Labirinto

Il labirinto da sempre è un archetipo importante nello studio della psicologia del profondo. La sfida che rappresenta questo simbolo per l’audacia e l’ingegno umani è soltanto una delle tematiche più evidenti; i pericoli e i tesori che le sue spire possono contenere sono altri spunti narrativi che i miti e i racconti di ogni epoca hanno utilizzato; ma la facilità con cui ci si può perdere al suo interno è forse l’aspetto più complesso e intrigante della simbologia del labirinto.

Se l’accesso a un labirinto è apparentemente facile, il cammino, mai lineare e agevole, rappresenta di per sé una difficoltà: per raggiungere il centro occorre talvolta dirigersi verso la periferia. La strada più diretta non è quasi mai quella giusta, e può far perdere tempo prezioso a chi la imbocchi. Viceversa può essere necessario percorrere lunghi tratti nella direzione opposta a quella desiderata. Anche l’istinto difficilmente aiuta a scegliere la giusta via negli oscuri meandri, tutti uguali e tutti diversi, e soprattutto quando si giunge agli innumerevoli bivi.

Il mito di Teseo narra che l’eroe non sarebbe mai potuto uscire vivo dal labirinto senza il fondamentale aiuto di Arianna, che qui è il simbolo dell’Eterno Femminino materno e accogliente, intelligente e divino, un’incarnazione dell’Anima.

Labirinti della Psiche

Ci si può chiedere quanto e quando sia necessario affrontare il labirinto della propria psiche, e con quale preparazione. Eppure soltanto l’esperienza di calarsi all’interno del Sé-labirinto ci potrà dare una risposta in merito alla nostra capacità di uscirne.

E soprattutto soltanto in questo modo si potranno scoprire i tesori in esso nascosti.

Nella preistoria e nella storia dell’umanità ci fu chi volle divinare osservando le viscere degli animali sacrificati a scopo mantico. Le spire dell’intestino erano quindi interpretate come sentieri capaci di condurre la psiche dell’aruspice in tortuosi meandri alla ricerca delle risposte, ma prima di tutto del proprio Sé, assolvendo quello stesso compito che per migliaia di anni era stato dei labirinti.

Un grande labirinto era disegnato sulla porta dell’antro della Sibilla a Cuma e altri labirinti, spesso spiraliformi, sono stati utilizzati per millenni come simbolo di un percorso iniziatico e irto di pericoli e di prove che conduce all’interno della più profonda coscienza.

Ancora oggi si possono ammirare i labirinti preistorici graffiti sulle tombe rupestri di Luzzanas in Sardegna o sulle pietre della Val Camonica, nonché quelli delle cattedrali gotiche francesi di Amiens o di Chartres, percorsi mistici e sacrificali, se non veri e propri pellegrinaggi virtuali che monaci, cavalieri, laici e religiosi del Medio Evo potevano intraprendere alla luce filtrante dalle vetrate.

Mentre i labirinti delle chiese francesi, i cosiddetti Chemins de Jérusalem, erano percorsi dai pellegrini in ginocchio a scopo penitenziale ed erano quindi oggetto e mezzo di meditazione cristiana, quelli di pietra dell’Europa del Nord assolsero anche compiti diversamente interpretabili. Ancora oggi in Scandinavia i bambini giocano a rincorrersi lungo le spire di piccoli e grandi labirinti di pietra, ripercorrendo così il cammino iniziatico dei loro antenati pagani che celebravano così l’annuale ritorno della Primavera e del Solstizio d’Estate.

In Oriente sono invece i vivaci Mandala ad assolvere il compito di creare percorsi mistici e spirituali nei templi e nei monasteri non solo tibetani. Sabbie colorate si alternano in spire labirintiche disegnate sul pavimento come effimere visioni di mondi interiori che attendono solo un fugace soffio di vento per scomparire per sempre.

Antichissimi labirinti sono stati ritrovati nelle tombe egizie del 3400 a.C., ma il più celebre labirinto è sicuramente quel “Palazzo della scure” che sorgeva a Cnosso, nell’isola di Creta, dove imperava il simbolo dell’ascia bipenne, detta appunto labris, che con le sue due lame era l’ennesima rappresentazione delle due primordiali energie contrarie e complementari della natura.

Il Labirinto di Cnosso

L’origine del labirinto sembra infatti risalire al mito cretese del Minotauro, l’orrenda creatura semiumana dalla testa di toro che viveva prigioniera al suo interno cibandosi di prigionieri ateniesi. Secondo la leggenda, l’ingegnoso Dedalo avrebbe costruito l’edificio con innumerevoli stanze e corridoi comunicanti in modo da rendere virtualmente impossibile ritrovare l’uscita a chiunque vi fosse entrato. Tutti gli sventurati ostaggi ateniesi che venivano fatti entrare nel labirinto erano quindi destinati a diventare prima o poi cibo per il Minotauro.

Fra tutti gli ostaggi solo l’eroe Teseo, figlio del re di Atene Egeo e fedelissimo di Apollo, ebbe la fortuna di entrare nelle grazie di Arianna, la figlia del re di Creta Minosse. L’aiuto della ragazza fu decisivo per il giovane principe Teseo, che ricevette armi e istruzioni per cavarsela all’interno del labirinto da cui nessuno era mai uscito vivo.

Il Minotauro era un mostro dal corpo umano e dalla testa di toro che Pasifae, la regina di Creta, aveva partorito dopo un complicato rapporto sessuale con il magnifico toro bianco che Poseidone aveva fatto emergere dal mare. L’ingegnere e architetto di corte Dedalo aveva costruito «una bellissima vitella di legno, vuota nel di dentro e coperta dal di fuori da una pelle di vacca, per poi esporla su un prato ove quel toro era solito pascolare…» (Biblioteca di Apollodoro, III, 1-4), e la regina vi era entrata per consumare “l’immondo adulterio”.

Secondo Plutarco (Vite parallele, 15), dopo nove mesi il risultato del bestiale amplesso fu «un’ibrida forma, un frutto mostruoso, in cui si univano due nature di uomo e di toro». Diodoro Siculo (IV, 27) aggiunge particolari alla descrizione del mostro: «Dicono che fosse di duplice natura e che avesse le parti superiori, fino alle spalle, simili a un toro, e quelle inferiori simili a un uomo».

Narra Ovidio (Metamorfosi, VIII, 131-137) che al povero re Minosse fu rinfacciato a lungo questo tradimento della moglie: «Davvero è tua degna consorte colei che ti ha tradito con un truce toro, seducendolo a inganno con una forma di legno, e che ha portato nell’utero il feto mostruoso [….] ormai non è più strano che Pasifae abbia preferito un toro a te: tu eri più bestiale di un toro».

Il re Minosse, non senza imbarazzo, aveva fatto rinchiudere il Minotauro nel labirinto costruito dall’ingegnoso Dedalo; e lì il mostro si cibava degli esseri umani condannati a tale triste sorte, fra i quali i giovani ostaggi ateniesi scelti a sorte ogni nove anni per pagare un vecchio tributo.

Con l’aiuto di Arianna, Teseo riuscì a uccidere il Minotauro, ma l’impresa più ardua era quella di uscire dalle spire del labirinto.

È ancora Diodoro Siculo a descrivere brevemente ma in modo chiaro la difficoltà di fuggire dal labirinto di Creta: «Le sue vie di uscita erano così tortuose e inaccessibili che un uomo inesperto non avrebbe mai potuto trovare da solo l’uscita».

Il famoso “filo di Arianna” era stato però sgomitolato dietro l’eroe mentre procedeva nei tortuosi meandri dell’edificio, in seguito al suggerimento della stessa principessa. Per Teseo fu quindi sufficiente seguire il filo per trovare l’uscita.

Il Mito come Esperienza Iniziatica

Penso che questo mito possa essere interpretato anche come l’esperienza iniziatica dell’uomo che intende ritrovare se stesso e deve perciò superare ogni sorta di difficoltà lungo i meandri spiraliformi della vita e della sua stessa psiche. Come nel film La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky, i mostri che l’uomo alleva all’interno di se stesso sono quelli più terribili e i più difficili da affrontare, ma proprio per questo la ricompensa dell’eroe che li sconfigge può essere più grande.

Lo stesso mito inoltre ammonisce che nessuna grande impresa iniziatica e spirituale può essere compiuta senza l’aiuto di una disciplina, una regola o una fede che ricolleghi l’uomo al divino lungo un percorso (non importa quanto spiraliforme o contorto), come il filo di Arianna (simbolo della fede) ricollegò Teseo alla luce del sole. Significativo è anche il successivo ingrato tradimento di Teseo che si dimentica di Arianna (e della sua stessa profonda natura femminile e divina) abbandonandola sull’isola di Nasso (da cui il modo di dire “lasciare qualcuno in asso”), per poi pagare questa colpa con un’altra gravissima e fatale dimenticanza.

Il Filo di Arianna come Ragnatela mitologica

Infine è veramente interessante osservare come sia significativa l’etimologia del nome della classe degli Aracnidi, avente una indiscussa radice comune con quello di Arianna. Fra gli Aracnidi infatti ritroviamo i ragni, quegli ingegnosissimi architetti del regno animale che, al pari del mitico costruttore Dedalo, tessono una tela perfetta intrecciando assi radiali con lunghi fili a spirale, e che tali fili intrecciano nei meandri della ragnatela srotolandoli come il filo di Arianna, organizzando trappole mortali per gli insetti che poi divoreranno, così come il Minotauro divorava gli uomini perduti nel labirinto, privi di conoscenza e di fede.

Dedalo e Icaro nel Labirinto

Ma anche Dedalo più tardi fu vittima della sua stessa invenzione. Fu rinchiuso, infatti, nel labirinto di Cnosso, che lui stesso aveva progettato, condannato a restarvi fino alla fine dei suoi giorni con il figlioletto Icaro. Dedalo era nato ateniese, e forse fu per questo motivo che il re Minosse lo accusò di aver aiutato Arianna consigliandole l’ingegnoso trucco del gomitolo.

A torto o a ragione Dedalo si trovò prigioniero del labirinto senza alcuna speranza di uscirne vivo. Ancora una volta lo aiutò la sua arte:

«…si avventurò col suo ingegno in un campo della scienza sconosciuto, rivoluzionando la natura. E infatti dispose delle penne una accanto all’altra, cominciando dalle più piccole, su su, sempre più lunghe, sicché le avresti dette cresciute su un pendio [….]  poi le fissò nel mezzo con spago, alla base con cera, e così saldatele le incurvò leggermente, per imitare le ali vere» (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 188-195).

Le ali così fabbricate potevano far volare i prigionieri e farli uscire dal labirinto dall’alto, evitando i tortuosi e spiralici percorsi che neanche l’architetto poteva più conoscere.

Così Dedalo e suo figlio Icaro fuggirono dal labirinto e dall’isola di Creta, ma il figlio, pur severamente ammonito dal padre a non volare troppo basso per non inumidire e appesantire le ali, e a non volare troppo in alto dove il calore del sole avrebbe potuto scioglierne la cera, si lasciò distrarre dai fantastici panorami avvicinandosi troppo ai raggi solari e, privato delle piume delle ali, precipitò in mare con grande strazio del geniale inventore.

Labirinti di Serpi

Talvolta i miti ci narrano anche di orride spirali tracciate da tenebrosi serpenti che cercano di ostacolare il cammino dell’eroe. Come il labirinto rappresentava la prova iniziatica di Teseo, così un malvagio serpente è l’ultimo ostacolo che l’eroe finnico Lemminkäinen deve superare per giungere alla lontana Pohjola, la terra del nord, nel Runo XXVI del Kalèvala. Dopo essersi aperto un varco in una barriera di acciaio e di “rettili terrestri intrecciati con nere serpi”, Lemminkäinen si trova di fronte un enorme serpente che gli sbarra il cammino.

Il Labirinto dell’Hotel Overlook

Nell’affrontare il simbolo del labirinto, infine, la memoria mi fa ripercorrere le spire del grande labirinto vegetale che si trova nel parco dell’Hotel Overlook che la genialità di Stanley Kubrick immortalò nel 1980 nel film Shining, tratto dall’altrettanto geniale e fantastico romanzo Una splendida festa di morte di Stephen King.

Un immenso labirinto di siepi con i sentieri bianchi di neve nella notte gelida mette fine alla tragica vicenda del custode invernale dell’hotel. Il piccolo Danny Torrance aveva giocato a lungo con la sua pallina gialla sui tortuosi meandri disegnati sui tappeti all’interno dell’albergo, e forse proprio per questo decide di fuggire nei meandri oscuri del labirinto nel parco, dove si salverà ripercorrendo le proprie orme all’indietro nella neve e nascondendosi nel buio: una metafora della salvezza ottenuta con l’ingegno umano e del destino tragico che già furono di Teseo e di Dedalo.

Giovanni Pelosini



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