Giove e la Voglia di Superare i Limiti
IL RESPIRO COSMICO
In una concezione olistica della realtà, il macrocosmo rappresentato dall’universo non si distingue sostanzialmente dalle sue manifestazioni microcosmiche, che sono solo apparentemente separate e distinte.
Ecco che ciò che è evidente nel singolo individuo si può ritrovare in contesti più generali e universali, come la fisica dei quanti comincia a farci comprendere, e come l’alchimia, la mitologia e l’astrologia ci hanno insegnato da molti secoli. Per questo motivo i ritmi della Vita coinvolgono tutta la natura, a ogni livello di complessità: atomi, molecole, cellule, organismi e macrostrutture complesse.
Il respiro cosmico è un ritmo dialettico che comprende ogni alternanza di princìpi opposti generando e perpetuando la vita stessa in doppie spirali che si ritrovano tanto nelle galassie quanto nel DNA. I due serpenti che si avvolgono a elica nel mitico Caduceo di Hermes si ritrovano nelle molecole complementari di acido desossiribonucleico e nei sistemi stellari; sono le Nādī in cui il Prana scorre alternativamente per risvegliare l’energia Kundalini, sono lo Yin e lo Yang della tradizione cinese, sono la destra e la sinistra, il bianco e il nero, e sono i mistici princìpi maschile e femminile che si armonizzano nell’androgino Rebis realizzando la Grande Opera alchemica.
Ogni essere, con l’intero universo, alternativamente inspira e espira per tutta la sua esistenza: si apre e si chiude, si espande e si contrae, si allarga e si restringe, accelera e rallenta, si srotola e si arrotola spiralicamente, avanza e arretra, attacca e ripiega, allunga e accorcia, ammorbidisce e indurisce, dilata e restringe, diluisce e satura, ossida e riduce, fonde e solidifica, liquefa e cristallizza, dà e riceve, dona e accoglie, e, come si diceva un tempo con mistica allegoria, si scioglie e si coagula. Solve et coagula era infatti uno dei motti alchemici più esoterici e ricorrenti che in altri termini e contesti si può ritrovare nei significati antagonisti della coppia planetaria Giove-Saturno.
IL SETTENARIO ALCHEMICO
Il termine “alchimia” significa “fondere le due parti”, cioè “colare e trasmutare”.
Il concetto si riferisce, nel profondo, all’innata dicotomia implicita nell’essere umano, che deve tendere alla riunificazione, anche se innumerevoli altre strade interpretative si aprono alle menti curiose desiderose di viaggiare verso l’eternità. Nel profondo si riferisce alla trasformazione che l’alchimista opera sui metalli ma soprattutto su se stesso.
Nella filosofia alchemica il tradizionale settenario astrologico si organizza anche iconograficamente in tre coppie più un singolo pianeta: Sole-Luna, Marte-Venere, Giove-Saturno e Mercurio. Mercurio è l’unico pianeta che assomma in sé le polarità maschile e femminile, e non è un caso che la condizione di ermafroditismo sia indicata anche nella biologia moderna simbolicamente con il suo glifo. Mercurio serve a collegare, a unire gli aspetti delle due serie antagoniste e a riconciliare gli opposti princìpi dell’apparente realtà.
Delle coppie planetarie si è parlato approfonditamente in altre occasioni, e non è difficile cogliere in loro i diversi aspetti del dualismo polare cosmico.
Giove e Saturno formano una coppia planetaria che, almeno per certi aspetti, deve essere analizzata nella sua interezza: i testi di alchimia e di spagiria ricordano che Giove è caldo e umido, così come Saturno è freddo e secco. Giove è aggregante e fiducioso, mentre Saturno è separante e prudente. Giove è ottimista ed espansivo, mentre Saturno è pessimista e austero. Giove è indulgente e generoso, mentre Saturno è severo e avaro. Dove Giove amplifica e arricchisce, Saturno ritarda e limita.
Si noti anche come il glifo di Giove possa trasformarsi in quello di Saturno semplicemente ribaltandosi.
L’equilibrio fra i due archetipi è un equilibrio dinamico come quello che si realizza nelle reazioni chimiche, solo virtualmente raggiunto in un reciproco scambio fra i reagenti e i prodotti in continua trasformazione.
Anche nel respirare occorre equilibrio, e il respiro è composto ugualmente di inspirazione-espansione (Giove) e di espirazione-contrazione (Saturno). Ogni disequilibrio si manifesta sia con un eccesso che con una carenza, e non è mai fisiologico.
SOLVE ET COAGULA
Nel sistema dei Tarocchi Aurei il pianeta Saturno è associato alla carta del Diavolo e tale attribuzione trova giustificazione principalmente nella coerenza complessiva, nell’assenza specifica dell’archetipo plutoniano nelle antiche sistematiche astrologiche, nelle fattezze di caprone che già furono del Dio Pan e che ricordano il suo domicilio nel Capricorno, nel colore nero dominante e in altre simbologie minori.
Il Diavolo disegnato da Eliphas Levi, autore del testo occultista-tarologico Il dogma dell’alta magia (1855), reca la scritta “Solve” sul braccio destro e “Coagula” sul sinistro, incorniciato da una Luna calante e da una Luna crescente. E così è disegnato anche il Diavolo del mazzo di Oswald Wirth (1889). Questo Arcano, pur nella sua netta collocazione, che pure si schiera senza ipocrisie a favore del caos, riconosce in sé la necessità di una sorta di equilibrio manifestata dal dualismo della coppia Solve–Coagula.
Nello schema astro-tarologico l’antagonista del Diavolo (Saturno) che separa e divide è il Papa (Giove), che, in quanto Pontefice, costruisce il ponte che idealmente unisce e collega. Mentre il piombo che pesantemente obbliga a scendere per gravità, cioè ad approfondire, è associato a Saturno, lo stagno associato a Giove serve per saldare, cioè per unire. Eppure esistono numerose antiche leggende in cui l’artefice dei ponti più arditi è proprio il Diavolo, a dimostrazione dell’interazione della coppia polare, che all’occorrenza può scambiarsi i ruoli.
Solve et coagula è anche un’allegoria dell’equilibrio chimico che chiunque operi con la materia deve considerare.
Nella tradizione occidentale, a riportare il Diavolo al giusto posto con la giusta misura, è spesso l’Arcangelo Michele, armato di spada e bilancia, emblema e archetipo iconologico dell’equilibrio e della giustizia; un equilibrio che dovrebbe appartenere appunto proprio a Giove, padre, signore e giudice degli Dei, patrono del giorno centrale della settimana (come ricorda il detto «essere come il giovedì»), e pianeta che alcuni considerano inerente alla giustizia, la quale è altrimenti stimata prerogativa di Saturno.
L’EQUILIBRIO NELL’ARTE DELLA GUERRA
L’arte della guerra di Sun Tzu è un testo orientale del IV secolo a.C. che insegna saggiamente come vincere non solo in battaglia, ma anche nella vita: il segreto è spesso l’equilibrio. Si invita a non eccedere mai, a conoscere e misurare le proprie forze e quelle dell’avversario, a vincere grazie alla saggezza, magari senza combattere, ispirandosi ai princìpi del Tao, nel difficile e dinamico equilibrio fra il vuoto e il pieno, fra l’attacco e la difesa:
«E così colui che è abile nell’arte della guerra coltiva il Tao e segue il metodo
Ed è padrone della vittoria e della sconfitta».
Di norma occorre una ben dosata miscela di doti gioviane e di virtù saturniane, modificando all’occorrenza la propria forma, modulando ogni possibilità di azione fra i due estremi.
«Modificare la propria tattica adattandosi al nemico è ciò che si intende per “divino”.
Dei Cinque Elementi nessuno è predominante.
Delle quattro stagioni nessuna dura eternamente.
I giorni a volte sono lunghi, a volte brevi.
La luna cala e cresce.
L’essenza dell’essere divini».
Occorre dunque un continuo movimento, una continua trasformazione, rinunciare a qualunque forma fissa: occorre imitare il mondo fenomenico, che pure appare strutturato, e alchemicamente lasciarsi guidare dal duttile Mercurio nella difficile arte di cavalcare di volta in volta le onde delle due opposte polarità.
Talvolta, ammonisce Sun Tzu, occorre essere:
«Veloce come il vento, lento come una foresta».
I miti classici narrano di eroi “solari” che non sarebbero mai diventati divini senza gli ostacoli “lunari” incontrati nelle loro avventure e traversie: si pensi a Eracle, il cui nome (non a caso) significa “Gloria di Era”, che non sarebbe mai diventato un famoso semidio se non avesse affrontato e superato le prove che la Dea disseminava sul suo cammino con perseverante malizia.
Altri miti insegnano che Amore è figlio di Marte e di Venere, e Marsilio Ficino ricorda che il calore di Marte rende l’impeto di Venere più ardente, esprimendosi al meglio i due pianeti in armonia per essere artefici del cosmo:
«lo amore è in tutte le cose, e inverso tutte, creatore di tutte, e maestro di tutte».
LA COLLABORAZIONE GIOVE – SATURNO
Per molti astrologi Giove è il positivo pianeta della giustizia e della saggezza (in sanscrito si chiama Guru, il Maestro), eppure ben difficilmente si esprimerà in termini di una sana crescita e di una fisiologica espansione senza il riconoscimento dei limiti di Saturno, che assai spesso sono invece intesi come privativi, negativi e antagonisti.
Eppure si deve riconoscere che un’espansione gioviana non controllata da Saturno è spesso una dispersiva perdita di concentrazione, ovvero una grave carenza di coesione.
Le conseguenze di azioni condotte sull’onda ottimistica ed espansiva di Giove, quando conducono a conseguenze non positive, si possono talvolta sintetizzare con il famoso motto «fare il passo più lungo della gamba», cioè tentare di compiere un’azione che richiede forze superiori a quelle possedute, in altre parole, sopravvalutarsi, ovvero sottovalutare le difficoltà.
- C’è il passo marziale, che è, anche etimologicamente, la marcia.
- C’è il passo gioviano, che è un passo lungo che mette in gioco soprattutto l’articolazione coxo-femorale.
- C’è infine il passo saturniano, più misurato, che fa flettere l’articolazione del ginocchio.
Quando la sagittariana articolazione femorale si apre giovianamente a superare ostacoli sottovalutati («presi sotto gamba»), le giunture e le ossa saturniane manifestano con durezza capricorniana i loro limiti, particolarmente alle ginocchia.
Ricordiamo in particolare che Giove tende a eccedere, a dilatare, a esagerare, ad amplificare, e pertanto la sua collaborazione interattiva con Saturno è del tutto necessaria, con vantaggi reciproci dei valori gioviani e di quelli saturniani.
Quando Giove non fa i conti con il suo antagonista Saturno, lo squilibrio della coppia alchemica può anche provocare disastri, e l’esperienza ce ne fornisce innumerevoli esempi.
Anche la storia ci aiuta a comprendere come un principio simbolicamente “positivo” come Giove dimostri spesso di aver bisogno della consapevolezza del limite di Saturno per esprimersi al meglio; facendoci anche comprendere come i concetti “positivo” e “negativo”, oltre a essere relativi, siano una coppia alchemica polare e dualistica della manifestazione cosmica che chiamiamo realtà. In particolare i princìpi di equilibrio ricordati dai filosofi-strateghi cinesi seguaci dell’arte della guerra orientale hanno dimostrato in molte occasioni un valore universale.
LA VOLTA CHE GIOVE FECE IL PASSO PIÙ LUNGO DELLA GAMBA
In quanto appassionato di storia, ho sempre pensato alla battaglia di Pavia del 1525 come a un esempio di gioviana baldanza della cavalleria francese che portò rapidamente a capovolgere le sorti dello scontro.
Francesco I di Valois, re di Francia già pretendente al trono del Sacro Romano Impero e quindi rivale di Carlo V d’Asburgo, aveva il controllo dell’Italia settentrionale dal 1515. Le truppe imperiali di Carlo V avevano invaso la Lombardia restituendola agli Sforza nel 1521, e questo fatto spinse Francesco I, che sentiva il suo regno accerchiato da potenze nemiche, a scendere in Italia con un grosso esercito nel 1524. La battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525 fu decisiva e mise fine per molto tempo alle ambizioni francesi in Italia e in Europa.
Francesco I di Valois nacque a Cognac il 12/9/1494 alle ore 22 (fonte Barbault).
Giove e il Sole in Vergine in quinta Casa parlano del suo particolare modo di essere un aristocratico e ambizioso monarca. Francesco era re in virtù della Legge Salica di successione per aver sposato la figlia di Luigi XII, Claudia di Francia (che era anche Duchessa di Bretagna da parte di madre), e sempre grazie alle regole (tanto care al segno della Vergine) era convinto di aver ereditato il Ducato di Milano, sempre dalla moglie, che era discendente di Valentina Visconti, la sua bisnonna paterna. Saturno in Pesci al Medio Cielo si espresse forse più come autorevolezza e interesse nelle questioni religiose, ma non fu un freno alle ambizioni gioviane.
Il suo Giove in Vergine tollerò che lui avesse con formale discrezione un numero cospicuo di amanti, ma si esprimeva comunque in quinta Casa, che è luogo di eccessi e di riproduzione: la moglie Claudia, piccola di statura e affetta da una grave forma di scoliosi, morì non ancora venticinquenne stremata da ben otto gravidanze, una sequenza praticamente continua tesa ad assicurare tecnicamente la dinastia, ma del tutto anaffettiva.
Lo stesso Giove in Vergine disprezza i modi che ritiene “irregolari” e non tradizionali di fare qualunque cosa, compresa la guerra: infatti Francesco era legato ai nobili scontri fra cavalieri in armatura, era molto abile a cavallo e con le armi da taglio, e inevitabilmente pensava alle battaglie come ad antichi e leali tornei medievali e giudicava vili le moderne armi da fuoco come gli archibugi, che permettevano di uccidere a distanza di sicurezza dal nemico.
Del resto Marte in Leone sestile a Mercurio ci conferma la sua agile prestanza fisica e muscolare negli scontri corpo a corpo.
La combinazione dei semisestili Marte-Giove-Mercurio gli fu certamente utile in mille scontri fortunati, ma quel giorno a Pavia Giove non fece i conti con Saturno e lo spinse a comandare una disastrosa carica di cavalleria.
LA BATTAGLIA DI PAVIA
Nell’autunno del 1524 Francesco I aveva attaccato Pavia con circa 50 cannoni e 25.000 uomini, compresi fanti mercenari svizzeri, tedeschi e italiani. La città era ben difesa da una guarnigione di quasi 6.000 spagnoli comandati da Antonio de Leyva. Non c’erano fossati a difesa esterna delle mura, ma quando le artiglierie francesi aprirono una breccia, i fanti trovarono un fossato interno insuperabile. Cominciò così un assedio che durò quasi quattro mesi.
Nel gennaio 1525, arrivarono i rinforzi imperiali con 12.000 lanzichenecchi guidati dal Connestabile Carlo di Borbone, e si creò una situazione critica per i francesi accampati dentro il parco murato della Certosa. I francesi potevano comunque contare sulla superiorità delle artiglierie e sulla celebre Gendarmeria, un reparto scelto di cavalleria pesante.
Dopo numerosi scontri e diversivi di piccola entità, nella notte fra il 23 e il 24 febbraio, gli imperiali, che cominciavano ad avere qualche difficoltà a pagare i mercenari, aprirono alcune brecce nel muro orientale del parco muovendo verso Mirabello nel tentativo di sorprendere il fianco sinistro francese.
Intorno alle 7 del mattino di martedì 24/2/1525 la nebbia dell’umidità notturna saliva ancora lentamente nel Parco della Certosa. Marte era retrogrado in Bilancia, sul Mercurio di Francesco, trigono alla sua Luna e in perfetto sestile al suo Marte radix. Saturno seguiva di poco il Sole all’ascendente.
Forse non era stata una notte tranquilla (la Luna era passata al quadrato di Nettuno del re), ma il corpo era tonico quando gli attendenti lo avvertirono che l’attacco notturno degli imperiali era ben più di una semplice scaramuccia. Del resto il Sole e Giove in quinta Casa descrivono il re come un individuo energico assai ricco di vitalità.
Mentre i cannoni francesi attestati nel centro del parco già disperdevano gli attaccanti, Francesco si fece mettere in fretta l’armatura migliore: non voleva vincere senza scendere con onore sul campo di battaglia lasciando il merito della vittoria ai vili cannoni. Giove in Vergine desiderava darsi da fare, rendersi utile manualmente e nella pratica. In pochi minuti decise di affidarsi alla sua natura focosa e ottimista, abbandonando ogni ragionevole prudenza saturniana.
Rapidamente radunata la sua blasonata Gendarmeria, salì a cavallo e guidò la sua gioviana avanzata.
Dietro di lui tutto il fior fiore della nobiltà francese, guerrieri aristocratici che quel giorno non videro sorgere il Sole dalla bruma invernale, come l’ammiraglio Bonnivet, Luigi II de la Tremoille, il Grande Scudiero di Francia Galeazzo Sanseverino, il Maresciallo di Francia Jacques II de Chabannes signore de la Palice e tanti altri.
Lo slancio di Giove portò rapidamente i 300 gendarmi francesi (più 500 cavalieri al seguito) di fronte alla cavalleria imperiale guidata dal comandante in persona, Carlo di Lannoy, viceré di Napoli. Francesco, d’impulso ordinò e guidò la carica.
L’ottimista Giove già pregustava una splendida e onorevole vittoria sul campo e l’euforico Marte faceva del suo meglio per confermare questa convinzione. Saturno intanto si alzava sull’orizzonte insieme alla nebbia a 23°14’ dei Pesci con il suo inascoltato ammonimento di opposizione al baldanzoso Giove radix del re di Francia.
Le avanguardie spagnole non ebbero alcuna possibilità di scampo e furono travolte. Francesco I esultò alla testa dei suoi, mentre tagliava letteralmente in due con un fendente di spada dall’alto al basso il comandante di un reparto di cavalleria leggera Ferrante Castriota, marchese di Civita Sant’Angelo. Senza fermarsi e ancora in buon ordine i Gendarmi francesi sbaragliarono anche la cavalleria pesante imperiale, mettendola in fuga.
Dopo la fortunata carica, il re fece rifiatare i cavalli, alzò la celata e si rivolse a Thomas de Foix, signore di Lescun, con la classica eccessiva e spavalda oralità gioviana: «Monsignore, oggi voglio essere chiamato signore di Milano!».
Erano circa le 8 del mattino e la battaglia sembrava già vinta.
I cavalieri francesi però si erano spinti troppo in avanti: le artiglierie cessarono il cannoneggiamento per non rischiare di colpirli e i quadrati di fanteria erano rimasti troppo indietro per appoggiarli. Il terreno presso il fosso della Vernavola era pesante per le piogge dei giorni precedenti e ostacolava il movimento dei cavalli appesantiti dalle corazze dei gendarmi.
Saturno stava per colpire Giove che aveva fatto il passo più lungo della gamba.
Fernando Francesco d’Avalos, Marchese di Pescara, comandava circa 1500 archibugieri spagnoli proprio dietro all’avanguardia dei cavalieri: durante la carica dei francesi li schierò abilmente sul fianco destro, protetti dalla vegetazione cresciuta lungo il corso d’acqua per fare fuoco sul fianco sinistro della cavalleria francese che si stava riorganizzando dopo la carica.
Le palle di piombo (Saturno) degli archibugi a distanza piuttosto ravvicinata erano in grado di superare lo spessore di circa 2 mm dei pettorali delle corazze di ferro (Marte) della maggior parte dei cavalieri francesi. Infatti le corazze dell’epoca rispondevano ancora all’esigenza di protezione soprattutto dalle frecce e dalle picche, ma erano quasi inutili contro le armi da fuoco: soprattutto quelle di fabbricazione francese erano fatte di acciaio di mediocre qualità (ferrite, perlite, scorie e solo lo 0,1% di carbonio), se non di pessima ferrite priva di carbonio e ricca di scorie, più dura ma anche molto più fragile della ferrite pura.
Erano pochi i nobili che conoscevano o potevano permettersi corazze lombarde o tedesche di migliore fattura, non temprate ma raffreddate ad aria (contenenti perlite anziché martensite) con una media presenza di carbonio (0,5%) e poche scorie (circa 1%), garantite “a prova di balestra”, ma poco utili contro le armi da fuoco che cominciavano a diventare decisive negli scontri.
In pratica una palla d’archibugio o di un pesante moschetto sparata da una cinquantina di metri aveva un’ottima probabilità di trapassare qualunque armatura dell’epoca.
Verso le 8.30 il piombo saturniano degli archibugi imperiali aveva già avuto ragione dei cavalieri francesi trascinati dall’ottimismo gioviano di Francesco I, ancorato verginianamente alla tradizione bellica medievale e poco propenso a riconoscere l’importanza crescente che le armi da fuoco avrebbero avuto in epoca moderna.
I gendarmi francesi caddero uno dopo l’altro nel fango, dove furono finiti dalle picche dei fanti o catturati al fine di ottenere in seguito enormi riscatti, come capitò a Enrico d’Albret, re di Navarra e cognato di Francesco I. La cavalleria imperiale si riorganizzò e passò al contrattacco.
All’annientamento della propria Gendarmeria, il re di Francia tentò la fuga cavalcando verso il lato nord-occidentale del parco, ma, giunto nei pressi della Cascina Repentita, l’archibugiere forlivese Cesare Ercolani gli colpì il cavallo, che, nella caduta, gli bloccò una gamba a terra. Subito gli furono addosso gli imperiali che lo avrebbero sicuramente ucciso senza l’intervento del nobile borgognone La Motte de Noyers, in attesa dell’arrivo del comandante Carlo di Lannoy che accettò la spada del re in segno di resa.
Nel frattempo i lanzichenecchi al soldo di Carlo V completavano la vittoria contro l’artiglieria francese e gli odiati lanzi della Banda Nera. I 400 gendarmi della riserva del Duca di Alençon non entrarono in battaglia, ma fuggirono oltre il Ticino, distruggendo alle proprie spalle il ponte di barche per garantirsi la ritirata. I mercenari svizzeri arrivarono da sud a battaglia ormai virtualmente finita: attaccati dai lanzichenecchi e presi alle spalle dalla guarnigione di Pavia, finalmente uscita dalle mura, fuggirono verso il fiume, dove furono sterminati.
In pochissime ore i francesi avevano avuto quasi seimila morti, mentre gli altri furono in gran parte catturati. Gli imperiali non ebbero neanche 500 perdite.
Il re di Francia fu costretto a subire una lunga e umiliante prigionia.
La Luna in decima Casa, opposta a Marte e in trigono a Mercurio, indica la grande importanza delle figure femminili per Francesco I. Il re ebbe otto figli dalla prima moglie e probabilmente un numero cospicuo di altri figli dalle varie amanti.
- La sorella Margherita, sposata al re di Navarra, gli fu consigliera preziosa e trattò la sua liberazione dopo la sconfitta di Pavia.
- Dalla moglie Claudia di Francia aveva ereditato il trono di Francia e la corona di Bretagna, oltre alla velleitaria pretesa del ducato di Milano.
- La madre Luisa di Savoia, vedova nel 1496, lo educò e contrattò il suo prestigioso matrimonio. A lei, dopo la disfatta di Pavia, si rivolse, e a nessun altro, scrivendo la celebre frase, non priva di ovvietà (Giove in Vergine): «Tutto è perduto, signora, tranne la vita, e l’onore ch’è salvo».
CONCLUSIONI
Come nel respiro sono necessarie l’inspirazione (espansione-Giove) e l’espirazione (contrazione-Saturno), l’azione naturale deve comprendere un analogo equilibrio delle due forze antagoniste. Mentre un eccesso di Saturno e di prudenza conduce all’inerzia e quindi alla sconfitta, un Giove eccessivo, per sua natura già tendente all’esagerazione, porta ad azioni talmente audaci che, se non sostenute dalla fortuna, sono altrettanto fallimentari. Come suggeriscono gli insegnamenti del Tao, un’opportuna miscela di Yin e di Yang è l’ideale per il mutamento continuo della forma richiesto dalle circostanze altrettanto mutevoli. Giove e Saturno sono una coppia che deve lavorare sinergicamente in un equilibrio dinamico.
Nel caso specifico, una tattica meno spavalda da parte di Francesco I sarebbe stata molto probabilmente vincente: la prudenza di Saturno e una pausa di alcuni minuti prima della carica avrebbe portato a Pavia una vittoria decisiva per l’intera campagna. Sarebbe stato forse sufficiente attendere i mercenari svizzeri e consolidare le posizioni delle fanterie prima di sferrare l’attacco decisivo con la cavalleria, sfruttando contemporaneamente le artiglierie: gli imperiali sarebbero stati in difficoltà anche solo nel far affluire tutti i reparti nel parco e organizzarli sotto il fuoco nemico; e durante gli scontri delle fanterie la formidabile cavalleria francese avrebbe davvero potuto decidere le sorti dello scontro attaccando al momento opportuno.
In molti altri casi storici l’azione impulsiva e audace di Marte combinata con l’ottimismo di Giove ebbe invece fortuna e successo, ma ciò è sempre dipeso dalle circostanze favorevoli di un particolare spazio-tempo. In un’ottica olistica e universale l’equilibrio dinamico delle forze di Giove e di Saturno è naturalmente fisiologico e concretamente utile. Ogni pianeta ha ruoli specifici che devono sempre prendere in considerazione il proprio naturale antagonista nel contesto astrologico generale. Il compito di Giove deve essere soprattutto quello di rendere elastico e mobile l’atteggiamento che, con sottile alchimia, può e deve variare nel tempo, nello spazio e nelle circostanze, moderando così la tendenza sclerotizzante di Saturno.
CURIOSITÀ
Tre forlivesi hanno avuto un ruolo particolare nella battaglia di Pavia: Cristoforo Numai, Giovanni dalle Bande Nere e Cesare Ercolani.
- Cristoforo Numai fu confessore e consigliere di Luisa di Savoia, madre di Francesco I, vedova fin dal 1496: entrambi ebbero un ruolo importante nell’educazione del re. Morì nel 1528 a causa delle sofferenze patite con il sacco di Roma dei lanzichenecchi di Carlo V. Nella stessa drammatica circostanza del sacco di Roma, il 6 maggio 1527 Benvenuto Cellini si vantò di avere ucciso Carlo III di Borbone-Montpensier, il Conestabile che, in aperto dissidio con il re di Francia, aveva combattuto con gli imperiali a Pavia.
- Giovanni de’ Medici, detto Giovanni dalle Bande Nere, era il famoso condottiero che Machiavelli stimava essere l’unico in grado di difendere l’Italia dagli eserciti stranieri. Comandava una compagnia di ventura di audaci cavalieri mercenari fedeli al papato e alla causa di Francesco I. Fu ferito a Pavia da un colpo di archibugio in uno stinco il 18 febbraio 1525 e per questo non partecipò alla battaglia del 24. Molti storici hanno ritenuto la sua assenza decisiva. Morì l’anno dopo, sempre a causa di una grave ferita d’arma da fuoco alla coscia. Con lui tramontavano le speranze italiane di indipendenza e terminava definitivamente l’epoca delle battaglie all’arma bianca.
- Cesare Ercolani (1499-1534) fu l’archibugiere che colpì il cavallo del re di Francia a Pavia. Curiosamente era parente di Cassandra Ercolani, madre di Cristoforo Numai.
Infine voglio ricordare il valoroso Maresciallo di Francia Jacques II de Chabannes de la Palisse (1470-1525), anche lui massacrato con altri nobili cavalieri della Gendarmeria nel parco di Pavia. Giove, quando si espande troppo, si allarga oltre ogni limite, rischia anche di essere superfluo e banale, in quanto non è nella sua natura approfondire. L’aggettivo “lapalissiano”, cioè scontatissimo e banale, è nato a causa del gioco di parole di una canzoncina volgare che gli uomini di la Palisse, sopravvissuti alla battaglia di Pavia, composero per celebrarne con molta ironia le virtù. Dopo aver cantato le gesta del signore di la Palisse sul campo di battaglia e nell’alcova, la filastrocca terminava:
«Monsieur de la Palice est mort, il est mort près de Pavie;
un quart d’heure avant sa mort il (en) avait encore envie».
(Il signor di la Palisse è morto, è morto presso Pavia; un quarto d’ora prima di morire ne aveva ancora voglia).
La prima parte poteva all’occorrenza essere censurata, mentre l’ultima frase si poteva facilmente cambiare con la molto ovvia espressione “il était encore en vie”, manifestazione estrema propria di certa verbosità superflua come proprio Giove in Vergine talvolta possiede. Non mi stupirei troppo se l’ispiratore anonimo della canzone fosse proprio il re Francesco I, che con Giove in quinta Casa probabilmente aveva la tendenza a parlare di argomenti scabrosi, pur costretto a contenersi dal formalismo verginiano.
Una diversa versione della fine della canzone recitava invece “il ferait encore envie” (farebbe ancora invidia), che poteva essere facilmente cambiata con “il serait encore en vie” (sarebbe ancora in vita), dando infine origine al divertente motto “lapalissiano”: “un quart d’heure avant sa mort il était encore en vie” (Un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita); e alla sua variante: “s’il n’était pas mort il serait encore en vie” (se non fosse morto sarebbe ancora vivo).
Giovanni Pelosini