Scozia: Referendum per l’Indipendenza 700 Anni dopo Bannockburn
Un pensieroso e malinconico re Robert I the Bruce prende con la mano destra il fazzoletto che era stato tanto caro al patriota Wallace: lo guarda e incrocia lo sguardo severo e triste dei patrioti scozzesi che lo osservano. “Andiamo, facciamola finita!” dice il suo luogotenente, incoraggiandolo ad andare a trattare una onorevole resa con l’esercito inglese schierato di fronte. Il re ripone il fazzoletto di Wallace e spinge il cavallo verso il nemico, ma poi si ferma e guarda ancora i suoi. E con coraggio e decisione dice: “Vi siete battuti per Wallace. Ora battetevi per me!”. Segue la voce fuori campo: “Nell’anno del Signore 1314 patrioti scozzesi, affamati e soverchiati nel numero, sfidarono il campo di Bannockburn. Si batterono come poeti guerrieri. Si batterono come scozzesi. E si guadagnarono la libertà”. Così, enfaticamente e simbolicamente, termina il famoso film Braveharth di Mel Gibson del 1995.
Esattamente settecento anni fa, il 24 giugno 1314, lungo il fiume Bannockburn presso Stirling, gli scozzesi guadagnavano sul campo la loro indipendenza dagli inglesi.
Il re Edoardo II Plantageneto aveva radunato un grande esercito per liberare il castello di Sterling dall’assedio e guadagnare una via aperta per riconquistare Edimburgo e l’intera Scozia. Si stima che avesse ai suoi ordini circa 15.000 fanti, 10.000 arcieri e 2.000 cavalieri pesanti.
Il primo re di Scozia Robert Bruce aveva radunato 2.000 fanti irregolari delle Highlands, 500 cavalieri leggeri e 6.000 picchieri. I picchieri scozzesi, detti schiltron, erano soldati muniti di lunghe lance che, ben organizzati in formazioni a falange, potevano essere un efficace “muro di lance” contro le cariche della superiore cavalleria nemica.
Il terreno paludoso non era adatto ai cavalieri coperti di pesanti armature, eppure Edoardo volle impegnare il suo migliore reparto guidato dal conte di Gloucester e dal conte di Hereford fin dal 23 giugno, il primo giorno di scontro, senza riuscire a sfondare le linee degli schiltron. Una seconda carica di cavalleria, guidata da Robert Clifford, fu ugualmente respinta. Al tramonto gli inglesi si ritirarono oltre il fiume, sconfitti e molto demoralizzati.
Il giorno dopo i cavalieri scozzesi di sir Robert Keith sbaragliarono gli arcieri inglesi, mentre l’ultimo tentativo di usare i cavalieri pesanti falliva contro i picchieri. Molti cavalieri furono circondati e uccisi, oppure catturati per avere un riscatto. Sir Giles de Argentan volle morire in un’ultima inutile carica a cavallo, e così morirono molti nobili e orgogliosi normanni: il barone Lovel, il signore di Aviemore, il barone di Clifford, il conte di Gloucester, sir Henry de Bohun, che fu decapitato da un colpo d’ascia in un corpo a corpo con Robert Bruce.
Il re Edoardo fuggì, mentre il suo esercito era in rotta: neanche uno su tre dei suoi fanti riuscì a tornare in Inghilterra. La Scozia era indipendente e libera.
Una leggenda dice che quel giorno si guadagnò la libertà sul campo di Bannockburn anche un contingente di Cavalieri Templari, alleati di Robert Bruce, primo re di Scozia. I Templari erano stati catturati e dispersi in quasi tutta Europa fin da venerdì 13 ottobre 1307: data talmente fatidica che per alcuni diede origine alla superstizione del giorno nefasto “venerdì 13”. Sembra che in Scozia alcuni di loro trovassero rifugio dalle persecuzioni di Papa Clemente V e di Filippo il Bello; come potrebbe confermare questa leggenda, avvalorata dalla particolarissima e simbolica Cappella di Rosslyn, edificata forse da lord Sinclair, che si dichiarava discendente dei Templari.
Eppure, al di là di ogni diceria e leggenda, al di là dei tanti (forse troppi) misteri che aleggiano intorno a questi esoterici cavalieri, resta il fatto simbolico della data della battaglia di Bannockburn: il 24 giugno 1314, San Giovanni Battista.
E i Cavalieri Templari, che ebbero fama di essere eretici, gnostici, ma soprattutto “giovanniti”, potrebbero essere stati davvero i migliori protagonisti di un’ultima teatrale e simbolica battaglia per la loro libertà e per quella della nascente nazione scozzese, combattuta proprio nel giorno della celebrazione del loro principale riferimento religioso e mistico.
Il 18 marzo dello stesso anno a Parigi bruciava sul rogo Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro dei Cavalieri Templari, che si dice abbia voluto lanciare fra le fiamme un’ultima maledizione contro i suoi persecutori e i loro discendenti. Settecento anni dopo la Scozia potrebbe forse riguadagnare la propria indipendenza, stavolta pacificamente.
L’anniversario della battaglia di Bannockburn è stato celebrato in tutta la Scozia in un momento molto particolare della sua storia. Questi settecento anni hanno visto lunghi periodi di indipendenza e altrettanto lunghe fasi di dominazione inglese; sanguinosi contrasti portarono infine all’unificazione delle due corone, ma le guerre non cessarono per questo. Fin dall’unione nel 1707, e particolarmente nel XVIII secolo, gli inglesi sono stati spesso durissimi nell’imporre alla Scozia il proprio dominio anche culturale, cercando di sradicare la millenaria tradizione dei clan e dell’ultima popolazione tribale d’Europa, facendo quasi estinguere la lingua gaelica e la stessa memoria dei colori dei tartan. Anche se dal 1997 la Scozia gode di un’ampia autonomia e possiede un proprio Parlamento.
L’ultimo secolo è finito con una Scozia povera ma ancora fiera delle proprie tradizioni, in ginocchio per la crisi delle miniere di carbone e per le politiche thatcheriane. Ma oggi c’è una novità dal punto di vista economico: l’ottimo e abbondante petrolio del Mare del Nord.
I gruppi indipendentisti sono sempre più agguerriti, e trovano nuova linfa in un’Europa sempre più attenta ai particolarismi e alle rivendicazioni dei popoli.
Il 18 settembre 2014 nel referendum storico per la Scozia indipendente, come sempre, neanche gli scozzesi si trovano tutti d’accordo con la decisione da prendere.
I fautori dell’indipendenza stimano in 1.400 euro al mese il vantaggio economico che ogni cittadino avrebbe in caso di “completa autonomia fiscale” dal Regno Unito, mentre i contrari temono che ci sarebbero, a conti fatti, circa 1.000 euro in meno a testa.
Il 18 settembre 2014, settecento anni dopo la battaglia di Bannockburn, gli scozzesi sono chiamati a scegliere, e a dire “sì” o “no” alla seguente domanda: “Dovrebbe la Scozia essere uno Stato indipendente?”.
Ma non esiste solo il fattore economico; in gioco ci sono un secolare patriottismo e un’identità nazionale sempre viva, anche grazie alle storiche icone, come il gonnellino, il salmone, il whisky.
Il leader del Partito Nazionalista Scozzese (di ispirazione socialdemocratica) Alex Salmond è convinto di farcela fin dal 2013, anche se all’epoca i sondaggi gli accreditavano soltanto fra il 30 e il 40%.
Molti cittadini scozzesi non amano fare un salto nel buio, e i fautori dell’indipendenza, intendendo davvero vincere questo referendum, hanno cercato di rassicurarli, ma non tutte le conseguenze di un passo politico così decisivo appaiono chiare, in particolare per quanto concerne il welfare, le tasse, l’ambiente, la moneta (la sterlina britannica?), la politica estera e la difesa (il comitato organizzatore vorrebbe bandire le armi nucleari), i futuri rapporti con Londra e con l’Unione Europea, e, non ultimo, la figura del capo di Stato (ancora la Regina Elisabetta, formalmente erede degli ultimi re scozzesi?).
Come sempre occorre valutare anche il fattore “S”: la forza del simbolo.
L’anniversario della battaglia di Bannockburn evoca antichi rulli di tamburi che chiamano ad arruolarsi per Robert the Bruce, e tanti cuori battono ancora al loro ritmo.
So che i miei tanti amici scozzesi hanno un cuore che batte per la Scozia indipendente e un cervello che gli dice che è meglio il contrario. A loro consiglio di leggere con attenzione le parole di Sua Santità il XIV Dalai Lama, che ha visitato la mia Toscana proprio quest’anno: “Occorre avere un cuore caldo e un cervello freddo”. L’ideale per tutti sarebbe sempre quello di conciliare queste due parti di noi, spesso apparentemente in conflitto.
Giovanni Pelosini