L’Ucraina e la Grande Madre Russia

Madre Russia, VolgogradScoprii l’esistenza di una questione politica ucraina leggendo il romanzo L’alternativa del diavolo di Frederick Forsith (The Devil’s Alternative, 1979), infatti negli anni ‘70 la stabilità dell’impero sovietico sembrava assoluta e un qualsiasi sentimento indipendentista all’interno dell’URSS poteva sembrare un’invenzione narrativa.
Eppure, sotto l’apparente uniformità sociale e politica sovietica, gli immensi territori, che si sviluppavano dal Baltico al Pacifico e dall’Artico all’Asia centrale, nascondevano una complessa e contraddittoria situazione etnica, con variegate e diversissime culture, lingue, religioni, usanze.
Nel XX secolo i popoli più diversi si trovarono a convivere in un’unica grandissima entità politica euroasiatica: Russi, Uzbechi, Tagiki, Kirghisi, Cosacchi, Lituani, Lettoni, Estoni, Finlandesi, Lapponi, Tedeschi, Polacchi, Moldavi, Bielorussi, Ucraini, Ceceni, Osseti, Georgiani, Turco-Tatari, Evenki, Ingusci, Yupiki, Calmucchi, Coreani, Jakuti, e molti altri.
In diretta continuità storica con il colonialismo dell’Impero degli Zar, l’Unione Sovietica si mostrò autoritaria e centralista con tutte queste etnie, e in molti casi si procedette alla russificazione degli sterminati territori dominati.
Dopo la disgregazione sovietica, l’attuale Russia pare aver riscoperto tutto il nazionalismo che ha sostenuto il suo popolo fin dalla formazione dei principati medievali, e con esso i suoi simboli. Lo stesso sentimento nazionale si è potentemente risvegliato in molti dei russi che, con la fine e la frammentazione dell’Unione Sovietica, si sono ritrovati a essere minoranze etniche all’interno degli stati di recente istituzione: solo in Ucraina i cittadini di etnia russa sono circa otto milioni.

Quindi la crisi ucraina del 2014 non sorge all’improvviso né senza antefatti storici, motivazioni economiche e strategiche.
I nazionalisti indipendentisti ucraini del XIX secolo sognavano soprattutto una federazione di popoli slavi, ma furono comunque repressi dall’assolutismo zarista, che volle alimentare il sentimento nazionale con la simbolica personificazione della Grande Madre Russia: emblema che ebbe continuità durante il periodo sovietico e fino ai giorni nostri.

Stalingrado: il nemico alle porte

La Madre Russia è una patria personificata e santificata, materna, protettiva, rassicurante, severa e guardiana: trionfale nella gigantesca statua a lei dedicata proprio nella città simbolo della vittoria contro il nazismo, la città che emblematicamente portava il nome di Stalin. Su una collina di Volgograd, chiamata un tempo Stalingrad, sorse nel 1967 una colossale statua raffigurante un corpo femminile di 52 metri dal nome significativo di “La Madre Patria chiama”. La statua è più conosciuta come Madre Russia e rappresenta una vera e propria divinità moderna, icona simbolica di un intero popolo e della sua più grande vittoria militare.
Il nemico alle porte, StalingradoA Stalingrad, infatti, avvenne la più decisiva battaglia della seconda guerra mondiale nella quale i tedeschi e i loro alleati persero più di un milione di uomini fra il 1942 e il 1943: da lì iniziò la controffensiva sovietica che portò alla definitiva sconfitta nazista.
La Madre Russia alza simbolicamente una spada a imitazione della statua greca della Vittoria alata, la famosa Nike di Samotracia. Ma la Madre Russia è molto più grande (quasi come la Statua della Libertà a New York); soltanto la sua spada è lunga 33 metri, portando l’altezza complessiva a 85 metri: tutto in Russia deve essere “grande”.
La “grande” guerra patriottica fu vinta anche (o, forse, soprattutto) grazie ai simboli, alla propaganda, alle gigantografie paternalistiche di Stalin, alla celebrazione retorica degli eroi, come il mitico sergente Pavlov, che resistette settimane all’assedio in un rudere bombardato e isolato fra le rovine di Stalingrad, o come il tiratore scelto (un vero e proprio cecchino) Vasilij Grigor’evic Zajcev, che uccise ben 400 soldati nemici, compreso il colonnello delle SS Heinz Thorwald, che era stato mandato appositamente a Stalingrad per catturarlo.

Il nemico alle porte, Jude Law Storie inventate forse, leggende, celebrate anche al cinema con il bellissimo film di Jean-Jacques Annaud Il nemico alle porte (Enemy at the Gates, 2001); ma anche di leggende si cibano i simbolici miti antichi e moderni.
Per chi celebra il passato glorioso poco importa se la verità è stata romanzata; l’importante è che esistano i miti, i simboli e gli eroi. Non è un caso che il mirino del fucile del colonnello Thorwald sia ora un trofeo al Museo dell’Armata Rossa di Mosca; e che il fuciliere Zaicev, “Eroe dell’Unione Sovietica” morto nel 1991, sia sepolto proprio sotto la collina Mamaev Kurgan, all’ombra della colossale statua della Madre Russia.
Nobili e contadini dell’epoca zarista si affidavano a Santa Madre Russia per qualsiasi protezione; non c’è motivo perché, dopo la parentesi laica ma non priva di icone simboliche dell’Unione Sovietica, il popolo russo, ormai sulla via del capitalismo dell’era di Putin, non faccia altrettanto.

Madre Russia, VolgogradLa statua della Madre Russia solleva lo spadone con grazia. Mentre muove un passo con aria fiera, guarda indietro e tende il braccio sinistro come per invitare il popolo a seguirla. Ha la bocca aperta nell’incitare i russi alla battaglia, e i capelli al vento come ogni guerriera che si rispetti. È una marcia la sua già certamente vittoriosa, sicura, impavida: quale sciocco nemico oserebbe sfidare la sua mole, la sua tranquilla e ostentata forza?
Il vento muove la sua tunica a imitazione della veste della Nike del Louvre, che però è alata, e senza testa. Ma anche la Madre Russia sembra avere un abbozzo di ali, con quel lembo di veste mosso dal vento della valle del Volga.
Dal fondo della collina alla base del monumento duecento passi simbolici ricordano i duecento giorni terribili della battaglia di Stalingrado, nella quale, pochi lo rammentano, si potevano trovare ucraini sia in divisa tedesca che in uniforme sovietica.

Ucraina: l’altra Madre Patria di Kiev

Una singolare coincidenza fa sì che anche a Kiev, la capitale ucraina, ci sia una monumentale statua simbolica, anche questa celebrativa della grande vittoria contro il nazismo.
Questa si chiama ufficialmente Statua della Madre Patria, ma per gli otto milioni di russi che sono cittadini ucraini ci sono pochi dubbi su quale sia la “patria”. Il monumento di Kiev è ancora più imponente: 102 metri complessivi, compreso però un gigantesco basamento di calcestruzzo armato che ne misura circa 40 di altezza.
Madre Russia, KievLa Madre Patria di Kiev è una figura statica realizzata in titanio con vesti e capelli rigorosamente fermi, che innalza una spada verticalmente verso il cielo. Con la sinistra solleva uno scudo alto 13 metri con lo stemma sovietico.
Inaugurata nel 1981 da Brezhnev, è figlia di un’epoca nella quale la grande guerra patriottica cominciava a essere un lontano ricordo dei nonni. Il pericolo, la guerra, la fame, la morte erano ormai lontani nel tempo: la vittoria doveva essere ancora affermata, ma non c’era più bisogno di marciare verso il nemico. Si doveva piuttosto confermare il patriottico senso di superiorità, le conquiste tecnologiche e sociali ottenute, l’orgoglio nazionale… ma di quale “nazione” si trattasse nel 1981 non si volle volutamente chiarire.
Si volle invece in seguito scorciare di qualche metro la spada, che infatti risulta esteticamente tronca, per evitare che superasse in altezza l’antico monastero ortodosso sul vicino monte Berestov: i tempi erano cambiati, e si modificarono i simboli. Ormai l’Unione Sovietica non esisteva più. Ma a Kiev quali patrie, pur con la spada scorciata, esistevano ancora?

L’Unione Sovietica di Stalin aveva concesso alla Repubblica Ucraina alcuni nuovi territori (aumentandone quindi la multietnicità), compresa la penisola della Crimea, ma mai una autentica sovranità; e contemporaneamente aveva imposto un sistema politico autoritario, burocratico, centralista e economicamente pianificato in senso collettivistico. Ecco che, soprattutto nel periodo del regime stalinista, gli oppositori ucraini furono spinti sia da motivi politici che nazionalistici. Durante la seconda guerra mondiale e l’invasione nazista furono molti gli ucraini che vestirono la divisa delle SS combattendo a fianco dei tedeschi, visti come unici alleati possibili nell’ottica di un riscatto nazionale antisovietico. Molti altri ucraini sentirono invece il bisogno di combattere gli invasori e il fascismo sotto le bandiere del socialismo sovietico.
Hitler e Stalin approfittarono della situazione per i loro scopi imperialisti e totalitaristi, e il risultato furono milioni di morti nelle pianure del Volga e del Don.
Una settantina di anni fa, così come adesso, gli ucraini furono separati in fazioni ferocemente antagoniste, diventando le pedine e anche le prime vittime di interessi internazionali, economici, politici e strategici.
La situazione ucraina oggi è così complessa che non si può semplificare grossolanamente identificando i filoccidentali come nazifascisti né i filorussi come stalinisti, anche se la sanguinosa storia del secolo scorso continua a pesare sul presente. Eppure antichi simboli di passati regimi ricompaiono confondendo vecchie e nuove ideologie, vecchie e nuove illusioni.

La Crimea contesa

La Crimea, che già fu oggetto di dispute internazionali nel 1853-1856, è il primo simbolico luogo di conflitto nazionalistico che ha visto i russi contro gli ucraini. Nel XIX secolo le potenze colonialiste occidentali frenarono proprio qui le ambizioni di espansione nel Mar Nero dei russi, da sempre tesi a conquistare uno sbocco sul Mediterraneo. Nel XXI secolo le forze non sono più le stesse, e la Crimea è considerata da molti nazionalisti un sacro suolo inviolabile, una figlia prediletta della Madre Russia. La secessione della Crimea sancita dal referendum ha cambiato e cambierà ancora i già precari equilibri della regione, con le ribellioni in Ucraina orientale, a rischio di invasione. Chissà che ne pensa l’antica e piccola comunità di nazionalità italiana che, nelle pieghe della storia, e dopo le crudeli deportazioni staliniane, sopravvive ancora in Crimea?
Intanto a Kiev si ostenta una forza che non può derivare da un’inesistente unità, né politica né etnica. Strano destino quello di questa giovane repubblica, che non può permettersi di essere realmente indipendente né dalla non più riconosciuta Madre Russia, né dalle lusinghe del mondo occidentale.

Lo scrittore Michail Afanas’evic Bulgakov fu testimone della guerra civile a Kiev negli anni 1918-1919, quando i cosacchi e i bolscevichi ancora si contendevano la vittoria e assediavano la capitale. Nel suo romanzo La guardia bianca (Belaja Gvardij, 1924) riesce a esprimere magnificamente il suo pensiero sul tempo che scorre, sulle atrocità della guerra, sulla necessità della pace e sull’eternità del cielo che guarda le miserie umane. Insieme a lui ci chiediamo perché l’umanità non sia ancora capace di rivolgersi ai simboli universali, ai valori e alle qualità umane, a tutto ciò che unisce anziché a ciò che divide:
Tutto passa. Le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame e la pestilenza. La spada sparirà, e le stelle invece rimarranno, quando anche le ombre dei nostri corpi e delle nostre azioni più non saranno sulla terra. Le stelle saranno allo stesso modo immutabili, allo stesso modo scintillanti e meravigliose. Non esiste uomo sulla terra che non lo sappia. Perché allora non vogliamo la pace, non vogliamo rivolgere loro il nostro sguardo? Perché?

Giovanni Pelosini



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