Il Mistero del Meccanismo di Antikitera

Sapete cosa è un OOPArt? Non è una forma d’arte moderna, e neppure una moda stravagante. Si tratta di un manufatto o di un reperto fossile di complicata collocazione storica, spesso al punto da apparire del tutto anacronistico o bizzarro. Certi misteriosi reperti semplicemente non dovrebbero esistere, e per loro è stato coniato uno speciale acronimo: O.O.P.Art. (Out Of Place Artifacts), cioè “Manufatti Fuori Luogo”. Il ritrovamento di oggetti che rientrano in questa strana categoria è sempre stato fonte di grandi interrogativi che talvolta mettono in dubbio le nostre attuali conoscenze sul passato, e non mancano di suscitare dibattiti e polemiche negli ambienti scientifici e accademici.

Per esempio, che cosa potrebbe pensare un archeologo di questo secolo che sta scavando tra le rovine di un villaggio risalente a circa duemila anni fa e che trovasse una pila elettrica?

La Pila di Bagdadpila-di-bagdad-1

L’episodio è reale. Negli scavi di Kuyut Rabbou’a, un villaggio risalente al periodo III secolo avanti Cristo – III secolo dopo Cristo, presso Bagdad, fu rinvenuto il reperto forse più famoso fra i presunti OOPArt nel 1936. Pochi anni dopo il direttore del Museo di Bagdad, il professor Wilhelm König, si accorse che l’oggetto avrebbe potuto funzionare come una primordiale pila elettrica.

In effetti si trattava di un vaso di terracotta di circa 15 centimetri; all’interno c’era un cilindro di rame sigillato di bitume contenente una barra di ferro. Versando nel vaso una soluzione acida con capacità elettrolitica, essendo presenti due metalli differenti, si otterrebbe una produzione di corrente elettrica in modo non molto diverso da quello delle moderne batterie che derivano dall’invenzione, nel 1799, del primo “organo elettrico artificiale” di Alessandro Volta.

L’ipotesi che duemila anni fa qualcuno potesse già conoscere la corrente elettrica e quindi realizzare un simile manufatto per utilizzarla fa ancora discutere gli esperti, fra mille dubbi e incertezze sulla datazione e sull’effettivo uso dell’oggetto. Una tale tecnologia per generare una seppur debole corrente elettricapila-di-bagdad-2 appare del tutto incompatibile con ciò che gli storici e gli archeologi conoscono dell’epoca della sua realizzazione, e quindi accettarne la semplice esistenza costringerebbe chiunque a rivedere profondamente le proprie conoscenze in merito, le proprie convinzioni, e talvolta le proprie credenze. E si sa quanto ciò sia difficile per alcune persone e scomodo per altre.

Ma forse questo oggetto aveva altre funzioni, e non è affatto provato che fosse usato proprio come una pila, pertanto l’affascinante manufatto al momento rimane uno dei tanti misteri irrisolti che meriterebbero uno studio approfondito e intellettualmente onesto.

Il Meccanismo di Antikitera

Ma mentre il dubbio rimane sulla cosiddetta Pila di Bagdad, un altro reperto “impossibile” pare avere convinto anche i più scettici che le conoscenze e le abilità tecnologiche antiche non erano così primitive come comunemente si pensa. Il ritrovamento di un oggetto meccanico risalente al periodo ellenistico sembra dimostrare che, almeno per ciò che riguarda i calcoli astrologici-astronomici, migliaia di anni fa la conoscenza e la tecnologia erano già a livelli eccellenti.

Era il 1902 quando fu individuato il relitto di una nave antica sui fondali del Mar Egeo fra Creta e il Peloponneso, presso la piccola isola di Antikithira (detta anche Antikythira o Antikitera). Nelle ricerche effettuate successivamente, i sommozzatori rinvennero nel relitto un piccolo tesoro di statue di bronzo e di marmo, monete, vasi greci riccamente decorati, ma soprattutto uno strano oggetto di rame molto corroso da secoli di contatto con l’acqua marina: un congegno meccanico simile a un orologio con una trentina di ruote dentate. Il relitto e il suo carico fu presto identificato come una nave del periodo ellenistico risalente al I-II secolo avanti Cristo, ma il congegno in apparenza sembrava molto più moderno, con la complessità dei suoi ingranaggi, nonostante le iscrizioni e lo stesso ritrovamento dimostrassero il contrario.

Il cosiddetto Meccanismo di Antikitera rimase un mistero per diversi anni e, di fatto, un vero e proprio OOPArt conservato al Museo Archeologico Nazionale di Atene. Addirittura ci fu chi pensò che un manufatto moderno, forse un pezzo del meccanismo di un orologio, fosse caduto, probabilmente in modo fortuito, nel relitto antico secoli dopo l’affondamento della nave: un’ipotesi davvero poco probabile e molto fantasiosa pur di non ammettere la realtà dei fatti.

Meccanismo di AntikiteraA prima vista il congegno poteva sembrare una roccia incisa, e solo negli anni ‘70, con una minuziosa analisi ai raggi X, si poterono osservare alcuni particolari delle ruote dentate presenti all’interno. Anni di studi misero in evidenza la complessità del meccanismo, che comprende anche ingranaggi epicicloidali e un differenziale, simile a quello presente negli orologi moderni soltanto a partire dal XVII secolo e nelle attuali automobili (il differenziale nelle autovetture permette alle due ruote dello stesso asse di girare a velocità diverse, mantenendo quindi un buon assetto nelle curve).

Il prof. Derek De Solla Price della Yale University ipotizzò che si trattasse di un calendario astronomico, ma la sua idea sembrava troppo bizzarra per avere successo. Ancora oggi una tale complessità tecnologica sembra davvero contrastare con l’immagine che ci siamo fatti dell’età ellenistica.  Eppure il meccanismo di Antikitera ha una datazione certa ed è un vero piccolo calcolatore meccanico: il più antico della storia, almeno di quelli conosciuti fino a oggi.

Un team composto da astronomi, ingegneri e matematici coordinato dall’Università di Cardiff ha recentemente confermato che lo strumento misterioso serviva per tracciare i movimenti del Sole e della Luna sullo sfondo zodiacale, forse anche quelli dei pianeti. L’analisi è stata effettuata grazie a una Tac tridimensionale eseguita con un particolare tomografo, e allo speciale sistema fotografico computerizzato conosciuto come Reflectance imaging.

Il prof. Mike Edmunds, portavoce del A.M.R.P. (Antykithera Mechanism Research Project),  ha così finalmente spiegato il mistero di questo antico congegno, ridotto ormai a 70 fragili frammenti corrosi. Sono stati individuati ben duemila caratteri nelle iscrizioni (coeve alla nave affondata) sui pezzi del reperto, le quali costituivano una sorta di istruzioni per l’uso, e sono stati evidenziati i quadranti, le lancette e il funzionamento del meccanismo, che era azionato probabilmente da una manovella. Una lancetta serviva per la data, una per la posizione del Sole, e l’ultima per la posizione della Luna rispetto allo sfondo delle costellazioni zodiacali. Una parte purtroppo mancante del meccanismo probabilmente serviva per la posizione dei pianeti conosciuti all’epoca: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. In pratica era possibile visualizzare sui quadranti la posizione dei pianeti, del Sole e della Luna in corrispondenza con lo Zodiaco, così come oggi si usa fare normalmente con un comune computer elettronico appositamente programmato per calcolare magari un tema natale astrologico.

Questo antico calcolatore meccanico comprendeva nei quadranti posteriori l’opzione di indicare il Ciclo di Metone, il Ciclo di Callippo (4 cicli di Metone), il Ciclo di Saros e il Ciclo di Exeligmos (3 Cicli di Saros). Cioè si poteva sapere in qualunque data (passata, presente o futura) l’esatta situazione dei periodi astronomici suddetti, relativi alle lunazioni, all’anno tropico, e alle loro sincronizzazioni. I modelli epiciclici alla base del funzionamento del congegno meccanico potevano essere quelli elaborati da Ipparco di Nicea (II secolo a.C.) e da Apollonio di Perga (III-II secolo a.C.).

Con il Meccanismo di Antikitera si poteva quindi avere cognizione del ciclo luni-solare di 235 mesi lunari (19 anni), e cioè delle date del calendario solare nelle quali si verificano le fasi lunari; e delle regolarità delle eclissi che si ripresentano dopo 18 anni, 10 giorni e 8 ore. Si trattava di un modello estremamente sofisticato dei moti del sistema solare, un planetario meccanico che testimonia quanto ancora siano sottovalutate la conoscenza e la tecnologia antiche.

Sappiamo che Cicerone aveva scritto di una macchina astronomica di questo tipo realizzata da Archimede di Siracusa (III secolo a.C.), e di un altro modello di planetario del filosofo Posidonio (II-I secolo a.C.), così come è da tempo nota la teoria eliocentrica di Aristarco di Samo (III secolo a.C.), eppure ancora è grande lo stupore dopo queste ultime scoperte.

Chi siano stati gli ideatori del meccanismo e gli abili artigiani a realizzarlo non possiamo saperlo, anche se si può azzardare l’ipotesi che l’isola di Rodi, dove vissero sia Ipparco che Posidonio, sia stato il luogo di fabbricazione. Qui forse nell’età ellenistica esistevano cultura e tecnologie così avanzate da costruire un tale calcolatore meccanico. La nave che lo trasportava, forse verso Roma, insieme ad altre preziose merci affondò nell’Egeo fra il 150 e il 100 a.C. e soltanto una fortunata coincidenza ci ha consegnato questa singolare testimonianza dopo duemila anni.

Su tutti questi aspetti rimane il mistero, mentre ci sono ormai pochissimi dubbi riguardo al funzionamento astrologico-astronomico e all’età del Meccanismo di Antikitera, obbligando i ricercatori a rivedere alcune delle radicate, ma non scontate, idee sul mondo antico.

Giovanni Pelosini



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