Intervista “Oltre Confine” a Giovanni Pelosini (di Nicola Bonimelli)
Un’Intervista
“Oltre Confine”
a Giovanni Pelosini
di Nicola Bonimelli
La rivista OltreConfine, Quaderni di spiritualità arte e letteratura, pubblica autorevoli e interessanti cronache dai “mondi visibili e invisibili” con dense monografie tematiche a più voci narranti. In uno dei volumi il filo conduttore è rappresentato dalla figura di Carl Gustav Jung e dal suo pensiero, interpretato da diversi punti di vista secondo l’ottica di autori contemporanei. In questo numero Nicola Bonimelli di Spazio Interiore ha intervistato Giovanni Pelosini.
Il mondo salverà la bellezza
Il gioco della ricerca libera
- N.B. : Alejandro Jodorowsky sostiene che il compito dell’arte è curare. Che cosa sono per te l’arte e la cura? Quali forme artistiche ti toccano più intimamente?
G.P. : Chi ha la sensibilità e l’intelligenza di percepire l’intima essenza della realtà, andando oltre le sue apparenze illusorie, talvolta sa usare l’arte per comunicare queste percezioni altrimenti incomprensibili alla mente. Se la mente, distratta dal continuo flusso dei pensieri, persa nel suo egocentrismo, dogmatica nella sua fede razionalista, può mai essere curata, l’arte è certamente un mezzo per farlo. C’è un passo delle Metamorfosi di Ovidio che ho sempre trovato di grande significato: “Et ignotas animum dimittit in arte”. Gli animi sensibili possono trasformare le loro più sottili percezioni in manifestazioni artistiche, che difficilmente potrebbero tradurre in parole e in pensieri. Come potrebbe, per esempio, un simbolo essere spiegato in termini razionali, una sensazione soggettiva espressa con l’inadeguato linguaggio, un’esperienza personale trasmessa a chi non l’ha condivisa, un’ineffabile visione essere descritta?
Per quanto riguarda la cura, ritengo che si debba principalmente “curare” l’ignoranza, distinguendo però nettamente, come ammoniva Khalil Gibran, tra conoscenza e comprensione delle cose.
Un tempo arte, magia, scienza, medicina, religione, mito erano una sola cosa: amo tutto ciò che richiama quel tempo perduto e ogni forma artistica che contenga retaggi di arcane conoscenze. In ambito pittorico negli ultimi tempi sono particolarmente attratto dai Preraffaelliti, per la struttura narrativa simbolica e fortemente evocativa dei loro dipinti, che stimolano la mia fantasia, la mia curiosità e la mia immaginazione. Per gli stessi motivi trovo che il cinema sia l’attuale forma d’arte narrativa più completa e coinvolgente.
- N.B. : Come è possibile – se pensi che sia necessario farlo – giustificare o confrontare il linguaggio sapienziale delle discipline olistiche ed esoteriche con quello scientifico?
G.P. : Il sapere è unico. Però la ricerca è un percorso irto di ostacoli, uno dei quali è la nostra stessa mente, abituata a ragionare per categorie e facilmente influenzabile dai pregiudizi. Lo scientismo attuale, erede del positivismo più dogmatico e intransigente, non aiuta ad avere della realtà una visione oggettiva, e l’iperspecializzazione accademica è distante dalla visione olistica. E dico questo dopo aver studiato per tutta la vita, essermi laureato in Scienze all’università di Pisa, e aver conseguito una idoneità come ricercatore alla Normale. Insegno materie scientifiche e ho una mente formata e allenata all’analisi, eppure tutto ciò non mi ha allontanato drasticamente dallo studio delle discipline di frontiera, anzi, trovo che mi abbia dato la possibilità di affrontarle con la necessaria lucidità e con obiettività priva di pregiudizi.
Spero in un futuro più aperto, però non mi faccio troppe illusioni: da sempre le persone hanno bisogno di sicurezze, di certezze anche laddove non ve ne sono, cercano rifugio nelle religioni, nei dogmi, nelle credenze, persino nelle scienze, dimenticando quanto poco sappiamo della realtà; e trovano più comodo “credere” piuttosto che “pensare”.
Aggiungo che gli ultimi sviluppi teorici e sperimentali della fisica quantistica sembrano confermare ciò che i mistici di ogni tempo utilizzano da sempre come postulato: ogni cosa che esiste è in relazione con tutto l’universo, così come il tutto è in relazione con ogni sua parte. Il cosmo multidimensionale è molto più ordinato e coerente di quel che appare; probabilmente indirizzato dal Campo di informazione Psi (Ψ) basato sul vuoto, privo dei convenzionali concetti di tempo e di spazio: tutto è in armonia con il continuo progresso evolutivo delle coscienze.
Dopo aver conosciuto personaggi come Ervin Laszlo, Vittorio Marchi, Massimo Teodorani, posso dire che la visione scientifica e quella filosofica, olistica, esoterica della realtà forse non sono così distanti.
- N.B. : Che cosa ti ha spinto a occuparti di Tarocchi? Quali sono i tuoi Arcani?
G.P. : Mi interesso di Tarocchi da sempre, da “almeno una vita”. Mi ha sempre spinto la curiosità, il desiderio di indagare e conoscere le cose più nascoste, la voglia di comprendere il mistero della Vita, di conoscere me stesso, di essere creativo. In me vivono tutti gli Arcani come manifestazioni degli archetipi eterni.
- N.B. : Pasolini distingueva tra progresso e sviluppo. Per te che senso ha questa distinzione? Che senso nella vita di un singolo?
G.P. : Oggi, molto più che ai tempi di Pasolini, è evidente che l’umanità abbia in gran parte perduto il senso della propria esistenza su questo pianeta. La crisi attuale, che percepiamo soprattutto come finanziaria e economica, è una crisi globale di sistema, nella quale è sempre più impellente cambiare i paradigmi dominanti. L’impatto antropico sulla Terra oggi è assai più significativo di ogni altra forza naturale: le alterazioni del suolo, dell’acqua, dell’atmosfera producono cambiamenti ambientali e climatici sempre più drammatici…
L’economia sta guidando le scelte politiche del mondo, e l’obiettivo non sembra più essere né il progresso, né lo sviluppo, né tanto meno il benessere di miliardi di individui. L’economia ha dimenticato la sua funzione primaria e la stessa sua radice etimologica che la rende sorella dell’ecologia. Questo sistema ci ha resi egoisti, avidi e miopi.
Oggi, come non mai, sento profetiche le parole attribuite a Capo Seattle, che nel già XIX secolo aveva ammonito l’uomo bianco a considerare il suolo, l’acqua, l’aria come sacri, a non valutare tutto solo in termini economici, a ricordare che la terra non appartiene all’uomo, ma l’uomo alla terra, a comprendere che Tutto è Uno.
Ogni singolo essere umano dovrebbe recuperare questo senso olistico del “sacro” che apparteneva ai nostri antenati, meno tecnologici, ma non per questo meno evoluti. Senza questi valori etici non può esserci progresso, ma forse neanche più sviluppo.
- N.B. : Tra i tanti meriti di Carl Gustav Jung c’è anche quello di aver compiuto, nella sua opera, una proficua migrazione verso la tradizione orientale, per avvalorare e arricchire le sue ricerche di psicologia del profondo. Che valore hanno, per le tue ricerche, la distinzione e l’integrazione di culture così distanti e vicine come quella occidentale e quella orientale?
G.P. : Questo è un punto fondamentale in senso antropologico. Per ragioni storiche l’Oriente è diventato uno scrigno di antiche tradizioni e antichi valori che, in un tempo remoto, facevano parte del patrimonio culturale dell’umanità intera, e che l’Occidente in gran parte ha perduto. In questo momento storico penso che gli occidentali possano recuperare molti di questi tesori, e contemporaneamente insegnare qualcosa di buono e di nuovo agli orientali. Saggiamente gli uni dovrebbero imparare qualcosa dagli altri, scegliendo il meglio. Personalmente mi sento vicino all’antica cultura indiana, dopo quasi quaranta anni di pratica Yoga, che mi ha portato a sviluppare la ricerca interiore. Anche il mio parallelo percorso tarologico va nella stessa direzione, che è la medesima delle ricerche di psicologia del profondo di Jung.
- N.B. : Per Artaud, “avere il senso dell’unità profonda delle cose, è aver il senso dell’anarchia”. Se fosti tu a dire questa frase, che significherebbe?
G.P. : Se ogni individuo sviluppasse la coscienza necessaria a comprendere il senso profondo della vita e della propria esistenza, l’anarchia sarebbe semplicemente e spontaneamente un sistema naturale.
- N.B. : Se un bambino ti chiedesse che cos’è la coscienza, che cosa risponderesti?
G.P. : La coscienza siamo noi stessi. È la nostra vera autentica essenza che prende diversi nomi a seconda delle culture, delle epoche, delle credenze. È il nostro Sé.
Farei riflettere un bambino che mi facesse una tale domanda parlandogli così: «Chi sei tu, che pensi, e ti poni questa domanda? Sei un corpo fisico o sei un anima spirituale? Chi è che decide se il tuo corpo deve parlare o agire? Se al tuo corpo fosse tolto un braccio o una gamba, saresti sempre tu, e potresti sempre porre questa domanda? Ciò che ordina al tuo corpo di agire si chiama coscienza, e non è altro che te stesso. Ora che conosci questa verità potrai farne esperienza e comprenderla, fino al punto in cui non ti identificherai più con il tuo corpo fisico, né con il ruolo che ora senti di interpretare (figlio, nipote, fratello, alunno…), tutte cose destinate a cambiare nel tempo, ma ti identificherai soltanto con la coscienza: il vero Te stesso, che non cambia mai».
- N.B. : Fellini scrive: “noi proiettiamo in una dimensione che generalmente chiamiamo aldilà il cumulo delle nostre speranze, della nostra prigione educativa, della nostra ignoranza, senza renderci conto che questo aldilà, inventato, mistificato, fantasioso o moralistico condiziona inevitabilmente la nostra vita di qua, che di conseguenza viene a sua volta inventata e mistificata; in altre parole, impegnata in falsi schemi”. Che ne pensi? Qual è il tuo aldilà personale?
G.P. : Concordo con Fellini. L’ignoranza è forse l’unico “peccato” da cui redimerci, e non certo per conquistarci un futuro in qualche ipotetico paradiso, ma per essere pienamente consapevoli della nostra esistenza qui e ora, del senso della nostra vita.
Il mio aldilà è cogliere l’attimo dell’eterno presente, è questo mondo stesso, del quale di norma i nostri sensi percepiscono solo alcune delle tante dimensioni, e nel quale, come scrisse Shakespeare, ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne contempli la nostra filosofia.
- N.B. : “La bellezza salverà il mondo” afferma il principe Miškin nell’Idiota di Doestoevskij. Cosa c’è da salvare, cos’è la bellezza? Quale dimensione socio-politica è immaginabile e auspicabile per il futuro?
G.P. : C’è da salvare il mondo intero, che è naturalmente bellissimo nella sua complessa varietà; e, se ci sembra un’operazione troppo ambiziosa o difficile, ognuno può cominciare salvando se stesso, assumendo la sua piccola grande parte di responsabilità.
Come ho già detto, il futuro dell’uomo potrà esistere solo con cambiamenti assai radicali di paradigmi e di stili di vita. Niente che possa essere paragonato a un semplice cambio di governo o di indirizzo politico così come comunemente vengono intesi.
Che bello sarebbe vivere un nuovo Rinascimento! Coniugare ancora bellezza, cultura e futuro come cinquecento anni fa!
OltreConfine, n.12, dicembre 2013