“Di terre e tavole” di Adele Filice (Recensione)

 

Adele Filice

Di terre e di tavole

Rossini Editore, 2020

128 pagine

€ 14,99

Appena si apre il libro di Adele Filice (Di terre e di tavole) si scopre subito che non si tratta del solito volumetto di enogastronomia e di tradizioni linguistiche regionali: argomenti che avrebbero solleticato un mio generico interesse, ma forse non meritato una recensione su questo blog.

L’Autrice usa uno stile fresco e moderno, mai retorico, per parlare della sua terra e dei suoi ricordi di bambina. La protagonista è la Calabria forse meno conosciuta, con le straordinarie tradizioni culturali del Meridione, ma in realtà l’attenzione e la memoria del lettore sono sollecitate a ridare valore alla perduta civiltà contadina comune in ogni regione della nostra terra mediterranea.

Eppure, come dicevo, in questa operazione di gentile recupero di un’Arcadia tutta italica, non c’è alcuna traccia di quella retorica un po’ stucchevole, fin troppe volte letta, che tende a far leva sul senso di nostalgia dei bei tempi che furono. Qui c’è soltanto la sorridente descrizione sensoriale del profumo della vita. Quella vita fatta di essenzialità e spontaneità quotidiana che fino a un tempo non lontano era scandita, quasi religiosamente, dai tempi della natura. Qui ci sono i colori, i suoni, i sapori e gli odori autentici e formativi che quasi tutti i lettori di una certa età hanno conservato nei ricordi della loro infanzia. I lettori del Sud, ma oso dire anche di ogni regione d’Italia, possono riconoscersi in questi delicati affreschi stagionali: nelle rassicuranti cantilene delle nonne che fanno saltellare i nipotini sulle ginocchia, nello sfrigolio delle pietanze odorose, nel calore dei focolari, nei raduni familiari serali delle veglie e dei racconti dopo una giornata di lavoro.

La descrizione affettiva, mnemonica eppure attuale, della preparazione e della funzione dei cibi è sia sensoriale che sentimentale. Essa rinnova il senso di appartenenza non esclusiva, il valore del lavoro quotidiano, il patrimonio dell’esperienza tramandata, l’energia forte e dolce della terra e della Dea Madre che in tempi primitivi la rappresentava. In modo non esplicito né in alcun modo ostentato l’Autrice riesce a celebrare comunque la continuità e la sacralità della vita.

Adele Filice ha messo davvero il cuore in questo lavoro, e l’ha fatto con gentile leggiadria, ben distante da languori e rimpianti di un mondo che non esiste più. Perché quel mondo della civiltà contadina, che aveva resistito per decine di migliaia di anni e potrebbe apparire perduto per sempre, qui è dipinto come vivente e attuale, fresco e sincero, orgoglioso e sorridente. Le percezioni sensoriali di quel passato sono ancora vivissime nel presente dell’Autrice e in noi che la leggiamo. Del resto in lei e in noi tutti si perpetuano i geni del DNA di popoli antichi ricchi di umanità e di storia. Niente si perde mai del tutto nelle narrazioni della storia delle generazioni umane: noi stessi ne siamo i custodi quando scegliamo di raccontare la continuità delle tradizioni oppure di conservare i tesori delle nostre antiche civiltà.

C’è ancora spazio e tempo per le nostre antiche radici in questo Terzo Millennio foriero di straordinari cambiamenti epocali? Leggendo Filice, confidiamo di sì. E possiamo anche sperare in un equilibrato futuro in cui si possa ancora vivere in armonia con lo spazio della Madre Terra e in sintonia con il tempo ciclico circadiano e stagionale. Lo spazio-tempo dell’Italia Felix è ancora possibile, e potrebbe forse essere una concreta realtà, se prima ne condividiamo il sogno e il progetto sostenibile dentro di noi.

Giovanni Pelosini

⇒ Leggi anche: “2012: la fine di un’epoca?”



1 Commento a "“Di terre e tavole” di Adele Filice (Recensione)"

  1. adele

    Col cuore colmo di gioia e gratitudine, grazie!

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