Simboli della memoria e della gratitudine nel mito

Mnemosine, personificazione della Memoria, è la madre delle nove Muse. Ciò significa che non esiste armonia, non può esserci arte e nessuna nobile manifestazione del pensiero e dell’ingegno umano, senza la Memoria.
Mnemosine è anche, non a caso, sorella di Temi, la dea della Giustizia, poiché soltanto con una radicata sensibilità storica le civiltà hanno potuto amministrarsi con giustizia, e poiché è difficile che vi sia giustizia laddove latita il ricordo del passato.
La memoria è virtù femminile per eccellenza, simbolicamente legata alla Luna ed al sogno, che la vivifica, ed al riposo notturno, che la consolida.

È la Luna, con il suo apparente passo retrogrado, che ripercorre il suo cammino verso il passato.

Grazie alla Luna gli antichi definivano i ritmi del tempo che scorreva ciclicamente; ed è alle donne della tribù che si affidavano per tenere il conto dei giorni e delle notti trascorse.
Così Noè ed i suoi figli, alla deriva sull’arca biblica, persi e confusi nello spazio e nel tempo che seguirono il grande diluvio, si rivolgono alle mogli per sapere quanti giorni siano passati. Alla fine del diluvio universale, il Signore porrà il simbolo di Iride nel cielo, a perpetua memoria per gli uomini e per se stesso (Genesi, 9, 16):
L’arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna“.
Così come esiste un legame fra il Cielo e la Terra, esiste anche un legame fra la memoria e le altre virtù umane, rappresentate dagli ideali e dalle imprese degli eroi dei miti.
Esiste, per esempio, un legame sottile ma diretto fra la memoria e la gratitudine, come ci ricorda il mito di Egeo.
Immaginiamo il vecchio re di Atene affacciato sul mare dall’alto del suo palazzo: un genitore in pena, tormentato dall’angoscia. Suo figlio Teseo era partito per Creta ed ogni giorno Egeo scrutava l’orizzonte in attesa di vedere ritornare la nave.
La missione di Teseo era disperata: uccidere il terribile mostro detto Minotauro e liberare così la città dall’odiosa servitù imposta dai cretesi. Se la missione avesse avuto successo, Teseo avrebbe dovuto issare vele bianche ed il suo ritorno sarebbe stato così felicemente annunciato; se invece fosse morto nel tentativo, le vele sarebbero state nere.
Quando finalmente le vele spuntarono all’orizzonte, Egeo fu il primo a scorgerne il funebre colore e, preso dalla disperazione, immediatamente si uccise precipitando nel mare che da lui prese nome.
Eppure Teseo era a bordo della nave e stava tornando vittorioso in patria.
Perché si era dimenticato di issare le vele bianche provocando un tale terribile dolore al padre?
La mancanza di memoria dell’eroe sembra incomprensibile, se non ricondotta al suo profondo distacco dalle emozioni e dal femminile. Teseo, infatti, era entrato nel labirinto ed aveva sconfitto il Minotauro soltanto grazie all’amore di Arianna.
Arianna gli aveva fornito le armi ed il famoso “filo”, che lo aveva guidato all’uscita della trappola mortale del labirinto. La principessa era innamorata di lui e non esitò a tradire la sua patria pur di salvarlo: è il simbolo del suo genio, il suo angelo custode, il suo spirito guida femminile, la sua Luna.
Ma Teseo, una volta raggiunto l’obiettivo, si dimostra crudelmente ingiusto ed ingrato. Porta con sé Arianna, ma la abbandona su un’isola deserta, mentre ritorna ad Atene. Così facendo rinuncia simbolicamente alla sua parte femminile, e con essa alla “memoria”: rinunciando agli affetti ed alle emozioni condanna se stesso all’oblio ed alla grave perdita che ne seguirà, quando dimenticherà di issare le vele bianche.
Non può esistere memoria senza emozioni: per questo l’essere umano immemore è rappresentato nei miti da questo eroe incompleto, privo di senso della giustizia, colpevolmente ingrato.
Anche il grande eroe Teseo deve mostrare questa sua debolezza affinché l’umanità impari a percorrere il Sentiero della Coscienza e della conoscenza, come suggerisce Goethe (Massime e riflessioni, II, 14):
L’ingratitudine è sempre una forma di debolezza.
Non ho mai visto che uomini eccellenti fossero ingrati
“.
Giovanni Pelosini

(pubblicato in «AstroMagazine», maggio 2005)



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