Diventare Dio (di Lorenzo F.L. Pelosini)

Lo so cosa state pensando: “Che titolo blasfemo…!” Tranquillizzatevi, cari lettori. Questo articolo non ha lo scopo di scardinarvi dai vostri Credo religiosi, qualunque essi siano. Parleremo, come da programma, di Cinema e Filosofia. E andiamo a cominciare.

A tutti è nota l’imperfezione intrinseca dell’essere umano. Una razza notoriamente creata da Dio e corrotta dal Diavolo o, più in generale, esseri illuminati, ricoperti di materia grezza, traslitterando il buon maestro Yoda.

Secondo alcune dottrine e alcune branche della filosofia orientale e occidentale, scopo dell’essere umano è quello di risalire a Dio, passando per il Diavolo. Dante, nella Divina Commedia, raggiunge il centro della Terra, attraversa l’Inferno, sbuca dalla parte opposta e sale la montagna del Purgatorio. Da lì ascende al Paradiso e finalmente si trova a tu per tu con Dio, solo per vedere il suo stesso volto come riflesso in uno specchio.

Lo stesso fa Gandalf il Grigio, in uno dei passaggi più significativi del Signore degli Anelli: in bilico su di un ponte sospeso su un abisso nel ventre di una montagna, lo stregone Tolkeniano, figura dai grandi poteri e saggezza ai limiti dell’umano, fronteggia un enorme demone di fuoco. Alla fine lo sconfigge facendo crollare il ponte e precipitandolo nel baratro, ma il mostro lo trascina con sé. I compagni lo danno per morto. In realtà Gandalf e il demone, dopo una lunga caduta, finiscono in un lago. Da lì intraprendono un estenuante combattimento risalendo lentamente una scala a chiocciola che emerge sulla cima della montagna. Lì, tra il vento e la neve, lo stregone abbatte il suo nemico e scaraventa la sua carcassa contro il fianco della montagna. Ma il combattimento lo ha spossato. Lo stregone si getta sulla neve e muore.

Il suo spirito raggiunge il centro dell’Universo e da lì viene rispedito indietro a terminare il suo compito. Ma Gandalf il Grigio non esiste più. Così come Dante, una volta passato dal Purgatorio, anche lo stregone è stato purificato ed è divenuto Gandalf il Bianco. Sconfiggendo il Demone, ha sconfitto la sua unica paura e trasceso la sua umanità. Raggiunto il divino che è in lui, a Gandalf non resta che aiutare gli altri a fare lo stesso.

Nella rappresentazione tarologica, questo passaggio è quanto mai esplicitato dalle figure del Papa-Pontefice e, appunto, del Diavolo. Se il pontefice è di fatto un ponte che connette l’umano al divino, il Diavolo si trova, come anche in molte altre leggende, al centro del ponte con un indovinello o una sfida.

Questa sfida è ovviamente diversa per ognuno. Roland di Gilead, protagonista della saga epica La Torre Nera, si trova, anch’egli in bilico su di un ponte, a dover scegliere tra la vita di suo figlio e la sua Quest (Ricerca). Donnie Darko, protagonista del film omonimo, deve scegliere invece fra la sua vita e la salvezza della sua intera famiglia.

In verità la Prova, per via della sua natura mimetica, non sempre si traduce in un conflitto: può essere viceversa un atto d’amore e di accettazione. Nel film La Nona Porta, la prova consiste addirittura in una notte da passare con lo stesso Diavolo, incarnato in una bella donna.

Ma cosa ci succede di preciso una volta che abbiano “superato noi stessi”?

Se la sconfitta coincide collo scendere di un gradino nella nostra scala evolutiva, la vittoria consiste in un’ascesa.

Quando Nietzsche parlò dell’Eterno Ritorno, condizione a cui tutti gli uomini erano condannati, parlò anche di una figura destinata a trascendere questo stato ridondante: un Superuomo. Sarebbe stato in grado di superare le leggi che vincolano l’umana natura e capace di ascendere al livello successivo. Questo essere, durante la sua vita, avrebbe funto da guida per l’intera umanità. Ora, secondo il principio sincronico secondo il quale noi raccontiamo sempre la stessa storia da diversi punti di vista, l’intuizione di Nietzsche è stata riproposta, prima e dopo di lui, in migliaia di forme: ne troviamo traccia in quasi tutti i culti religiosi principali, e in moltissimi film e fumetti, come ci insegna metacinematograficamente Umbreakable di Shyamalan.

Non è un caso che uno degli eroi più amati, e che forse incarna maggiormente lo scopo messianico del Superuomo, si chiami appunto Superman.

Sono un grande popolo, Kalel. Desiderano esserlo. Ma hanno bisogno di una guida.” dice il padre celeste del noto supereroe, nel primo film a lui dedicato. “Per questo ho inviato te, mio unico figlio.

Ma anche il superuomo è un essere in divenire. Come anche Neo, protagonista della saga di Matrix, il nostro Salvatore deve compiere almeno un ultima missione, prima di raggiungere la Sorgente: deve redimere l’umanità.

Se avete trovato un parallelismo con la Crocifissione, non posso che darvi ragione: è sempre la stessa storia.

«Farò qualunque cosa pur di salvare il Mondo dal Baratro.» dice l’Eroe al Diavolo.

E il Diavolo risponde: «E se ti chiedessi di rinunciare a te stesso?»

L’ultima tentazione, l’ultima sfida, consiste in realtà nello sconfiggere noi stessi. Non c’è mai stata altra questione. Nessun’altra realtà. Il viaggio attraverso “l’apoteosi di tutti i deserti”, la discesa agli Inferi, altro non sono che un viaggio al centro dell’Io. “Per vedermi come sono, dovresti avere un occhio dentro di te.” dice la Sfera al Cerchio, nella favola dimensionale di Flatlandia.

Il Destino non è mai prestabilito e l’Eroe ha di fronte a sé una scelta, la più grande di tutte. Può decidere di rinunciare, lasciare che l’Universo collassi e che l’Umanità ricominci da zero il suo viaggio. Oppure può decidere di sacrificarsi. Oltre questo bivio non c’è certezza di niente. I sentieri e gli intrecci del Fato si districano e sfumano. Da qui in poi non c’è più bisogno di strade. E così anche i nostri sensi cedono e la possibilità di indagare sul futuro del nostro Eroe diventa più che remota.

Ma possiamo indovinare.

A volte quando si perde, si vince.” Ci ricorda Al di là dei sogni. Immaginiamo che una volta che l’Universo ha visto in noi la sincera e disinteressata volontà di rinunciare all’Ego in nome di un bene più grande, esso non abbia più motivo di negarci quella realtà. Immaginiamo che l’unico motivo per cui continuiamo a perdere ciò che amiamo è che non sopportiamo che ci venga portato via, e immaginiamo che colui che riesce ad apprendere sulla sua pelle questa lezione divenga completamente libero.

Immaginiamo che in realtà egli non perda il proprio Io ma lo assimili a qualcosa di immensamente più grande. Come una goccia nel Mare. A quel punto egli farebbe parte del tutto. Sarebbe Tutto e tutti. Sarebbe Pan (dal greco “Tutto”).

L’eroe di V per Vendetta, appunto denominato V, durante il suo percorso cessa di essere semplicemente un uomo e diviene un Simbolo, un’Idea, una Maschera. Lui muore, ma al contempo, mentre i suoi nemici credono di averlo fermato, tutta la popolazione londinese marcia per le strade con la sua maschera sul volto. Lui non è mai morto. Si è solo congiunto col tutto. E con tutti. Vive, in ogni persona che ha salvato. Ha cessato di essere uomo, ha vissuto ed è morto come super uomo. Alla fine è divenuto Dio.

Tutti i bambini crescono. Salvo uno.” dice James Barry in Peter Pan. Ma perché a lui è concesso questo lusso? Perché Peter Pan (non è un caso che il suo nome rimandi all’antico dio greco che incarnava la Natura) ha superato la sua dimensione umana. Ora non è più un bambino con molta fantasia. È divenuto la Fantasia stessa.

Neverland, o l’Isola che non c’è, scaturisce direttamente dai suoi pensieri. Per questo a lui è concesso di non crescere, per questo lui non muta, e non cambia come tutti noi. Perché è divenuto il polo immobile di una linea che noi tutti stiamo percorrendo. Cederà il passo quando sarà il momento: quando qualcun altro, arriverà alla Sorgente. A quel punto Peter potrebbe decidere di ricominciare tutto da capo, come suggerisce il film Hook. Del resto cosa gli resterebbe da fare? Altro giro altro gioco.

In fondo, “vivere può essere una grande avventura.

Lorenzo F.L. Pelosini



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