Il Mistero del Coccodrillo di Verona

Un’antica leggenda narra che un grande coccodrillo vivesse un tempo lungo le rive dell’Adige, presso l’ansa del fiume di San Michele Extra, vicino a Verona, facendo strage di bestiame che andava ad abbeverarsi e soprattutto di innocenti bambini. Gli abitanti lo attirarono in una zona paludosa e lo lasciarono morire di fame. Il rettile fu poi impagliato e conservato nella chiesa di Santa Maria della Pace, dove rimase appeso per secoli all’archivolto del presbiterio.

Un tale coccodrillo impagliato fu in effetti restaurato nel 1926 e spostato più volte; nel 1983 fu infine affidato all’artista Edoardo Ferrante sotto la direzione di Attilio Montolli, imbalsamatore del Museo di Storia Naturale di Verona. La testa originale è attualmente in tale museo, mentre ho avuto di recente l’occasione di vedere e fotografare in una stanza presso la chiesa quello che forse è il più bell’esemplare di coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus) esistente in Italia, lungo circa 5 metri.

La presenza dell’ingombrante e mostruoso animale è documentata almeno dagli inizi del 1600, ma rimane incerta e leggendaria la sua origine. È improbabile che, come riferisce Antonio Pighi (riportato da Umberto Cordier, Guida ai luoghi misteriosi d’Italia, 1996), «…il coccodrillo, dalle acque del Nilo sia passato all’Atlantico e poi al Mare Mediterraneo e, su per una delle foci dell’Adige, tratto tratto venisse a pascolare sulle rive di esso; presso Zevio facendo strage specialmente di bambini…». A parte il fatto che il Nilo sfocia direttamente nel Mediterraneo e non nell’Atlantico, tale leggenda sembra poco credibile, anche se i coccodrilli africani sono animali resistenti e longevi in grado di nuotare anche nelle acque salate, e all’occorrenza di camminare sulla terraferma per oltre 25 km. Un’altra versione del racconto popolare afferma che il rettile si muovesse liberamente fra la contrada I Molini e il piazzale della chiesa di Santa Maria della Pace (detta Madonna di Campagna), finché una fanciulla devota, ispirata proprio dalla Vergine, fece scavare un pozzo ricoperto di canne con sopra dei pezzi di carne come esca. Una volta catturato e ucciso, il coccodrillo fu posto nella stessa chiesa come un qualunque ex voto, con la testa rivolta a Verona e la coda verso l’altare della Madonna.

L’inglese prof. Melchior Wid ricorda quella che afferma essere la “vera” storia riferita dal dotto zoologo Zigno esposta nei locali della parrocchia: «Fa d’uopo adunque saper come nel 1608 la Marchesa Bianca Bevilacqua di Lazize moglie di Pier Paolo Malaspina della spinetta, famiglia che fondava la chiesa di S. Giovanni in Sacco in Via Nicola Mazza, demolita nel 1891, Priore della Madonna, già da tre anni tenuta a letto da un male, ribelle a qualsiasi cura, e disperata dai medici, si rivolse allora fiduciosa a Maria, salute degli infermi, verso cui nutriva fervida devozione e specialmente alla Immagine della Madonna di Campagna e fece voto se la rispristinasse in salute di offrire l’oggetto il più caro che possedesse nel suo Museo. Il voto fu accetto, la Marchesa risanò e volendo adempiere alla sua sacra promessa si consultò col marito intorno all’oggetto da offerirsi alla venerata Immagine; la cosa più rara che possedevano era appunto un coccodrillo importato da un Crociato della famiglia di ritorno da quelle eroiche imprese e tenuto sempre come un oggetto esotico di alta meraviglia; decisero di privarsene e farne dono al Tempio Mariano. così fecero, e par che una memoria del fatto sia stata messa nell’interno del grande anfibio. Un documento dicesi esistere però a Londra nel Museum Breistich (sic, ma probabilmente si intendeva “British Museum”, NdR) dove andarono a finire nel 1886 il monumento equestre ch’era a S. Giovanni in Sacco, ed altri oggetti dei Spinetta-Malaspina».

Anche questa versione, per quanto più plausibile, lascia non pochi interrogativi, mentre rimane nel mistero l’identità del cavaliere crociato e il motivo per cui avrebbe portato dall’Africa un così ingombrante e singolare trofeo che presumibilmente pesava circa 1000 kg.

Dal punto di vista simbolico non stupisce la presenza in un luogo sacro di un evidente emblema del male. Una bestia così grande e mostruosa dava forma all’idea stessa del “male” come antagonista, e certamente aiutava a comprendere meglio il senso e la natura di tutto ciò che è pauroso e negativo anche in senso spirituale. Il biblico Leviatano, lo stesso serpente tentatore e maligno, la bestia dell’Apocalisse si sono incarnati spesso nei grotteschi gargoyle delle cattedrali medievali così come nei grifoni delle urne cinerarie etrusche, e in altri non così rari esemplari di mostri esotici conservati da secoli in Europa.

Giovanni Pelosini

 

 



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