I Simboli della Maschera e il Profondo Sé

Il Simbolismo della Maschera

Scrive Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) che “tutto ciò che è profondo ama la maschera” (Al di là del bene e del male), e questo concetto, a prima vista, sembra non conciliarsi con la comune idea di maschera, intesa come un velo superficiale che si distende sul volto per celarlo: sembrerebbe che la maschera sia più legata alla superficie piuttosto che alla profondità.
È tuttavia proprio in questa funzione essenziale ed archetipica della maschera che si spiega la frase: ciò che sta in superficie, infatti, cela quello che sta nelle profondità; l’entità profonda ha bisogno di una maschera per nascondere alla luce la sua vera essenza e per poter poi manifestarla al mondo visibile opportunamente filtrata.
Quindi la vera essenza non è identificata certamente con la maschera che appare, ma è con essa che si manifesta e che agisce nel mondo.

Il segreto della maschera di Plutone e il teatro

Ade-Plutone è il dio degli inferi e delle oscurità più profonde. Per questo stesso motivo è il patrono delle arti teatrali, il signore indiscusso del palcoscenico, il protettore degli attori.
Plutone, il “profondo”, ama le maschere, così come ama il mistero e le illusioni della notte; è anche il dio della morte, l’ultima illusione dell’esistenza.
Ai morti, negli antichi riti funebri, si metteva una maschera sul volto, e similmente gli attori greci difficilmente osavano mostrarsi al pubblico senza tale adeguata protezione.
Che cosa dunque cela veramente la maschera e qual è il suo segreto?
Possiamo avvicinarci alla risposta ricordando che la parola “maschera” possiede lo stesso significato, sia in greco sia in latino, di “persona“, “personalità“, “carattere“. Mettere una maschera sul volto, etimologicamente e simbolicamente, significa dunque assumere quella personalità, o, quanto meno, mostrarsi con quel carattere: tale azione è il simbolo di una profonda trasformazione, per cui l’attore mascherato in teatro va a cercare dentro di sé specifiche “corde da suonare”, voci e gesti che neanche immaginava di poter esprimere, caratteri che non credeva di possedere.
Non si tratta di una semplice copertura né di una trasformazione soltanto esteriore, ma rappresenta l’esito di un’operazione misterica che affonda le sue radici nelle antiche cerimonie sacre riservate agli iniziati.
Soltanto gli iniziati avevano la capacità ed il permesso di scendere nel regno di Plutone e, soprattutto, di risalire in superficie con una maschera come se fosse un dono del dio degli inferi. Di fronte a tale manifestazione di sacro potere i profani erano attoniti e meravigliati, ma la rappresentazione non poteva non suscitare in loro anche una vaga inquietudine, un sottile senso di terrore per sentirsi sfiorati dal mistero della vita e della morte. La stessa inquietudine che si prova nell’osservare le vacue orbite di una maschera, i suoi tratti invariabilmente e mortalmente fissati in un immutabile accenno di sorriso.
Non è certamente un caso che in varie epoche e culture gli attori fossero sì osannati ed applauditi dalle folle, ma anche temuti e, in un certo senso, disprezzati al punto da non poter essere seppelliti insieme alle spoglie dei comuni mortali. Il corpo di un attore che aveva avuto l’ardire di sfidare Plutone doveva per questo stesso motivo avere qualcosa di demoniaco. Per il popolo di profani spettatori le sconosciute tenebre non potevano essere impunemente svelate, ed il guitto che lo faceva per mestiere e gusto istrionico portava con sé un invisibile simbolico marchio di mistero che condannava per sempre il suo corpo (ed anche la sua anima) alla diversità ed all’ostracismo.
D’altra parte veniva disprezzato anche colui che era senza maschera, ovvero senza personalità: chi negava la propria persona rinunciando a scoprire il vero se stesso.

La maschera mistica

La maschera, trasformando l’apparenza della persona, aveva dunque la funzione mistica di far uscire l’uomo da se stesso per farlo entrare nel profondo se stesso.
Scrive acutamente Roberto Peregalli (La corazza ricamata, 2008):
Solo quando indossa una maschera un mortale, negando se stesso, può farsi dio“.
Ci si immagina forse di avere sotto la maschera il volto invisibile del dio invisibile e nascosto Plutone?
Non sempre, insegnano i miti, ciò che è visibile è reale, mentre l’invisibile spesso si rivela più vero dell’apparente realtà. Si disse di Plutone che possedeva un elmo che lo rendeva invisibile: il dio delle maschere ovviamente non porta maschere, e dunque si rende visibile, quando vuole, nella sua vera essenza.
Per un mortale, nella negazione della propria personalità perdono ogni significato tutti gli attributi dell’ego; ogni falso desiderio e qualsiasi attaccamento materiale svaniscono sotto la magica maschera che annulla le mille “maschere” indossate ogni giorno per convenienza, abitudine, consuetudine, convenzione sociale, opportunismo, pietà…
Paradossalmente indossare una maschera potrebbe significare mettere da parte ogni superficiale e falsa personalità egoica per tendere alla conoscenza di quel vero Sé che rappresenta la nostra unica spirituale e reale essenza divina. Velarsi al resto del mondo per guardarsi dentro, fino in fondo, fino alle nere profondità che da sempre sono dominio di Plutone.
Sentiero arduo e non privo di ostacoli, riservato ad iniziati e coraggiosi eroi della vita e della morte.

Giovanni Pelosini

(foto dell’autore)



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